Da brava cancerina sono, di natura, un animale prettamente casalingo.
A casa mi sento tranquilla e sicura; invece quando esco al galòp dalle mie quattro mura, a causa della mia distrazione mi caccio regolarmente in situazioni imbarazzanti.
Ad esempio, non possedendo per nulla il senso dell’orientamento,quando sono lontana dal mio territorio mi perdo in continuazione e quindi sono costretta a chiedere informazioni ai passanti.
Ovviamente (e regolarmente) capita che chieda a qualcuno: “Per favore, può indicarmi dove sia Via dei Platani?”, trovandomi esattamente in un viale di platani e ferma sotto un grande cartello con su scritto Via dei Platani.
In questo caso è facile che la persona interpellata mi guardi malissimo convinta che io la stia prendendo in giro, o che mi risponda un sarcastico “No”.
Oppure è capitato che, trovandomi in una minuscola frazione della Bassa padana, domandando a un passante “Scusi, sa dirmi dove si trovi via Tizietti?” mi sia sentita rispondere “Minulla ei ole aavistustakaan!“, perché ero riuscita a porre l’importante quesito all’unico finlandese transitante da quelle parti.
E, sempre ammesso che si scriva così, credo (e spero) che minulla ei ole aavistustakaan significhi “Non ne ho la più pallida idea”.
Ma i finlandesi parlano una lingua che mi mette sempre un po’ a disagio, visto che per dire “guarda!” dicono “katso!” (sì, si pronuncia proprio come pensate), mentre l’udito è per loro il kuulo…
Altra cosa che per strada mi getta nel panico sono gli incontri fortuiti.
Sono sicura di aver riconosciuto l’amico Mario che cammina frettolosamente di fronte a me sotto gli affollatissimi portici della principale via cittadina.
Così mi metto a gridare giuliva: ”Mario! Oh Maaariooo!”, ottenendo il brillante risultato di far girare ventotto Marii diversi, mentre l’oggetto dei miei urlanti richiami si volta quel tanto che mi permette di capire che non si tratta affatto del Mario.
Mi capita anche spesso di venire affettuosamente salutata per strada da Signori o Signore di cui non ricordo affatto né il nome né la faccia: eppure loro mi conoscono benissimo.
E così ogni volta mi invischio in dialoghi farfugliati e vacui:
“Cara Mitì, come va?”
“Bene! E lei?”
“Ma non ci davamo del tu?”
“Scherzavo! Tutto bene?”
“Bene, e tu?”
“Io sto bene”
E poi? Chi ha il coraggio di porre domande dirette? Ma perché la gente non gira con un cartellino di riconoscimento attaccato al bavero della giacca? Perché una deve fare la figura della svampita più di quanto sia già in realtà?
Ad ogni modo ho da tempo imparato a mie spese che per riconoscere una persona non è sempre sufficiente ricordarne il nome o il viso, e che il proverbio L’abito non fa il monaco è falso, perché l‘abbigliamento ha invece una grandissima importanza.
Infatti, una sera d’inverno, mi è capitato di incontrare per strada un giovane avvocato che da anni viene al mare alla mia stessa spiaggia.
Teneva per mano una bella fanciulla bionda, e mi salutò molto gentilmente.
Io rimasi un (lungo) attimo interdetta perché, abituata com’ero a verderlo sempre e solo al mare e in costume da bagno, non l’avevo assolutamente riconosciuto bardato con cappotto e cappello.
Quando mi ripresi, gli dissi festante:
”Oh avvocato, mi scusi, non l’avevo riconosciuto…Sono talmente abituata a vederla nudo!”
Evito di descrivere l’occhiata che mi lanciò la bionda.