Sono passati tanti anni dalla prima edizione del mio – ormai testo d’antiquariato – Stupidario della Maturità; molti Maturandi di allora probabilmente hanno figli già alle prese con l’Esame-Incubo per eccellenza, la prima “Grande Prova” della loro vita.
Eppure, nonostante il tempo trascorso e il passaggio generazionale, le sensazioni che l’Esame di Maturità provoca nei ragazzi sono sempre le stesse, identiche a quelle provate dai loro padri e nonni. Non importa che il livello di difficoltà si sia indubbiamente e generalmente abbassato; l’agitazione, l’ansia, la paura, sono sempre uguali. E oggi come allora, contribuiscono alla creazione delle meravigliose, surreali, assurde stupidatepartorite dai maturandi durante gli scritti e orali.
Ne riporto qui alcune estratte dai vari capitoli dello Stupidario annata 1991, dedicandole con un mare di affetto ai Maturandi annata 2018; prendetele come un intervallo rilassante e tutto da ridere, cercando però di non ripeterle all’esame, eh? ;-)
In Ciociaria si trova il Castello di Fumone; grazie alla sua posizione dominante un immenso paesaggio, nel Medioevo fungeva da sentinella contro le incursioni saracene, longobarde e normanne.
Appena si vedevano movimenti sospetti, dalla torre del “Castro Fumonis” si levava un’immensa colonna di fumo che veniva vista e ritrasmessa dalle torri di Rocca di Cave, Castel San Pietro di Palestrina, Paliano e altre, arrivando sino a Roma e dando in tal modo l’allerta.
Ma la torre è celebre anche perché nel 1296 vi fu imprigionato e morì in circostanze misteriose Pietro Angelerio detto Pier da Morrone alias Papa Celestino V, colui che secondo Dante (Inferno, III) “fece per viltade il gran rifiuto” (solo perché abdicando favorì l’elezione dell’acerrimo nemico dell’Alighieri, Bonifazio) e invece secondo Jacopone da Todi, venne ridotto “in cennere e ’n carbone” da quella “fucina, loco tempestoso” che era la Curia Romana d’allora.
Sin da bambino non sopportava rumore e gente intorno; religiosissimo, ipersensible e tormentato da incubi e visioni, si rinchiuse in una vita mistica e penitenziale vivendo da eremita in luoghi impervi e isolati.
Ben presto però la sua fama di “santo” attirò torme di fedeli ammiratori; infastidito ed esasperato, per sfuggire alla presenza assillante di questi Pietro continuò a cambiar eremi: dal Monte Porrara al Morrone alle vette della Maiella.
Ma nel 1294, su pressione di Carlo d’Angiò fu eletto Papa col nome di Celestino V.
Trascorse da allora un periodo infernale, circondato da maneggioni e faccendieri che gli facevano addirittura firmare bolle papali in bianco.
Costretto a seguire il Re a Napoli, si fece costruire in Castel Nuovo una minuscola stanza di legno ove stava rintanato a pregare, affidando il comando a tre cardinali.
Dopo 5 mesi rinunciò al papato.
Al suo posto venne eletto Benedetto Caetani, il terribileBonifacio VIIIil quale, ben sapendo che la presenza del Celestino -anche se “ex” – avrebbe provocato uno scisma, per toglierlo di mezzo lo imprigionò in un’inumana cella di Castel Fumone, dove il poveretto morì dopo dieci mesi.
E qui arriviamo al giallo. Anzi, al noir.
NellaBadia di S.Spirito a Sulmona, eremo prediletto del da Morrone, pare che sino al XVII sec. si conservasse un “un chiodo longo mezo palmo e più, ligato con certi pezi di sangue congelato di color pardiglio, involto in tafetà drappo di seta scolorita“; si diceva fosse l’arma usata da un sicario nipote di Bonifacio per ammazzare Celestino.
E pare che in Santa Maria a Maiella, altro eremo, in un orripilante affresco ora scomparso si vedesse Celestino pregante e dietro di lui un uomo che gli poggiava sulla testa il chiodo sollevando contemporaneamente un martello.
Nel 1630Lelio Marini, Abate Generale dei Celestini e Sherlock Holmes nell’anima, dopo aver esaminato reperti e cadavere, scoprì nel cranio un foro in cui quel chiodo entrava perfettamente: ergo ne denunciò l’assassinio.
Ma non se ne fece nulla; anzi l’arma del delitto scomparve misteriosamente.
Nel 1888 venne fatta un’altra autopsia, che dichiarò quel buco “assolutamente non accidentale”.
Nel 1998 dalla Basilica di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila, la salma venne trafugata da ignoti e ritrovata in un cimitero vicino a Rieti. Allora l’Istituto di Anatomia dell’Aquila – dopo aver confermato l’esistenza del buco nel teschio- sottopose i resti a varie analisi, TAC compresa: ma i risultati andarono, di nuovo,miracolosamente perduti.
Il mistero della morte di Celestino rimane da secoli uno dei prediletti da Complottisti&affini e, riportato oggi alla memoria dall’ultimo clamoroso abbandono, lo sarà ancor di più.
Ma da secoli ormai Pier da Morrone se ne impipa, godendosi in eterno gli agognati pace e silenzio.
Quando oggi entriamo in una farmacia, ci troviamo spesso in un asettico ambiente tutto cristalli, acciai, specchi, fòrmiche, plexiglas, mentre potenti faretti alogeni illuminano a giorno banconi in pvc, armadi d’alluminio dalle ante a saracinesca e scaffali di ferro laccato.
Ma se oggi le novelle farmacie vendono non solo farmaci ma anche scarpe, giocattoli, guaine, cosmetici, profumi e bijou non è segno di progresso, ma di ritorno alle origini.
Si sa che tra le Sette Arti Maggiori medioevali italiane, una delle più rilevanti – insieme a quella della Lana e della Seta – era quella dei Medici e degli Speziali, gli odierni farmacisti, appunto; ma forse non tutti sono a conoscenza del fatto che da questa dipendevano Arti Minori, come quella dei Battiori (che lavoravano l’oro) e molti mestieri: Bicchierai, Boscalieri, Cartolai, Librai, Mascherai (fabbricanti di maschere), Stovigliai, Pettinagnoli e così via.
Furono parecchi gli uomini illustri iscritti all’Arte dei Medici e Speziali; ricordiamo Dante Alighieri, Leon Battista Alberti e Marsilio Ficino. Anche i Pittori/Vetrai (come Guasparre da Volterra che nel 1440 dipinse i vetri di Santa Maria del Fiore, o Alessandro Fiorentino, autore del meraviglioso finestrone del coro di Santa Maria Novella) dipendevano, iscrivendovisi, da quest’Arte per la preparazione dei loro colori, così come i copisti, gli Scrittori e i primi Tipografi a cui necessitava per gli inchiostri. Di conseguenza, anche tutti quelli che erano addetti alla composizione dei libri (Rilegatori, Incisori, Lavoratori in cuoio e in carta pecora) erano iscritti e sottoposti alle leggi rigorose dello Statuto di quell’Arte.
Nel Trecento e nel Quattrocento (ma sino al Settecento, quando vennero sostituite dai Caffè) la “Bottega dello Speziale” era il ritrovo ufficiale di personaggi dotti e saggi, ma a anche di squattrinati studenti e di eleganti fannulloni che lì si riunivano per discutere le notizie del giorno, per ascoltarne le novità politiche e sociali (pettegolezzi compresi) e passare il tempo sorseggiando, proprio come in un bar, qualche liquore prelibato.
E anche fino a non molto tempo fa, nei paesi , era proprio in farmacia che le autorità indiscusse quali Parroco, Sindaco, Medico, Maresciallo dei carabinieri, si riunivano per discutere col Farmacista di politica, problemi comunali, se non semplicemente per fare una partita a carte…
Tornando al nostro discorso, anche ogni convento, ogni monastero aveva la sua Spezieria (alcune tuttora esistenti), che distribuiva gratis i medicinali ai poveri e fabbricava liquori e sciroppi (curativi ma golosi) la cui ricetta era segretissima.
Certo che allora la Scienza Medica si trovava ancora ad un livello elementare, spesso guidato dalla superstizione popolare; ad esempio si credeva talmente alle virtù delle pietre preziose che a quel poveretto di Lorenzo de’ Medici, quand’era moribondo, come supremo tentativo di salvarlo i suoi medici privati gli fecero bere un decotto di perle e rubini pestati e ridotti in polvere…
Le botteghe degli Speziali consistevano generalmente di due ambienti; nel primo era esposta e venduta la merce e il secondo era il laboratorio ove venivano preparati i farmaci. Erano arredate con eleganza estrema, che spesso rasentava il lusso; muri dipinti con affreschi o rivestiti di arazzi, di cuoio stampato e dorato, di legno intarsiato e spessi scaffali straripanti splendidi vasi di maiolica dipinta.
Attorno alle pareti vi erano lunghe panche, dove i clienti potevano sedersi, mentre un grande tappeto copriva il pavimento.
Oltre ai prodotti medicinali, gli Speziali vendevano oggetti considerati di lusso; guanti profumati, libri odorosi, essenze, frutti e fiori canditi, bon bon, oggetti da toeletta o da regalo e ceramiche fini da tavola, come i cosiddetti “servizi puerperali” fioriti e dorati, che servivano alle signore quand’erano costrette a letto dal parto. A questo proposito, in Santa Maria Novella, nell’affresco del Ghirlandaio titolato Nascita di San Giovanni Battista, si nota una fantesca che reca alla sponda del letto della puerpera proprio uno di questi servizi completo di vassoio, tazza, zuppierina e coppa finemente decorate.
In mezzo alla stanza principale della Spezieria, c’era un lungo e massiccio banco a sportelli, coperto da una miriade di vasi, vasini e vasetti contenenti unguenti, fiale, bottigline e tazzine “per gli assaggi”. Sugli scaffali a muro erano allineati gli alberelli, lunghi vasi col tappo così chiamati perché anticamente venivano fabbricati con legno di pioppo; alcuni erano in terracotta, altri in fine maiolica decorata e colori varianti dal verde al giallo al blu: su ognuno era dipinto il nome della merce che conteneva, generalmente aromi, spezie, canditi, manna, datteri, erbe secche eccetera. Invece, sugli scaffali più bassi, erano impilate in bell’ordine scatole rotonde o ovali in legno dipinto, metallo cesellato, avorio intarsiato, o foderate in velluti, damaschi, cuoio, che servivano per conservare spazzole, pettini, nastri, spugne e vari oggetti da toeletta. Sotto gli scaffali, grossi orci in coccio pieni di decotti ed infusioni già pronti per l’uso; e tutto (fiale, alberelli, vasi, scatole…) aveva attorno un nastro di seta su cui era dipinto il nome dello Speziale.
Ma quello che soprattutto attirava in Spezieria uomini e donne, erano i profumi, merce in gran voga allora vuoi per vanità, vuoi per la convinzione che essi tenessero lontani gli effluvi malefici delle tante epidemie pestilenziali che in quel periodo funestavano l’Italia, vuoi perché la pulizia del corpo e delle strade non era un granché e il profumo nascondeva ben altri olezzi.
I profumi costavano carissimi; una cronaca fiorentina racconta che un solo sacchetto d‘Essenza Orientale poteva raggiungere la terrificante cifra di 400 fiorini d’oro. I più rari, e quindi di moda, provenivano dalla Spagna ed erano detti dell‘Infante Isabella e di Donna Fiorenza dell’Ulhoe; e sempre una spagnola, Eleonora di Toledo, introdusse in Italia la moda dei guanti profumati.
Soprattutto le Spezierie vendevano centinaia di bóccheri (o buccheri), composto di terra e paste odorifere di fiori e erbe forgiato in forma di piccoli vasi; i più pregiati venivano dal Portogallo, erano di color nero, cotti in forno e lucidati in modo che lucessero come ebano e poi, posti nell’acqua, spargevano attorno un delizioso odore.
Allo stesso modo, le dame usavano tenere appeso al collo, come un medaglione, dei piccolissimi bòccheri forati da dove uscivano gocce di profumo, secondo una moda greca e pompeiana che già aveva inventato orecchini con pendente forato contenente rare e dense essenze le quali, con l’ondeggiar della testa, cadevano a stille sottilissime sul collo e sulle spalle.
E in ogni Spezieria si vendevano anche i cunzieri, grandi vasi pieni di terra di bucchero che servivano a profumare gli appartamenti di lusso.
Ma i profumi non finivano solo sulle persone o negli ambienti; la moda gastronomica (che durò sino al Settecento) li imponeva anche come condimento nelle vivande: nei saporetts (salse), nei pan levati (una sorta di biscotti), nel cappone in galera (una specie di zabaione, e chissà perché si chiamava così…).
Non vi era piatto di carne o pesce o verdura, che non venisse abbondantemente innaffiato da “acqua” di rose, di cedro, d’arancia, violetta e gelsomino; ma dato che per dosarli bene ci voleva una mano esperta, ecco che le Spezierie si tramutavano anche in negozi di gastronomia e gli Speziali in cuochi, occupandosi persino dei banchetti funebri confezionando dolci e biscotti e tartine che venivano distribuite ai mesti invitati. Sempre una Cronaca fiorentina narra che nel 1365, per il funerale di una certa Monna Piera de’ Valori Curonni, furono pagati a Giovanni di Bertoldo, apotecario (speziale) fiorentino, ben 53 fiorini d’oro.
Non si sa se gli Speziali si occupassero anche dei rinfreschi per battesimi e matrimoni; immagino di sì, così come son certa (grazie a cronache genovesi del ‘400) che, per questi ultimi, i bravi Speziali venissero consultati febbrilmente dagli sposi (in separata sede) i quali ordinavano per l’occasione “unguenti, siroppi, potioni et altra medicamenta capace di rinvigorire, satisfare et infine procreare“.
Come vedete, pure il Viagra è nihil sub sole novi.
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