I Cuori della Presentosa

presentosa
(La Presentosa, simbolo d’Abruzzo)

Narra la leggenda che il sannita Gaio Ponzio – superbo vincitore dei Romani alle Forche Caudine – mentre tornava nei suoi territori si fermasse a riposare in un villaggio; prima d’accamparsi piantò nel terreno uno stendardo romano con la sacra Aquila che aveva strappato dalle mani d’un aquilifero.
Quando decise di ripartire, tentò di togliere da terra lo stendardo, ma quello non si mosse dal terreno, restando fermo e ancorato come avesse messo le radici.
Ponzio decise che quello era un ottimo auspicio, e ordinò che in quel punto esatto venisse costruita una città chiamata L’Aquila.

E attorno a lei sorsero  Castelvecchio Calvisio, che si trova su in alto, più di 1000 metri, e ha ancora la pianta ottagonale che gli diedero i padri romani, e fu feudo di Lorenzo de Medici ghiotto dei suoi fagioli bianchi.

San Pio delle Camere aggrappato su un roccione pieno di grotte rifugio d’armenti.

Ocre, che vide il martirio di San Massimo, patrono dell’Aquila.

San Demetrio nei Vestini con le sue sette sorelle: Cavantoni, Colle, Cardabello, Collarino, Cardamone, San Giovanni, Villa Grande; ha un torrente sotterraneo, lo Stiffe, che corre fra stalattiti, stalagmiti e cascate in meravigliose grotte.

Paganica, nata su un tempio dedicato a Giove (Iove Paganicum Sacri), e vide nascere Edoardo Scarfoglio, gran giornalista.

Poggio Picenze , con la sua Pietra Bianca lavorata da scalpellini dalle mani d’oro.

Tornimparte la nobile, dice Virgilio -nel VII libro dell’Eneide– che si alleò con Turno (dalla scelta il nome, Turni prata) contro Enea.

Fossa  accoccolata in una conca del Monte Circolo come in un nido; e il suo feudatario fu l’unico fra i 100 baroni della zona che nel secolo XIII rifiutò allora di unirsi agli altri per fondare la “moderna” Aquila: per questo in quella città ci son 99 castelli, 99 le piazze, 99 le chiese, 99 gli zampilli della fontana, 99 i rintocchi che la campana della Torre Civica batteva verso sera.

Villa Sant’Angelo, su una dolce collina, un tempo profumava di zafferano.

Onna, minuscola ma attivissima;  riunì Carbonari e Giovani Italiani, e fu sempre fiera nel diffondere e difendere le sue radici e tradizioni.

Ora di quelle case, e di tante altre, non è rimasto che qualche brandello di muro.
Di molti abitanti, neppure tanto.

Piangono i cuori della Presentosa, insieme al mio che non riesce a trovare altre parole per descrivere il dolore che prova   per quella terra, per quella gente che è davvero  forte e gentile, abituata da sempre ad agire a reagire, con coraggio, dignità e testa alta.

Gente che ora sta vivendo un incubo e di tutto ha bisogno fuorché di polemiche, illusioni, recriminazioni,  faide, furbetterie, interessi privatissimi, code di paglia e sprechi di inutili parole.

Perché tra i Popoli Civili le grandi tragedie dovrebbero far diventare grandi, nel senso di adulti: unire anziché dividere, salvare anziché approfittarne, ricostruire e sanare anziché distruggere e ferire ancora di più.

© Mitì Vigliero