Quanti di voi, al momento di firmare un documento, si cono sentiti richiedere “una firma in calce” e magari hanno pensato rapidamente “cavolo c’entra la calce?”
Ora vi svelo l’arcano.
E’ una locuzione di origine latina, che però di lingua latina non ha nulla dato che “calx calcis” in latino significava originariamente solo “tallone, calcagno”.
La spiegazione sta tutta nel fatto che i latini, esattamente come noi oggi, nel linguaggio sportivo erano terribilmente esterofili, prediligendo termini di altri popoli, facendoli diventare poi parte integrante del loro vocabolario.
Per questo motivo quel “calce” è una parola greca, calix, che significa calce, sì, proprio quella roba bianca usata dai muratori.
E una striscia di calce era utilizzata negli stadi o nei percorsi sportivi per delimitare, rendendoli visibili da lontano grazie al color bianco acceso, i traguardi delle gare di corsa.
Per questo “in calce” prese poi genericamente il significato di “alla fine, al termine“.
Per curiosità: Cicerone nel De Senectute ad un certo punto scrive “ad carceres a calce revocari“, che significa “tornare dalla fine al principio, ossia ricominciare da capo, locuzione derivata dal linguaggio sportivo e indicante i due momenti basilari della corsa: le sbarre, il recinto di partenza (carcer, acc. carcerem) in cui erano “rinchiusi” i partecipanti alla gara, e il traguardo (calce).
E così, in calce, vi ho spiegato anche da cosa deriva la parola “carcere“: che volete di più? ;-)