Eclissi di Sole e di Luna: curiosità, credenze, superstizioni

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Come tutti gli avvenimenti inspiegabili, strani o semplicemente rari, le eclissi lunari e solari han sempre colpito molto la fantasia popolare, che dava loro connotazioni di negativi presagi o manifestazioni diaboliche.

Nel 1504 Cristoforo Colombo, il quale sapeva da testi scientifici che ci sarebbe stata un’eclissi lunare, la sfruttò in modo bieco per ottenere l’aiuto degli indios della Giamaica: fece finta di pregare Dio dicendo più o meno “Fai vedere a questi oscuri selvaggi quanto sei potente: oscura la Luna!”.
Cosa che regolarmente avvenne e convinse i giamaicani.

Effettivamente vedere il disco luminoso e candido della Luna (o del Sole) venire lentamente coperto da un altro disco estraneo, nero e buio come gli Inferi, sottolinea il presunto carattere magico del fenomeno: come se le tenebre volessero letteralmente “mangiare” la luce, come se la morte prendesse il sopravvento sulla vita.

Per questo gli antichi e pagani guerrieri degli eserciti, se vedevano la notte prima della battaglia un’eclisse, di comune accordo con l’avversario rinviavano la tenzone ad un altro momento; non solo, ma si mettevano tutti insieme a ululare in direzione della Luna, per spaventare il nero Essere mostruoso che la stava “divorando”.

Lunar Eclipse

Se il popolo Maya non aveva affatto paura dell’eclissi lunari e solari, anzi sapeva predirle con estrema esattezza, i Persiani credevano che l’eclissi fosse una punizione divina nei confronti degli uomini.
Pensavano che tutte le volte che qualcuno stava per compiere o aveva compiuto gesta malvage (tradimenti, infanticidi ecc), gli dei chiudessero in una specie di tubo l’astro celeste (luna o sole che fosse), lasciando gli umani nel buio più completo, con la sola compagnia di Incubi e Rimorsi.

E nel Medioevo i contadini erano convinti che le eclissi fossero causate da certe parole magiche pronunciate da streghe cattive; queste parole avevano il potere di “ipnotizzare” la Luna, obbligandola ad avvicinarsi alla terra per deporre una sorta di rugiada schiumosa sulle erbe che poi sarebbero servite alle fattucchiere per compiere ogni sorta di nefandi sortilegi. Il sole invece, sempre avvicinandosi alla terra, avrebbe bruciato non solo piante e coltivazioni, ma anche il cervello degli uomini facendoli diventare matti.

Quindi, per impedire che la Luna o il Sole udissero le stregonesche parole, all’inizio delle eclissi tutti gli abitanti dei villaggi si mettevano a correre sui campi facendo un fracasso infernale, agitando campanacci da mucca, martellando lastre di rame e di bronzo, percuotendo incudini e urlando come pazzi.

Infine, per i napoletani, le eclissi di Luna (e solo di Luna) devono essere guardate non da dietro i vetri della finestra, bensì all’aperto, a viso nudo: e il giorno dopo bisognerà correre alla prima ricevitoria del Lotto a giocare il numero 70.

© Mitì Vigliero

Stanotte Luna Piena Dalla Doppia Magia: Oltre I Regalini, L’Eclissi, Di Cui Vi Racconto Un Po’ Di Curiosità

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La Luna Piena di aprile, detta dagli Indiani d’America Luna delle Rose e che – nuvole permettendo – vedremo stanotte, sarà doppiamente magica; Luna dei Regalini (avete preparato i 3 desideri?) e anche Luna con eclissi parziale.

Come tutti gli avvenimenti inspiegabili, strani o semplicemente rari, l’eclissi lunare – così come quella solare – ha sempre colpito molto la fantasia popolare, che le diede connotazioni di negativi presagi o manifestazioni diaboliche.

Nel 1504 Cristoforo Colombo, il quale sapeva da testi scientifici che ci sarebbe stata un’eclissi, la sfruttò in modo bieco per ottenere l’aiuto degli Indios della Giamaica: fece finta di pregare Dio dicendo più o meno “Fai vedere a questi oscuri selvaggi quanto sei potente: oscura la Luna!”.
Cosa che regolarmente avvenne e convinse i giamaicani.

Effettivamente vedere il disco luminoso e candido della Luna venire lentamente coperto da un altro disco estraneo, nero e buio come gli Inferi, sottolinea il presunto carattere magico del fenomeno: come se le tenebre volessero letteralmente “mangiare” la luce, come se la morte prendesse il sopravvento sulla vita.

Per questo gli antichi e pagani guerrieri degli eserciti, se vedevano la notte prima della battaglia un’eclissi lunare, di comune accordo con l’avversario rinviavano la tenzone ad un altro momento; non solo, ma si mettevano tutti insieme a ululare in direzione della Luna, per spaventare il nero Essere mostruoso che secondo loro la stava “divorando”.

Se il popolo Maya non aveva affatto paura dell’eclissi lunari, anzi sapeva predirle con estrema esattezza, i Persiani credevano che l’eclissi fosse una punizione divina nei confronti degli uomini.
Pensavano che tutte le volte che qualcuno stava per compiere o aveva compiuto gesta malvage (tradimenti, infanticidi ecc), gli dei chiudessero in una specie di tubo l’astro celeste (luna o sole che fosse), lasciando gli umani nel buio più completo, con la sola compagnia di Incubi e Rimorsi.

E nel Medioevo i contadini erano convinti che le eclissi fossero causate da certe parole magiche pronunciate da streghe cattive; queste parole avevano il potere di “ipnotizzare” la Luna, obbligandola ad avvicinarsi alla terra per deporre una sorta di rugiada schiumosa sulla erbe che poi sarebbero servite alle fattucchiere per compiere ogni sorta di nefandi sortilegi.

Quindi, per impedire che la Luna udisse le stregonesche parole, all’inizio dell’eclissi tutti gli abitanti dei villaggi si mettevano a correre sui campi facendo un fracasso infernale, agitando campanacci da mucca, martellando lastre di rame e di bronzo, percuotendo incudini e urlando come pazzi.

Infine, per i napoletani, le eclissi di Luna devono essere guardate non da dietro i vetri della finestra, bensì all’aperto, a viso nudo: e il giorno dopo bisognerà correre alla prima ricevitoria del Lotto a giocare il numero 70.

Guardandola lì stanotte potrete anche esprimere i 3 desideri ascoltando come colonna sonora, ovviamente, questa.

© Mitì Vigliero

Antiche Estati Genovesi 2: Quando S’Andava A “Prendere il Bagno”

(Bagni San Pietro alla Foce)

Fine dell’Ottocento. Il Mantegazza tuonava:

“Il bagno in mare può far miracoli, può trasformare un bimbo scrofoloso in un gagliardo rampollo che porterà il vostro sangue fino alla centesima generazione, può cambiare una convulsa damigella che sviene all’odore del gelsomino in una robusta matrona che può ascendere il Monte Bianco. Quindi andate al mare, o uomini di pianura e di palude, di colli e di monti. Andate al mare e ne riporterete a casa vostra salute, gioia, poesia.”

I genovesi ligi ai consigli del celebre igienista, abbandonavano case e scàgni (uffici) per recarsi “a prendere il bagno” in spiagge che sembravano distanti chilometri perché situate allora davvero in altri “paesini-frazioni”  che oggi invece fanno parte integrante della città.

Andare solo a Sampierdarena o a San Nazzaro (oggi Corso Italia) era un viaggio da famiglia Brambilla in vacanza; i mezzi di trasporto più comuni erano itreni della stazione Principe o le linee tramviarie come la Genova-Foce che partiva da Piazza dell’Annunziata e si fermava (come diceva la pubblicità) a “venti passi esatti” dagli stabilimenti balneari.

A Ponente i più noti erano i Cristoforo Colombo, Stella, Balilla, Giunsella, Margherita e Borana di Sampierdarena; a Cornigliano i Victoria, quelli accanto al Castello Raggio, e i Costanza; a Sestri quelli del Grand Hotel e poi i Pegli.

Levante i Bagni Popolari Strega (dove ora c’è la  sopraelevata), i San Giuliano, i San Pietro; i Marinetta a San Francesco d’Albaro (dove andava Gozzano), i Pompei, Baccione, Ciccetta Casareggio a Sturla, mentre il Lido d’Albaro verrà inaugurato solo nel 1908.

 (Bagni Popolari Strega)

(San Pier d’Arena, Bagni Margherita)

Le famiglie, stracariche di vettovagliamenti vari, una volta entrate negli stabilimenti si separavano: uomini da una partedonne dall’altra.

A ciascuno dei sessi erano riservati cabine e camerini, bagni e docce, salvagenti e canotti, porzioni di spiaggia e persino di mare, il tutto posto a debita, pudica distanza.

Spesso un lungo tendaggio appeso a una corda divideva la spiaggia femminile da quella maschile e la corda proseguiva in acqua , vuoi per divisorio vuoi per aiuto a nuotatori inesperti.

(Cornigliano, Bagni del Castello Raggio)

Su tutti vegliavano nerboruti, baffuti bagnini ma se qualche signora desiderava imparare a nuotare, doveva rassegnarsi alle lezioni di energiche, anziane bagnine dal gonnellino a righe rosse.

Le bagnanti chiuse nei camerini, dopo aver impiegato mezz’ora a spogliarsi dalle lunghe gonne, corpetti, camiciette, corsetti, sottovesti, calze, mutandoni e cappellini, ne impiegavano un’altra per infilare il costume da bagno di lana di alpaca rigorosamente blu o nera (per evitare scandalosetrasparenze“), decorato al colletto da righine bianche.

(*)

Un vero e proprio abito intero e, una volta bagnato, pesantissimo, arricchito da gonne sovrapposte ornate di balze sino a metà polpaccio e maniche al gomito; le adulte indossavano spesse calze di seta e tutte, in testa, vezzose cuffiette di lana, arricciate e bordate di pizzo, calcate sino alla radice del naso. Obbligatorio l’ombrellino parasole, possibilmente di bambù o seta a disegni orientali.

(1910)

gli uomini, cui la moda maschilista permetteva più audacia, infilavano tute di lana composte da canottiera e lunghi bermuda aderenti; in testa, una fresca, distinta paglietta atta sia a riparar dal sole, sia a proteggere dal salino i capelli impomatati, sia a salutare galanti – dall’altra parte della barricata – le natanti donzelle.

(Priaruggia)

La vita nello stabilimento balneare fine ’800 primi 900, non comprendeva soltanto i bagni in mare.
Erano molti quelli che, pur trascorrendo ore sulla spiaggia, preferivano starsene completamente vestiti all’ombra di ampi tendaggi stile padiglione arabo.

Sempre secondo il Mantegazza “respirare l’aria salata” era una cura anch’essa, che preservava da raffreddori e bronchiti invernali, ossigenava il sangue arterioso e, grazie allo jodio, stimolava l’intelligenza.

(San Francesco d’Albaro, Bagni Marinetta)

Le signore più mature sferruzzavano o ricamavano, tenendo incessantemente d’occhio le giovani figlie o nipoti le quali, sfacciatelle, pareva facessero apposta ad arrotolarsi negli ampi costumi bagnati per mostrar meglio le forme ai giovanotti dell’altra metà della spiaggia.

signori dai candidi favoriti fumavano la pipa o il sigaro, finalmente liberi di farlo all’aria aperta di fianco a consorti miracolosamente non geremianti per “l’orribile puzzo“.

E tutti, uomini e donne, indossavano rigorosamente abiti bianchi larghi e leggeri e, viste dall’alto, le spiagge sembravano popolate da candidi, immensi gabbiani.

(Lido d’Albaro)

I bagni Victoria di Cornigliano  erano tra i più comodi, dotati persino di “gabinetti di lettura“, ampie cabine fresche e arieggiate dove era possibile rintanarsi per leggere in pace libri e giornali messi a disposizione gratuitamente.

pomeriggi domenicali venivano invece allietati da lunghe e chiassose esibizioni della Banda Dilettante Cittadina e, se si voleva, la giornata al mare poteva proseguire sino a notte tarda poiché ai Victoria esisteva un’immensa sala prefabbricata fatta apposta per concerti e danze, così come al Lido d’Albaro.

(San Giuliano)

Gli stabilimenti  più eleganti avevano già allora dei bar-ristorante posizionati su terrazze di legno, dove la divisione dei sessi non esisteva anche perché – come avvisavano grandi cartelli posti all’ingresso – era “severamente obbligatorio” andarci completamente vestiti.

Lì s’ingannava il tempo sorseggiando tamarindi, limonate o liquori, inghiottendo cucchiaiate di gelati e granite, ingurgitando fettone di torta di riso e formaggio o crostate.

Intorno ai quei tavoli, allora come ora, c’erano sempre gli indefessi eroi della briscola, della dama, degli scacchi.

Ma soprattutto, allora come ora, si “ciattellàva” tanto di questo e di quello, e i pettegolezzi sussurrati, le opinioni politiche, le discussioni familiari, le parole d’amore venivano raccolte tutte insieme dalla brezza marina e portate al largo, verso l’orizzonte lontano.

© Mitì Vigliero