Chi bazzica abitualmente il Golfo del Tigullio, avrà di certo sentito parlare dell’antica rivalità esistente fra gli abitanti di Santa Margherita e quelli di Rapallo; un’antipatia oggi quasi scomparsa, ma che ha precise origini storiche.
Nel XVI secolo il mar Mediterraneo era sconvolto dalle nefande imprese del ferocissimo pirata turco Torghut, il cui nome venne presto storpiato in Dragut.
Il 26 aprile del 1549, il Doge di Genova aveva spedito alle autorità di Santa Margherita e al Podestà di Rapallo una grida in cui li esortava a raddoppiare le guardie sulla costa, servendosi di fuochi notturni e diurni e di “segni di netto e di brutto” (fumi bianchi e neri) che avrebbero dovuto avvisare gli abitanti dell’arrivo delle navi corsare, di modo che gli uomini avrebbero potuto armarsi, i beni essere anfrattati e “le donne con li vecchi e i putti” correre a nascondersi sulle alture.
Fatto sta che i Rapallesi – il perché non si sa, forse per un errore di informazione – disattesero la grida; la notte del 4 luglio il Dragut – al comando d’una flotta di 22 velocissime fruste (piccoli e agili velieri arabi)– piombò come un fulmine su di loro portando morte e distruzione: i Sammargheritesi, allarmati dal fracasso, riuscirono per un pelo ad armarsi ed evitare l’assalto.
Il Podestà di Rapallo, dopo la sciagura, andò dal Doge dicendogli che occorreva costruire un castello fortificato sulla costa del suo Borgo; i soldi però li avrebbero dovuti tirar fuori i limitrofi Sammargheritesi, visto che i Rapallesi avevano subito ingentissimi danni e loro no, e anche perché correva la voce che al fianco di Dragut operasse come schiavo-consigliere tal Maranola, un sammargheritese marrano e rinnegato che di certo aveva dato al Corsaro le giuste dritte per l’assalto.
Quando la notizia arrivò a Santa, vi fu un’esplosione di rabbia; gli annali narrano che l’”agente maggiore” Giacomo Costa, uno “dei più altieri in esso loco”, lasciò andare un pugno sul tavolo urlando “Sangue di Dio!” – cosa che, secondo la legge vigente allora, avrebbe potuto costargli la galera o la perforazione della lingua.
A quel grido, la popolazione si riversò nella piazza della Chiesa manifestando la propria indignazione.
Basta “contribuzioni che a Santa Margherita non profittavano un bel niente”!
Basta “star soggetti al borgo di Rapallo”!
E poi “che ne potevano loro se quei là, di fronte a Dragutte, eran scappati come femmine in camicia? Che perciò venissero a mungere come sempre le tasche dei sammargheritesi, questo, perdinci, no!”.
E poiché i tre nerborutissi figli del Costa minacciavano addirittura di marciare su Rapallo e “fare il resto” – ossia di finire il lavoro di Dragut – e i Rapallesi da parte loro volevano pestare quelli di Santa per colpa del loro concittadino traditore, le Somme Autorità gnovesi decisero salomonicamente che ciascuna delle due cittadine avrebbe dovuto costruirsi un castello difensivo, piantandola una buona volta di “rattellàre” (litigare).
Così, su disegni di Antonio de Carabo, maestro comacino, vennero edificati i due castelli di pietra grigia che ancora oggi vediamo: il primo a Rapallo, al limite della passeggiata, il secondo a Santa Margherita, proprio nel centro del suo piccolo golfo.