Pillole di “Stupidario della Maturità”: I Promessi Sposi

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VOLGARI MINACCE
Fra Cristoforo alzò il dito e don Rodrigo capì subito.

DESTINO
Se Renzo non fosse stato bravo, sarebbe diventato un Bravo

L’INTRUSO
Don Rodrigo, svegliatosi dopo una notte di incubi, trovò nel suo letto un sozzo bubbone livido e paonazzo.

VU’ CUMPRA’?
Fra Galdino bussava di porta in porta per vendere noci.

IL MANIACO FLUVIALE I
Renzo Tramaglino attraversò l’Adige
Renzo arrivò al Ticino
Finalmente giunse al Po

IL MANIACO FLUVIALE II
Domanda: “Chi fece attraversare l’Adda a Renzo?”
Risposta: “Caronte”

DOPO, NO
Fra Cristoforo, prima di diventare prete, era figlio di un mercante

DEVOTA PREGHIERA
Lucia, la notte dell’Innominato, stette sveglia imprecando la Madonna di salvarla

GEOGRAFICAMENTE PARLANDO
Pescarenico è un paesino vicino a Recco

promessi sposi

SOSPETTO
E chi ci dice che Lucia non avesse fatto la scema con don Rodrigo?

SCANDALO
Perpetua era la convivente di don Abbondio

CAVOLI A MERENDA
I commensali stavano parlando della carestia e a questo proposito Attilio disse che lui avrebbe picchiato un ambasciatore che gli avesse portato una cattiva notiza.

LE PORTE DEL ‘600
Renzo entrò a Milano attraverso Porta Garibaldi

PERCORSO ACCIDENTATO
Renzo, prima di ritrovare Lucia, dovrà superare molte traversine

IN CARROZZA!
Lucia raggiunse Monza in treno

L’EVOLUTA
Allora Gertrude telefonò ad Egidio

LATINUS GROSSUS
Fra Cristoforo, rispondendo a fra Fazio che gli contestava le donne in convento, disse “omnia munda mundis”, ossia “ogni mondo è mondo” e così fra Fazio rimase senza parole

VOLEVA FARE GOAL
Però il matrimonio a sorpresa va a monte grazie all’intervento di don Abbondio su Lucia

IPSE DIXIT
Gertrude, in sintesi, è una poco di buono

MUTAZIONI GENETICHE
In origine, fra Cristoforo era un uomo normalissimo

QUESTIONE DI ORMONI
Perpetua era una donna che, a confronto di don Abbondio, era tutto il contrario

LA SERAFICA
La Lucia manzoniana è il simbolo della fede; crede ciecamente nella Provvidenza e non va mai fuori dalla grazia di Dio

OVVIO
L’avvocato Azzeccagarbugli si chiamava così perché faceva solo garbugli, ossia incasinava le cose.

LA PRUDENTE
Perpetua a me non è che mi sia molto simpatica, ma anche perché non la conosco e quindi una persona per giudicarla bisogna conoscerla bene.

© Mitì Vigliero, da Lo Stupidario della Maturità, Rizzoli, 1991.

Altre Pillole di Stupidario:

– Il Detestabile Ugo; L’Infelice Giacomo; Il Povero Giovannino; Il Tenero Guido; L’Infernale Alighieri

Gabriele il Macho

L’Abominevole Alessandro

Giovanni il Pizzoso, Italo l’Inetto, Luigi il Matto

Pillole di “Stupidario della Maturità”: L’Abominevole Alessandro

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Quando a Milano, il 7 marzo del 1785, Giulia Beccaria in Manzoni diede alla luce un bel maschietto, mai più avrebbe potuto immaginare quanto la figura del suo diletto pargolo avrebbe segnato la cultura dei posteri italiani.  In compenso i posteri oggi diciottenni odiano a tal punto il Lisànder da sconvolgere quella lingua che lo scrittore curò, vezzeggiò, limò, perfezionò e adorò sino all’esasperazione.
(…)

Ebbe tanti figli, ma neanche uno intelligente

Le sue figlie morirono tutte a ventotto anni, come un segno della Divina Provvidenza

Giulia Beccaria era una donna molto leggera da giovane, assai pesante da vecchia

Manzoni si convertì al Cristianesimo durante una crisi di agorafobia

Andò a Firenze per sciacquare i panni in Arno assieme a Emilia Luti, governante della nipotina

Divenne così vecchio che morì e ai suoi funerali tutta Milano esultava

(…)

Tutti gli eroi delle tragedie manzoniane non sono allegri

Pentecoste vuol dire 50 giorni di apostoli in fiamme

Nella Pentecoste Manzoni racconta quando la Chiesa si nascondeva per non farsi prendere dai seguaci dell’Anticristo che pregavano Dei bugiardi e pronubi

Le cose poi degenerano totalmente quando si tratta di paragrafare i versi delle varie poesie o tragedie; in alcuni casi raggiungiamo il culmine della stupidera acuta. (…)

Prendiamo ad esempio il celeberrimo coro dell’atto IV dell‘Adelchi, ovverossia la morte di Ermengarda.
La tapina, dopo essere stata ripudiata dal marito Carlo futuro Magno, langue in punto di morte nell’esilio volontario nel convento di Brescia.
Nell’agonia, è perseguitata da incubi e ricorda:

Quando da un poggio aereo,
il biondo crin gemmata,
vedea nel pian discorrere
la caccia affaccendata
e sulle sciolte redini
chino il chiomato sir

Di questa unica reminiscenza, i maturandi offrono ben quattro interpretazioni:

Quando Ermengarda da una collina
vedeva correre nella pianura
i suoi biondi capelli pieni di gioielli

Quando da un poggiolo
correva veloce sul cavallo
chino il re Carlo con i capelli
biondi e ingemmati

Quando dall’alto poggio
Carlo e Ermengarda
vedevano correre nel prato
un cavallo dalla bionda criniera ingioiellata

Quando da un alto scoglio
la bionda capigliatura ingioiellata
vedeva il re correre
sul cavallo chiomato

Insomma, ‘sti biondi capelli fanno di tutto tranne che starsene buoni e fermi  sul cranio di Ermengarda…Ma i vaneggianti ricordi della figlia di Desiderio proseguono incalzanti; ora rammenta la sanguinaria scena della caccia al cinghiale:

E dietro lui la furia
de’ corridor fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido
redir dei veltri ansanti

“Lui” è Carlo Magno, che secondo i maturandi partecipava a battute di caccia decisamente inconsuete, come testimoniano le seguenti parafrasi:

E dietro lui la folla
dei cavalli fumatori
che si perdevano
e il veloce radar
dei cavalieri affannati

E dietro di lui la rabbia
fumante dei cavalieri

E dietro a lui tanti
cavalli che fumavano

E dietro lui la follia
dei cavalieri in fiamme
che perdevano la strada
e il redimere veloce
dei cavalli stanchi

(…) oppure la maturanda che, descrivendo lo stato d’animo di Ermengarda sconvolta dalla vista del sangue sgorgante dal cinghiale abbattuto, disse che la regina “volgea repente il volto”, cioè “girava la faccia repellente“.
E come resistere alla tentazione di affogare nella Mosa (“O Mosa errante!”, ossia “Oh Moser veloce!“) il giovin vurgulto che prima declama

Oh tepidi
lavacri d”Aquisgrano!
ove, deposta l’orrida
maglia, il guerrier sovrano
scendea dal campo a tergere
il nobile sudor!

poi spiega:

O tiepidi
lavaggi di Aquisgrana!
dove, dopo essersi tolto
la maglietta orribilmente sporca
il re guerriero scendeva dal campo
per lavare il sudore dei nobili!

Carlo Magno re dei Franchi, sudicione sì, ma molto democratico.

(…)

Avete presente il Diacono Martino nel II atto? Il modo in cui si presenta al re Carlo è già tutto un programma; uomo di chiesa, proclama tutto fiero:

All’ordin sacro ascritto
dei diaconi io son

ovvero

All’ordine sacro iscritto
dei diavoli io son

(…) Narrando ai Franchi come gli sia stato possibile trovare un passaggio sui monti che permettesse ai soldati carolingi di raggiungere i Longobardi e far loro la festa, esclama:

Dio gli accecò, Dio mi guidò

La fede nei miracoli spinge a tradurre al volo:

Dio mi accecò, Dio mi guidò

Forse con un cane guida? Ad ogni modo, le stranezze compiute dal sant’uomo non hanno fine; egli prosegue il suo racconto con pathos crescente:

L’orme ripresi poco innanzi calcate

cioè

Raccolsi le orme dei piedi che avevo fatto prima

Arriva finalmente su di un’altura da dove scorge l’accampamento di Carlo Magno; ovviamente è agitato, felice al punto di affermare:

Il cuor balzommi: e il passo accelerai

il che in parole povere significa

Il cuore mi fuggì: ed io gli corsi dietro

E perché Martino corre tanto? Ma per raggiungere, oltre il suo muscolo cardiaco, anche la meta agognata del suo avventuroso viaggio:

I sospirati padiglion di Giacobbe

i quali altro non sono che

Le desiderate orecchie di Giacobbe

(…)

Il Cinque maggio.

Ei fu

Due parole soltanto, quattro lettere quattro: EI e FU. Non di più. Ma la stupidera imperversa incurante di lunghezze e concetti:

Egli è

oppure, più incisivo e chiarificante:

Egli è esistito

E dato che molti liceali arrivano all’ultimo anno delle superiori senza aver ancora imparato a leggere, eccoli declamare compunti al momento dell’interrogazione:

Ei pù

Pù.

© Mitì Vigliero, da Lo Stupidario della Maturità, ed. Rizzoli, 1991.

Altre Pillole di “Stupidario della Maturità”:

 

– I Promessi Sposi

– Il Detestabile Ugo; L’Infelice Giacomo; Il Povero Giovannino; Il Tenero Guido
L’Infernale Alighieri

Gabriele il Macho

Giovanni il Pizzoso, Italo l’Inetto, Luigi il Matto

Pillole di “Stupidario della Maturità”: Gabriele il Macho

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(…) I Maturandi ammettono che D’Annunzio possedesse doti naturali non comuni: “è orgoglioso di sé, maschio, superuomo, vitale, solare, maniaco sessuale“. Quest’ultima tesi viene rafforzata dalla lapidaria definizione: “D’Annunzio era un mandrillo“.

In Stabat nuda aestas D’Annunzio racconta di una volta che vide una donna che correva nel bosco. Iniziò così ad inseguirla, anche se non sapeva il suo nome e così lo chiese ad un’allodola che glielo disse. La donna scappava sempre più veloce, ma ad un tratto inciampò e cadde a pancia in giù nell’acqua: così il poeta poté vedere finalmente nuda quella immensa donna

Tutti conosciamo la passione dell’Immaginifico per il gentil sesso, ma i ragazzi ne sono addirittura ossessionati, convinti che il Vate pensasse sempre e solo alle donne, parlasse sempre e solo di donne, scrivesse sempre e solo di donne.  Persino il celeberrimo verso iniziale de La tenzone “O Marina di Pisa”, viene parafrasato “O Marina nata a Pisa“.

Certo è che le femmine ebbero una grande importanza nella vita del Gabriele, ma forse non tutti sanno quali complicate manovre le donzelle dovessero compiere per raggiungere l’amato poeta agli appuntamenti galanti:

Amica, tu verrai
furtiva nel verziere.

Amica, tu verrai
nascosta nel cesto della verdura.

Cosa non dovevano sopportare le languide dame per amore dell’affascinante Gabriele! Egli le intratteneva ipnotizzandole con le sue magiche parole, ma poi, all’improvviso, poneva loro domande come questa:

Cosa proveresti se ti fiorisse
la terra sotto i piedi, all’improvviso?

Che cosa proveresti se ti si forasse
all’improvviso la terra sotto i piedi?

Eh? Che proveresti? Oltre che mandrillo, pure sadico. E pensare che sta parlando alla sua Mamma…La povera signora Luisa Benedictis Rapagnetta (“D’Annunzio si dava tante arie, ma il suo vero cognome era Rapagnetta“) non doveva avere un facile rapporto col figlio:

In Consolazione il poeta tenta di convincere la madre che lui è di nuovo un bravo ragazzo e che non le darà più dispiaceri. Ma la madre non gli crede e poi è arrabbiatissima per il fatto che lui continua a dirle che è sorda. per tre volte infatti le ripete: “Dì, mi senti?”

Certo che a mamma Luisa potevano anche saltare ogni tanto i nervi, visto il genere di discorsi che le faceva il figliolo:

Per te sola io vo’ comporre un canto
che ti raccolga come in una cuna

Solo per te io voglio comporre una canzone
che t’infili dentro ad una cruna

Come il cammello evangelico.

DAnnunzio

(…)
Secondo i maturandi il D’Annunzio nutriva una spiccata predilezione per donne d’ogni razza; nei versi di Lungo l’Affrico “O bianche e nere / ospiti lungo l’Affrico notturno”, non sta certo parlando di rondini e torrenti, bensì di: “donne bianche e negre / ospitate nell’Africa nera come la notte” (…)

Lo charme dell’abruzzese però non lascia del tutto indifferenti le pulzelle diciottenni. Ecco come lo definiscono, parafrasando il delizioso quadro descritto ne La sera fiesolana (che, per la cronaca, secondo i maturandi ha come protagonista uno che “vendemmia delle foglie di gelso“):

E ancor s’attarda all’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta

E ancora si attarda nel lento lavoro
sull’alta scala che diventa nera
contro il poeta che diventa argenteo

Che “fusto”, il Gabriele!

Ma torniamo inevitabilmente alle sue donne. I ragazzi persistono nell’affermare che gli andavano bene tutte, belle o brutte, umane o marziane:

Non bianca
ma quasi fatta virente
par da scorza tu esca

Non più bianca
ma diventata quasi verde
come uscita dalla buccia.

I futuri scienziati hanno invece le idee un po’ confuse nei riguardi di paesaggi, anatomia ossea e fauna dimorante nelle pinete:

E andiam di fratta in fratta
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)

E andiam di fossa in fossa
o uniti o slacciati
(e il verde rude forzuto
ci lega i polsi
ci morde i ginocchi)

Nella Pioggia nel pineto D’Annunzio dice che la pioggia, cadendo su di lui ed Ermione, varia di rumore a seconda che picchi sui capelli più folti o meno folti” (La pioggia cade / su la solitaria / verdura / con un crepitio che dura / e varia nell’aria secondo le fronde / più rade, men rade)

E cosa accade allo stupendo inizio della La sera fiesolana, quando viene calpestato dalle orde vandaliche dei maturandi?

Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva

Dolci le mie parole nella sera
siano per te come la pioggia che grugniva

e dove pioveva?

Sul fieno che già patì la falce
e trascolora

Sul fieno già tagliato dalla falce
e ora impallidisce dissanguato

(…)
Le maturande menti giudicano I Pastori d’Abruzzo dei retrogradi che dovrebbero decidersi a cambiare una buona volta i loro macchinari, visto che “Van pel tratturo antico al piano”, ossia “Vanno verso la pianura su di un vecchissimo trattore
(…)

Gabriele amava il mare ma, già ai suoi tempi, l’inquinamento imperversava:

Ai piedi ho quattro ali d’alcédine

Ai piedi ho quattro ali d’acetilene

Ai miei piedi il segno d’un’onda
gravato di nero tritume

Sui miei piedi c’è il segno di un’onda
pesante di nero bitume

Ma, nonostante tutto, il Vate ha la possibilità di dedicarsi al suo hobby preferito anche sulle spiagge inquinate o meno; nel verso seguente, sembra che stia parlando di una conchiglia…

Luccica la valva polita

…ma in realtà, secondo i maturandi maliziosi, sta descrivendo una suffragetta:

Luccica la vulva politica

La vita di D’Annunzio è, infine, qualcosa da studiare con somma noia e sopportazione, soffermandosi solo su fatti degni di particolare interesse:

Condusse sempre una vita ricca di divertimenti, basti pensare al volo su Vienna

Viveva in una villa molto bella chiamata Il Vittorioso

Perse un occhio in guerra e così decise di scrivere Notturno per non annoiarsi

Era diventato tanto orbo che cadde persino dal poggiolo

Ormai era vecchio: inventò Eja eja alalà, battezzò la Rinascente e poi morì

 

© Mitì Vigliero, da Lo Stupidario della Maturità, ed. Rizzoli, 1991.