Se come me siete razza di quelli che non buttano via mai nulla e conservano con cura ogni tipo di oggetto vecchio, umile e magari inutilizzabile solo perché era appartenuto alla nonna, sappiate che state facendo un’azione utile per i posteri, e andate a fare una gita in Val Fontanabuona.
Per arrivarci s’imbocca l’autostrada A12, si esce a Chiavari e poi si prosegue sulla statale 225; troverete due piccole frazioni, Monteghirfo e Favale di Malvaro, immerse fra i liguri castagni.
A Montegrifo c’è l’antica casa della famiglia Ferretti; muri in pietra a secco, tetto d’ardesia, pergolato.
Nel settembre del 1975 due artisti, Claudio Costa e Aurelio Caminati, proposero alla proprietaria signora Maria di trasformarla in “Museo di Antropologia Attiva” dove chiunque entrando sarebbe stato catapultato direttamente ai primi dell’800, per impararne la vita e le storie.
Perché Maria Ferretti aveva conservato la casa esattamente com’era all’epoca di suo padre e di suo nonno, contadini.
All’ingresso, una stanza dal soffitto molto basso piena di mobili, sedie, tavole, ceste, strumenti da lavoro non solo agrario perché il capofamiglia era anche muratore – idraulico – fabbro.
Poi la cucina, col fuoco sempre acceso anche di notte sul pavimento sopra una scura piatta pietra; le teglie di coccio per le focacce di castagne e di verdura, la pentolonaagganciata alle travi del soffitto, sospesa sul fuoco per minestroni e polente.
Tra le travi, listelli di legno a grata, dove seccavano le castagne; e miriadi d’oggetti oggi quasi misteriosi: strani mestoli, forme per il burro, zangole.
A fianco la camera da letto, un quadrato di manco 3 metri per 3, l’armadio, il lettone alto da terra quasi un metro, la spalliera di ferro nero con a fianco due culle di legno scolpite nei tronchi.
Lumi a petrolio, immaginette, un telaio; tutte le donne di quella zona, famosa sin dal Medioevo per i damaschi e velluti, filavano e tessevano in casa: di notte, perché di giorno c’era la famiglia a cui badare.
Maria ad esempio aveva 10 figli: dentro quella casa vivevano in 12.
Dalla camera una scaletta porta alla sala; un pesante tavolone in legno grezzo, panche, la madia e – pezzo forte – la credenza che racchiude gelosamente piatti tazzine bicchieri brocche dei servizi “buoni”, e proprio per questo mai usati né da Maria né da sua madre né da sua nonna, così come il corredo di lini e pizzi profumati di spigo, conservato amorosamente da tre generazioni in un vetusto. massiccio baule.
Intorno un turbinio di dagherrotipi ingialliti, scatole, fusi, un arcolaio e matasse colorate appese ai muri come la gavetta militare del nonno, partecipante nel 1870 alla breccia di Porta Pia.
I Ferretti furono fortunati: abbastanza benestanti, visto il livello economico medio di allora e di quei posti, non lasciarono mai la loro terra a differenza della povera coppia di quella casa di pietra nel vicino Favale di Malvaro, simile negli arredi ma ancor più piccola, che oggi è parte del “Museo dell’Emigrante”.
Abbandonarono i boschi di castagni emigrando in America nel 1869: lei aspettava un bimbo che – privato evento per loro storico come la breccia di Porta Pia – nacque nel 1870.
Si chiamava Amadeo Pietro Giannini.
Da grande fondò la Banca d’America e d’Italia.