Storie Genovesi d’Antan: L’Antenna del Burlando

Via Fieschi è la strada a sinistra. Quella a destra oggi è così
(Cartolina della collezione Stefano Finauri
)

Il 23 gennaio del 1934 si svolse nella Pretura di Genova un processo civile che appassionò e coinvolse tutti gli abitanti del quartiere di Portoria, soprattutto quelli residenti in via Fieschi.

In questa strada infatti, al numero civico 23, abitava un noto farmacista, Luigi Burlando; personaggio colto, brillante ed estroso, continuava a modificare la sua alta palazzina – già considerata “audace” nella forma liberty – facendo aggiungere sulla facciata  poggioli, terrazzini, verandine, bowindini decorati con enormi statue di pietra: putti, damine, angioletti, ninfe, sirene, arabe fenici, uccelli, animali d’ogni sorta che brulicavano ovunque.

Ma vero capolavoro era il tetto, citato persino dalle guide turistiche dell’epoca come “Belvedere di via Fieschi”, poiché da lassù si godeva una vista davvero impagabile.

Pur non essendo enorme, aveva da un lato una torre simile a quella d’un castello di fate; ai piedi di questa un giardino pensile pieno di piante, con al centro una grande fontana illuminata.

Nel giardino un “Viale della Saggezza” fiancheggiato dai busti in pietra di Platone, Cristo, Leonardo, Mazzini, Dante, Omero eccetera e infine, un tempietto romano dedicato al “Risorto genio di Roma”.

Un bel giorno il Burlando decise di fare innalzare sulla torre un’antenna alta 33 metri; gli abitanti di via Fieschi, già da tempo preoccupati per le continue “bellurie” poste al palazzotto, denunciarono la cosa ai Lavori Pubblici, anche perché l’antenna di dimostrò essere in realtà una colonna di pietra.

Arrivò un Ispettore e chiese al Burlando a cosa diavolo gli servisse l’antenna.
-“E’ l’asta per la bandiera”, rispose serafico il farmacista.
-“Ma così alta?”
-“Certo: ho intenzione di far vedere il tricolore sino in Corsica”.

E come risposta all’Ispettore che per iscritto gli sottomise ufficialmente le preoccupazioni sue e dei genovesi sulla pericolosità dell’antenna troppo alta e instabile e che avrebbe potuto crollare e causar gravi danni, il Burlando aggiunse alla base di questa la statua di un bambino che la tratteneva con ambo le mani, mostrando nel contempo la lingua facendo boccacce.

Da qui la convocazione in Tribunale, dove il 30 gennaio  fu condannato a pagare 450 lire di ammenda e obbligato a rimuovere, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, sia l’antenna, sia le statue sfottenti, sia tutte quelle della facciata giudicate pericolose per dimensione e poca stabilità.

Burlando fece ricorso e contemporaneamente aggiunse sul tetto un’altra statua in pietra, quella di un “battùso” (monello) che con le mani faceva “marameo” rivolto ai passanti perplessi.

Ripartirono le denunce, ma a por fine ai litigi pensò la famosa tramontana genovese la quale, nella notte del 3 marzo 1935, soffiando a 80 km all’ora divelse l’antenna di pietra che crollando dal tetto sulla strada – miracolosamente a quell’ora deserta – lungo il tragitto della rovinosa caduta decapitò, tranciò e mutilò anche la miriade di ninfe, putti, damine, sirene e animali della facciata.

Il Secolo XIX il giorno dopo scrisse:

E’ mera fortuna che qualche statua non sia andata a turbare le idee di qualche passante, cadendogli sulla testa.
Fra i curiosi che subito dopo la caduta dell’antenna avevano affollato via Fieschi, abbiamo notato il signor Burlando.
Sembrava un po’ arrabbiato
”.

© Mitì Vigliero