Il “miglior amico dell’uomo” sin dai primordi, apprezzato per la sua fedeltà ma chissà perché utilizzato spesso per connotare situazioni e personaggi negativi, squallidi e tristi.
Infatti una brutta tinta indefinita, fra il marrone e il bigiastro è detta color can che scappa; dopo un pranzo schifoso commentiamo che abbiamo mangiato “da cani” e chi non sa fare il suo mestiere, soprattutto nell’ambiente artistico, si dice che recita, canta o scrive “come un cane”.
Dare del “figlio d’un cane” a qualcuno è spesso più sprezzante che dargli dell’erede di Donnina Allegra; inoltre si può “morire come un cane”, in totale solitudine, abbandonati da tutti ed è possibile, in un momento di rabbia, “trattare qualcuno come un cane” facendolo sembrare, dopo la sfuriata, “un cane bastonato” grazie alla sua espressione avvilita e vergognosa, proprio come quella di un botolo picchiato dal padrone amatissimo.
I vanagloriosi e i petulanti, quelli che spesso sbraitano e provocano a gran voce ma son prontissimi a fuggire in caso di reazioni non proprio amichevoli, sono definiti “Cani da pagliaio, che abbaian e stan lontano”; infatti si sa che il “Can pauroso abbaia più forte” e che “Can che abbaia non morde”…quasi mai.
Martin Lutero però, riferendosi alle accuse e alle offese fattegli dai suoi nemici, ripeteva “L’abbaiar dei cani non arriva al Cielo”, come i ragli d’asino.
Spesso le offese, le proteste e le lamentazioni sono sforzi inutili, come l’”abbaiare alla Luna”; si continua a litigare “come cane a gatto”, certo, ma in ogni caso negli stessi ambienti gli interessi comuni, anche quelli non corretti, vengono sempre difesi perché “cane non mangia cane”, soprattutto se si tratta di “cani grossi”, nel senso di potenti.
C’è chi si vendica delle protervie vere o presunte subite da uno di questi “battendo il cane al posto del padrone”, prendendosela cioè con qualcuno di più debole che gli è vicino; e vita non sempre facile hanno nella società civile i cosiddetti “cani sciolti”, professionisti che se ne fregano delle regole di clan e del politicamente corretto preferendo pensare con la propria testa, rischiando però d’esser trattati “come un cane in chiesa”, aborriti e allontanati dagli scaccini di turno che di solito sono “cani d’ortolano”, quelli che, non usando per natura mangiare l’insalata, non la lasciano mangiare neanche agli altri.
E spesso ci si può trovare di fronte, o esserne addirittura incarnati in certi esempi politici, nella Coda del cane di Alcibiade.
Un giorno il politico ateniese fece mozzare la coda del suo cane preferito, così, senza motivo apparente.
E quando gli chiesero il perché di quel gesto inconsulto rispose:
“Finché gli Ateniesi continueranno a essere così interessati alle mie stranezze, non criticheranno la mia attività politica”.
A questo proposito si sa che ciascuno è libero di governare come gli pare, l’importante però è che “non meni il can per l’aia”, tergiversando e temporeggiando, perdendosi in chiacchiere e azioni diversive e inutili, nel tentativo di rimandare o evitare impegni seri e vitali.
Altrimenti i governati, abbandonati a se stessi, non potranno che tentar di dimenticare le loro magagne seguendo la ricetta de El can de Trieste .