Il Naufragio del Croesus e le Sorelle Avegno

 

(Museo Marinaro di Camogli)

Aprile 1855; nel porto di Genova, alla presenza di Cavour e Rattazzi, fervevano i preparativi per gli imbarchi su bastimenti inglesi dell’esercito piemontese destinato in Crimea.

Il 24 mattina salpò il “Croesus” grande nave a propulsione mista (vela e motore) carica di ufficiali e soldati di sussistenza, medici, infermieri, medicinali anticolera e attrezzature varie di un ospedale da campo da cento letti; e poi muli e cavalli, un milione e quattrocento razioni di viveri, acquavite, fieno, carbon fossile come carburante: doveva rimorchiare il “Pedestrian”, bastimento a vela che trasportava munizioni e una Batteria da campagna.

Soffiava un vento infernale, il mare era terribilmente mosso e il Croesus sbagliò manovra rompendo con una violenta “poppata” l’albero di trinchetto al Pedestrian e imbarcando acqua; nonostante tutto la navigazione continuò.

Ma appena superato Camogli, il grido “Fuoco a bordo!”; la collisione aveva causato l’incendio dei gas sprigionati (causa l’umido dell’acqua imbarcata) dalle 400 tonnellate di carbon fossile stipati nel carbonile del Croesus.

(Agenzia Bozzo: San Fruttuoso nel 1890)

Il Pedestrian tornò faticosamente a vela a Genova e il Croesus in fiamme si rifugiò nella piccola baia di San Fruttuoso  , ma era così grande e lungo che la occupò tutta, incagliandosi con la prua presso la punta che separa le due calette.
L’incendio era violentissimo, le onde pure. Dei soldati che urlavano terrorizzati, pochi sapevano nuotare: molti vedevano il mare per la prima volta.

(Museo Marinaro)

Ed ecco che dalla minuscola spiaggia due donne – le sorelle Caterina e Maria Avegno – saltarono su un piccolo gozzo e si lanciarono verso il bastimento in fiamme; in vari viaggi caricarono parecchi naufragi e li condussero in salvo.

Ma anche il gozzo ad un tratto si rovesciò e Maria, madre di otto figli piccolissimi, annegò.

(Agenzia Bozzo: Casa delle Sorelle Avegno)

Grazie alle due eroine di San Fruttuoso le vittime furono solo 24; in seguito il Corriere Mercantile aprì una sottoscrizione in favore della famiglia Avegno, l’Inghilterra la risarcì con 1500 franchi e insignì Maria della prestigiosa Victoria Cross seguito a ruota da Cavour con la Medaglia d’Oro alla Memoria (fu la prima donna italiana a riceverla); infine i principi Doria disposero che Maria (e poi Caterina quando in seguito morì, sempre per le conseguenze della faticosissima impresa) venissero sepolte con tutti gli onori nella loro cripta nell’abbazia  sanfruttuosina dove tuttora riposano.

E il Croesus?

Il suo ingombrante relitto ridotto dalle fiamme a scheletro, venne venduto il 14 maggio per 100 mila lire a un commerciante di ghisa, ma dieci giorni dopo un’altra tempesta lo fece affondare definitivamente; durante l’ultima guerra palombari recuperarono parte del ferro, altra la corrose pian piano il mare.

Sino ai primi degli anni ’70 ricordo benissimo anch’io come fosse ancora possibile vedere attraverso l’acqua limpidissima o immergendosi anche in apnea per una decina di metri, tracce della larga carena.

Poi più nulla; soltanto un sestante conservato nel Museo Marinaro di Camogli, il ricordo di Maria e Caterina divenuto ormai leggendario e la consapevolezza che a causa del naufragio della nave-ospedale (mai rimpiazzata dal governo di Cavour), in Crimea morirono di malattia 2000 soldati piemontesi, di cui 1300 di colera.

© Mitì Vigliero

(Sestante del Croesus, conservato al Museo Marinaro)