Antiche Guerre al Fumo

I sacerdoti degli Atzechi per invocare la pioggia soffiavano verso il Sole a i quattro punti cardinali nuvole di fumo prodotto da foglie di tabacco tenute fra le labbra arrotolate e accese all’estremità; ben presto scoprirono che aspirare queste nuvole fittizie era assai gradevole: in tal modo inventarono il vizio del fumo.

Il primo europeo che iniziò a fumare fu nel 1492 un compagno di Cristoforo Colombo, Rodrigo de Jeréz, il quale imparò subito dagli indiani Arawak l’arte di aspirare i primi sigari; tornato in Spagna nel 1493, egli divenne anche la prima vittima della guerra al fumo: gustandosi in pubblico il suo sigaro venne immediatamente processato dall’Inquisizione come indemoniato (causa il fumo che usciva dalle sua bocca e dalle sue nari manco fosse Belzebù) e sbattuto in galera.

Nel 1560 Jean Nicot de Vellemain, ambasciatore francese in Portogallo, spedì dei semi di tabacco a Francesco II e Caterina de’ Medici, assicurando che si trattava di un’efficace pianta medicinale (“erba santa”) in grado di curare moltissime malattie.

In Italia in tabacco arrivò nel 1561 grazie al cardinale Prospero di Santa Croce, nunzio apostolico a Lisbona, il quale spedì i semi della pianta a vari ordini religiosi con l’ordine di coltivar la pianta medicinale in tutti i conventi.

Poco per volta l’abitudine di fumar tabacco invase tutto il mondo, e i francesi e gli inglesi furono i primi, ai primi del 1600, ad inventare il Monopolio Statale dei Tabacchi.

Ma non tutti erano entusiasti della cosa; se il cardinal Richelieu si limitò a imporre tasse elevatissime sul tabacco, il re inglese Giacomo I (1566-1625), definiva il fumare “deplorevole abitudine disgustosa per gli occhi, sgradevole per il naso, pericolosa per il cervello” e promulgò il primo decreto ufficiale anti-fumo. Per mera malignità: il re Giacomo detestava la Spagna, nazione sua storica nemica, e allora gli spagnoli erano i più grandi importatori di tabacco in Inghilterra…

Nel 1642 papa Urbano VIII scomunicò i fumatori come “seguaci di diaboliche pratiche” e nel 1650 Innocenzo X proibì ai fedeli di fumare pena l’Inferno (si era leggermente seccato perché un fumatore distratto un giorno in San Pietro gli aveva dato fuoco all’abito).

Nel 1645 in Russia, mentre Pietro il Grande fumava ininterrottamente e beatamente chili in tabacco in lunghe pipe d’argilla, contemporaneamente dava l’ordine che chi veniva pescato a fumare fosse condannato al taglio del labbro superiore; in compenso lo zar Alessio Michajlovic faceva bastonare e torturare tutti quelli che erano trovati in possesso di tabacco fino a quando non ne confessavano la provenienza e le donne russe asserivano che fosse meglio “baciare il deretano del diavolo che la bocca dei nostri mariti”, causa l’alito maleodorante dato dal tabacco masticato.

I  Turchi furono sin dal XVI sec. grandi appassionati di fumo stando attaccati da mane a sera a pipe o a narghilè . Ma lo scià Abbas, obbedendo al Corano che condannava ogni eccesso alimentare o comportamentale, faceva mozzare il naso a chi il tabacco lo annusava e tutte e due le labbra a chi lo fumava.

Morto lui però il fumo tornò libero, e i sudditi si scatenarono fumando ancor di più, almeno per quanto appariva agli occhi dei mercanti o naviganti italiani che coniarono il modo di dire Fumare come un Turco (“cose da turchi” si usava regolarmente nell’Europa mediterranea per indicare qualcosa di strano o abnorme).

Ed essendo il tabacco gestito direttamente dai governi dei Sultani  e quindi per loro fonte di enorme ed esclusiva ricchezza, nel 1670 nell’Impero Ottomano i trafficanti di tabacco non autorizzati e i fumatori che da loro avevano acquistato la merce, venivano condannati a morte tramite piombo fuso versato nella loro gola oppure, democraticamente, a scegliere se venire impiccati con la pipa in bocca o arsi vivi su un rogo alimentato con foglie di tabacco.

Quindi non lamentiamoci se oggi ci impediscono solo di fumare nei luoghi pubblici.

© Mitì Vigliero

Smettere di fumare

Sto fumando troppo, e il fatto di averne coscienza mi innervosisce, e quando sono nervosa fumo ancora di più.
La storia del gatto che si morde la coda, lo so; oltretutto a me piace fumare, e rinunciare a una cosa che piace l’è dura.

Secondo Mark Twain “Smettere di fumare è facilissimo, lo so perché l’ho fatto un migliaio di volte”; io invece non ci ho mai provato seriamente, anche perché frustrata dall’esperienza della mia amica Letizia.

Il suo fidanzato, salutista convinto, un paio di mesi fa le aveva chiesto come pegno d’amore di abbandonare il viziaccio schifoso; e lei, accanita fumatrice, per amore aveva accettato.

Iniziò col metodo della graffetta, un fermaglino di metallo simile a quelli che chiudono le reti dei salami, solo che veniva pinzato all’orecchio.

Per una settimana girò sfoggiando quello strano piercing; dopo poco si abituò al doloroso fastidio della graffetta – unica cosa che le ricordava di non fumare – e ricominciò tranquillamente.

In preda ai sensi di colpa volle allora che la accompagnassi da un cinese specializzato in agopuntura; un paio di aghetti nel naso e, miracolo, non si fumava più.

All’uscita dallo studio, ore 16, andammo a far compere per festeggiare; era fiera, camminava a testa alta ripetendomi “Funziona davvero, non sento proprio il bisogno di quelle stupide sigarette!”.

Alle 16,30 mentre acquistava una mezza dozzina di paia di scarpe, trillava: “Sto benissimo, sono felice, devo farmi un regalo”.

Continuò a ciangottare felice sino alle 19, quando entrammo in un bar stracariche di pacchi a prendere un aperitivo.

Mentre mi accendevo una sigaretta e mollavo pacchetto e accendino sul tavolino, mi disse severa: “Non aspettare di più, falla anche tu l’agopuntura; vedi è facilissimo, guarda me…”; e dato che è una che quando parla s’infervora, alle ore 19,10, nel pieno del peana sui danni da fumo finalmente scampati, sfilò una sigaretta dal mio pacchetto, l’accese e con due tirate due la arse sino al filtro.

Io non dissi una parola, limitandomi a passarle un kleenex quando scoppiò a piangere.

Decise quindi, sempre per amore, di tentare l’ipnosi, arrivando ad accendersi una sigaretta proprio mentre il dottore la stava ipnotizzando: “Scusi sa, ma serve a concentrarmi”.

Poi mi trascinò a vedere documentari terrorizzanti in centri specializzati nella cura dei tossicomani (e noi fumatori, volenti o nolenti, un po’ lo siamo); uscivamo da lì tremanti, e avevamo immediatamente bisogno di una sigaretta per riprenderci dallo shock.

Provò in seguito i cerotti, ma le davano mostruose reazioni allergiche; masticava chewing-gum alla nicotina, vomitando anche l’anima: infine piantò il fidanzato, ne trovò un altro e ora vivono entrambi felici e fumanti.

In realtà una delle tante cose che mi frenano dallo smettere è il fatto di diventare un’Ex Fumatrice; al mio carattere di placida signora mal si confà il tramutarsi di botto in una creatura acida e pontificante.

Naturalmente esclusi i leggenti ;-), sospetto che i Fumatori Pentiti più che igienisti siano semplicemente invidiosi perché loro non fumano più e gli altri sì; perciò rompono l’anima con discorsi tediosissimi: “Ma perché lo fai, lo sai che è un vizio assurdo, vuoi proprio suicidarti, lo sai che è un’azione cretina, quanti soldi in cenere, io ‘sta puzza non la sopporto eccetera”, costringendo il fumatore a far vita da clandestino, a nascondersi, a struggersi nella colpa…Avete mai notato, di sera, quante persone che anche nel pieno di una tempesta di neve stan fuori per strada o sul balcone? Di notte, marciapiedi e facciate di palazzi son costellate di lucine rosse, che si muovono nel buio ondeggianti come lucciole: sigarette accese…

D’altronde capisco perfettamente che chi è riuscito a smettere di fumare si senta un incrocio tra San Bartolomeo (spellato vivo) e i fratelli Bandiera.
Conscio della sua forza di volontà e memore delle sofferenze passate, egli possiede un’anima da martire-eroe che lo rende altero, grande monito per una debolissima viziosa che agognerebbe (un giorno, prima o poi, que seras ecc.) seguire il suo esempio.

Io un mito da emulare l’avrei; ma so che ci non riuscirò mai.

È un altro amico, vero artista della scrittura, recentemente uscito vittorioso dalla fatale esperienza di un lungo periodo infernale, tormentato, drammatico, frenetico, difficile e ringhiante.

In più, per evitare d’ingrassare,  contemporaneamente Ello si mise pure a dieta ferrea, nutrendosi esclusivamente di tisane ed erbe, bastoncini di liquerizia e semini di cardamomo; e per dimenticare l’esistenza del tabacco e del cibo si gettò vieppiù nel lavoro facendone una riedizione del teutonico Sturm und drang, tempesta e assalto, impeto e passione: fu allora che fuse letteralmente i tasti della sua Lettera 22 (ché per lui, i computer, fan fumare di più).

Dall’ipereccitazione convulsa passò poi alla prostrazione ascetica; silenzioso, meditabondo, chiuso in se stesso: niente telefonate, niente chiacchiere con amici, niente serate fuori, isolamento totale.

Ma ce l’ha fatta.

Ora il mio Mito è felice, ancor più bello e in forma smagliante: in compenso tutti quelli che gli son stati vicini nell’epico ed eroico momento, da allora ogni giorno fumano trenta sigarette in più, causa nevrastenia.

©Mitì Vigliero