…vista da un inglese
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Il 13 marzo del 1944 ‘a Muntagna, così lo chiamano da sempre, iniziò a borbottare. Nessuno ci fece caso; alle sue bizze c’erano abituati, ché da quella del 79 dC il Vesuvio in eruzioni “serie” si era esibito molte volte: nel 472, 685, 1036, 1139, 1631, 1737, 1794 (ritratta da Alessandro D’Anna), 1822, 1855, 1858, 1861, 1872, 1906, nel ’29 e nel’33.
E poi in quei giorni i napoletani avevano altro cui pensare; vivevano in assoluto caos e miseria, sotto gli ultimi bombardamenti tedeschi.
Da pochissimo erano giunte in città le Truppe Alleate; fra gli ufficiali, l’inglese Norman Lewis (1908-2003) divenuto nel dopoguerra celebre scrittore. Nello splendido “Napoli 44” (Ed. Adelphi) descrive sin dall’inizio gli accadimenti di quel periodo:
“19 marzo. Oggi il Vesuvio ha eruttato. È stato lo spettacolo più maestoso e terribile che abbia mai visto. Il fumo dal cratere saliva lentamente in volute che sembravano solide. Si espandeva così lentamente che non si vedeva segno di movimento nella nube che la sera sarà stata alta 30 o 40 mila piedi e si espandeva per molte miglia. Di notte fiumi di lava cominciarono a scendere lungo i fianchi della montagna. (…) Periodicamente il cratere scaricava nel cielo serpenti di fuoco rosso sangue che pulsavano con riflessi di lampi”.
Il 22 Lewis fu spedito da Napoli a S. Sebastiano, comune sulle falde del Vesuvio che oggi conta più di 9800 abitanti:
“Ero proprio sotto la grande nube grigia piena di rigonfiamenti e protuberanze come un colossale pulsante cervello. Raggiunta S. Sebastiano, sembrava incredibile che tutta quella gente potesse aver voluto vivere in tal posto. (…) La città era costruita all’estremità di una lingua di terra fin ad ora risparmiata dal vulcano, ma completamente circondata dai tremendi campi di lava lasciati dall’eruzione del 1872, anzi proprio in una valle fra di esse(…)Qui, in mezzo a questa “terra di nessuno” del vulcano, qualsiasi dilettante avrebbe predetto la distruzione della città con matematica certezza, ma apparentemente nessun cittadino di S. Sebastiano ne avrebbe mai ammessa la possibilità (…) Era una questione di fede religiosa.
La lava stava scivolando tranquillamente lungo la strada principale e, a circa 50 iarde, una folla di diverse centinaia di persone per la maggioranza vestite di nero, era inginocchiata in preghiera. Di tanto in tanto un cittadino più arrabbiato afferrava uno stendardo religioso e lo agitava con furia verso il muro di lava, come a scacciare gli spiriti maligni dell’eruzione.
Una casa aggirata e poi sovrastata dalla lava scomparve intatta dalla vista e seguì un debole, distante scricchiolio mentre la lava cominciava ad inghiottirla.Un certo numero di persone reggeva, a fronteggiare l’eruzione, immagini sante e statue fra cui quella dello stesso S. Sebastiano; ma in un lato della strada notai la presenza di un’altra statua coperta da un lenzuolo bianco (…) l’immagine di S. Gennaro contrabbandata da Napoli nella speranza che potesse essere di utilità se tutte le altre avessero fallito. Era stata coperta col lenzuolo per evitare un’offesa alla confraternita di S. Sebastiano e al santo stesso che si sarebbe potuto risentire di questa intrusione nel suo territorio. S. Gennaro sarebbe stato portato all’aperto solo come ultima risorsa”.
L’eruzione continuò sino a 30 marzo: 21 milioni di m³ di lava che distrussero la Funicolare (quella di “Jamme ‘n coppa jà”) e numerosi centri abitati come –appunto- S. Sebastiano, Massa di Somma o Terzigno, che in un campo ospitava uno stormo composto da 88 bombardieri americani B-25, che vennero totalmente distrutti.
Siti da cui ho tratto le immagini del testo Qui e qui
Qui , qui e qui immagini video girate nel 1944 a Napoli dai cameraman delle Truppe Alleate.