Per la Serie “Storie Brividose”: Inquietanti mani romane

Roma in Via Trionfale 5952, si trova Villa Stuart; ora è una moderna clinica, ma nell’Ottocento fu dimora di una coppia alquanto balzana, che si rese protagonista di una storia divenuta una delle leggende più inquietanti dell’Urbe.

Lì abitava la poetessa Emmeline Stuart-Wortley, nobildonna inglese, insieme Lord Allen.
I due davano scalpore perché vivevano pubblicamente “nel peccato” non essendo sposati: ma ciò che più rendeva chiacchieratissima la coppia era la passione per il mondo dell’occulto, una vera e propria moda dell’epoca.

Ogni sera, in un salotto fiocamente illuminato, organizzavano sedute spiritiche alle quali partecipavano medium fatti venire da ogni parte d’Europa, nonché membri della nobiltà e della cultura romana.
Pian piano  Emmeline si convinse di possedere virtù medianiche, e se ne convinse a tal punto da vedere spettri in ogni dove; si diceva perseguitata dal fantasma della sorella mentre lui – probabilmente suggestionato – lo era da demoni.

Fatto sta che l’atmosfera in casa divenne intollerabile; la servitù fuggì, raccontando di aver assistito a fenomeni inspiegabili quali poltrone che svolazzavano all’altezza dei soffitti e vasi che d’improvviso schizzavano a schiantarsi contro le pareti.

Anche gli amici della coppia diradarono le visite sino a non farsi più vedere, e i due rimasero soli in preda alla follia.

Un giorno Allen scomparve; tutti pensarono che, rinsavito, se la fosse data a gambe piantando la lugubre amante.

Ma questa, che ormai dava completamente i numeri, delirando in preda a “febbri cerebrali” raccontava che ogni notte s’addormentava al suo fianco, stringendogli la mano.

Quando Emmeline morì, nel 1855, venne scoperto di fianco al suo letto un piccolo buco nella parete: dietro questa il cadavere di Lord Allen, con una mano sollevata proprio all’altezza di quel buco.

E di altre mani inquietanti si sussurra da secoli a Piazza Navona; lì, a fianco della chiesa di Sant’Agnese, s’affaccia il retro  del palazzo De Cupis.

Come racconta Giorgio Vigolo ne “Le notti romane” (Bompiani), nel Seicento un De Cupis sposò Costanza Conti, nobildonna dotata di splendide mani; erano così belle che uno scultore – tal Bastiano, che aveva la bottega nei fondi del palazzo o, secondo altri, davanti alla chiesa della Madonna de’ Monti- ne fece di una un calco in gesso: questo divenne così celebre che la gente andava a vederlo in pellegrinaggio, manco fosse una reliquia.

Un giorno un frate, Canonico Regolare di San Pietro in Vincoli, commentando sarcastico e severo quella che  considerava una “blasfema ammirazione”, disse: “Se quella mano è umana, merita d’essere tagliata!”.

La donna, religiosissima, ne fu terrorizzata e ordinò la distruzione del calco.

Ma  pochi giorni dopo, mentre ricamava, si punse con un ago arrugginito; le venne una grave infezione, la mano fu amputata, ma la donna morì ugualmente di setticemia.

Da quel giorno si dice che, nelle notti di luna piena, guardando attentamente una finestra del palazzo, quella d’angolo subito sopra un piccolo bar, si vede riflessa nel vetro una mano diafana,luminescente e bellissima: è il fantasma della mano di Costanza.

© Mitì Vigliero