Nelle strade delle nostre città vale sempre la pena di camminare a volte con il naso all’insù, perché si possono fare piacevoli e curiose scoperte.
Questa volta, parliamo di finestre.
Per esempio a Bologna, in via Oberdan 24, esiste quella di Tago, il fedelissimo cane del Settecento di cui vi ho raccontato la storia qui.
Invece ad Aosta, in piazza Roncas, su un lato della facciata di un antico palazzo è disegnata in trompe l’oeil una grande finestra da cui si affaccia una splendida dama bionda, vestita in azzurri abiti secenteschi, che ha vicino un cagnolino bianco: si tratta di Esmeralda di Vaudan, moglie del marchese di Caselle Pierre Philibart Roncas(1629).
Il marito, innamoratissimo, volle che fosse ritratta così, in atteggiamento di affettuosa attesa, per poterla vedere ogni volta che si avvicinava a casa.
E a Firenze, all’incirca verso la metà di via Cavour, in un cortile interno a cinque metri d’altezza si trova una piccola finestra alla quale, tra due vasi di fiori, è affacciata una deliziosa bimba dai lunghi capelli che guarda il cielo tenendosi il volto fra le mani; non si muove mai di lì, perché è fatta di pietra.
(Foto©StefanoMagherini)
Altra finestra simile si trova a Roma, in via Tiburtina poco prima di San Lorenzo.
Fa parte di quello che viene normalmente chiamato “il Palazzo Decorato”, costruzione già di per sé affascinante per il bizzarro miscuglio di stili che lo caratteristico: uno stranissimo incrocio fra palladiano, rinascimentale, barocco…
A questa finestra, una bifora, si affaccia un anziano uomo dalla fluente barba riccia, berretto settecentesco e un binocolo in mano; alla sua destra un’elegante signora e alla sinistra una ragazza in costume ciociaro: tutti e tre guardano per strada e ridono con gusto.
Attorno a loro una ricca tenda di pizzo: la cosa particolare è che tutte e tre le figure, tenda compresa, sono in terracotta rossa.
Una leggenda racconta che si tratti del proprietario del palazzo il quale, assieme alla moglie e una servetta, guardando passare sotto la finestra un funerale, schernì ridendo il corteo diretto al Cimitero Monumentale del Verano. Dio allora lì punì pietrificandoli.
In realtà la curiosa opera è da attribuirsi a Giuseppe Maria Sartorio, nato a Boccioleto in Valsesia nel 1854 e misteriosamente scomparso nel Mediterraneo nel 1922, nel corso di una traversata a bordo di un piroscafo tra la Sardegna e il Lazio.
E proprio Sartorio aveva fatto costruire quel palazzo, aprendo al primo piano la sua bottega – scuola di scultura.
Infine, sempre nella Città Eterna e stavolta in piazza Mattei, sulla facciata del palazzo che ha come numero civico il 17, c’è una finestra murata legata ad una storia che sta a metà tra realtà e leggenda.
Verso la metà del 1500 uno dei tanti Marchesi Mattei, giocatore incallito, riuscì a perdere in una sola notte una somma ingentissima.
Il suo futuro suocero, furibondo, gli disse che mai e poi mai avrebbe dato sua figlia in moglie a uno squattrinato incosciente e buono a nulla come lui.
Il Mattei allora, punto nell’onore, in una sola notte si fece costruire davanti a casa la Fontana delle Tartarughe , una delle più belle di Roma.
All’alba mandò a chiamare suocero e fidanzata e, facendoli affacciare a quella finestra disse: “Vedete cosa può fare in così poco tempo uno squattrinato buono a nulla come me?”.
Lo suocero lo perdonò e lui, per simboleggiare la fine della sua vita da scapestrato, fece chiudere per sempre la finestra.