Antiche Credenze: Sputare

Chiedo scusa per l’argomento; ma se oggi si tratta di un atto decisamente poco fine ed educato, era un tempo assai usato nelle credenze popolari, e quindi perfetto per questa piccola rubrica.

Persino la medicina era convinta che la saliva possedesse virtù magiche e terapeutiche, capaci di allontanare ogni male; per questo veniva usata come disinfettante sulle ferite subite, o su quelle di un diretto consanguineo.

Gli antichi, prima di affrontare un qualcosa di importante (da un incontro di affari a una gara sportiva) avevano la curiosa abitudine di sputarsi tre volte sul petto onde preservarsi dagli incantesimi, grane ed errori; anche oggi gli eroi di Formula Uno (e altri dediti alle corse in genere) prima di montare in macchina per affrontare una corsa si fanno sputare sulla schiena della tuta.

Ma ci si sputava sulle mani anche quando si faceva un giuramento o si concludeva un patto, come un solenne “sigillo” di sicurezza meno doloroso del sangue.

Si sputava a terra dopo che per strada si era incontrato uno iettatore o un rivale, per “cancellare” i suoi influssi negativi: l’importante era – e direi ora “ovviamente”- che quello avesse già voltato la schiena e non si accorgesse di nulla, sennò sarebbe stato un terribile pubblico sfregio, onta da lavare con duelli o sicari.   

In compenso si credeva che sputarsi addosso accidentalmente e sbagliando mira mentre si pensava di colpire l’altro, portasse malissimo; una vera e propria automaledizione.

Infine antiche puerpere dell’area mediterranea sputavano dalla finestra, certe di soffrire meno durante il parto; e se erano convinte che il loro neonato fosse vittima di un maleficio, per risolvere il problema gli sputavano amorevolmente tre volte sulla faccia.
E non esisteva neanche Telefono Azzurro…

Perché si dice: In calce

traguardocorsa

Quanti di voi, al momento di firmare un documento, si cono sentiti richiedere “una firma in calce” e magari hanno pensato rapidamente “cavolo c’entra la calce?”

Ora vi svelo l’arcano.

E’ una locuzione di origine latina, che però di lingua latina non ha nulla dato che “calx calcis” in latino significava originariamente solo  “tallone, calcagno”.

La spiegazione sta tutta nel fatto che i latini, esattamente come noi oggi, nel linguaggio sportivo erano terribilmente esterofili, prediligendo termini di altri popoli, facendoli diventare poi parte integrante del loro vocabolario.

Per questo motivo quel “calce” è una parola greca, calix, che significa calce, sì, proprio quella roba bianca usata dai muratori.
E una striscia di calce era utilizzata negli stadi o nei percorsi sportivi per delimitare, rendendoli visibili da lontano grazie al color bianco acceso, i traguardi delle gare di corsa.

Per questo “in calce” prese poi genericamente il significato di “alla fine, al termine“.

Per curiosità: Cicerone nel De Senectute  ad un certo punto scrive “ad carceres a calce revocari“, che significa “tornare dalla fine al principio, ossia ricominciare da capo, locuzione  derivata dal linguaggio sportivo e indicante i due momenti basilari della corsa: le sbarre, il recinto di partenza (carcer, acc. carcerem) in cui erano “rinchiusi” i partecipanti  alla gara, e il traguardo (calce).

E così, in calce, vi ho spiegato anche da cosa deriva la parola “carcere“: che volete di più? ;-)

©Mitì Vigliero