Il Cibo dei Vikinghi: vi racconto come lo Stoccafisso arrivò in Italia

 

Stoccafisso” deriva dall’antico olandese “stokvish”, composto da “stock” (bastone) e “vish” (pesce); pesce (merluzzo) duro e rigido come un bastone, quindi, essiccato all’aria aperta e gelida delle terre del Nord.
Baccalà” invece ha un’etimologia più incerta, forse deriva dal basco “bacalao”: ad ogni modo è sempre merluzzo, ma conservato sotto sale.

Sia lo stoccafisso che il baccalà, diffusissimi nelle nostre cucine regionali, contribuirono per secoli a sfamare intere generazioni, fornendo spesso lo jodio mancante a chi abitava lontano dal mare.

Ma forse non tutti sanno che lo stoccafisso giunse in Italia a causa di un naufragio.

Era il 25 aprile del 1431 quando il nobile veneziano Piero Querini salpò da Creta, allora dominio della Serenissima; voleva raggiungere le Fiandre passando lo stretto di Gibilterra, per scambiare il suo carico di 800 barili di malvasia con stoffe, lana e stagno.

Ma il 17 dicembre, al largo delle coste una terribile tempesta fece colare a picco il suo veliero; lui e la ciurma si salvarono a bordo di due scialuppe, vagando raminghi sulle onde per quasi un mese sino a quando, allo stremo delle forze, arrivarono a una terra ben poco ospitale, ventosissima e piena di ghiacci.

Erano approdati senza saperlo ben oltre il Circolo Polare e precisamente a Røst, isoletta norvegese che fa parte dell’arcipelago delle Lofoten.

Qui trascorsero circa quattro mesi, ospitati nelle case dei pescatori, persone – come scriveva il Querini, estremamente gentili e socievoli:

Questi di detti scogli sono uomini purissimi e di bello aspetto, e cosí le donne sue, e tanta è la loro semplicità che non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo: e questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere medeme dove dormivano mariti e moglie e le loro figliuole alloggiavamo ancora noi, e nel conspetto nostro nudissime si spogliavano quando volevano andar in letto; e avendo per costume di stufarsi il giovedí, si spogliavano a casa e nudissime per il trar d’un balestro andavano a trovar la stufa, mescolandosi con gl’uomini.”

Dormivano tutti insieme, marinai italiani e cretesi, pescatori norvegesi e le loro donne nudissime, ma il Querini non temeva alcuno “scandolo” poiché, come scrisse sul suo diario:

I 120 abitanti dell’isola sono tutti cattolici fedelissimi e devoti, senza alcuna lussuria, tanto è la region fredda e contraria a ogni libidine”.

E difatti alle Lofoten molti abitanti hanno tuttora tratti marcatamente mediterranei.

Piccanti pettegolezzi a parte, a noi interessa che un bel dì il nobiluomo scrisse alla Serenissima la descrizione del locale metodo di conservazione del pesce:

I stocfisi seccano al vento e al sole e perché sono di poca humidità grassa, diventano duri come legno. Quando li vogliono mangiare, li battono col roverso della mannara che li fa diventare sfilati come nervi, poi compongono butirro e spetie per dargli sapore, et è grande et inestimabile mercanzia”.

E quando, nel maggio del 1432riuscì a tornare in patria, si portò dietro un gran numero di “stocfisi” immettendoli sul mercato italiano col nome “cibo dei Vikinghi”.

Il successo fu immediato.

Lo vollero le flotte come provvista da cambusa, vista la sua sicurezza di conservazione. Lo vollero le popolazioni montane, che di pesce marino, pòrelle, ne mangiavan pochino.

Ma il vero boom si ottenne nel 1561 col Concilio di Trento e l’istituzione obbligatoria dei “giorni di magro”, quando l’Arcivescovo di Uppsala e primate di SveziaOlao Magno, mise in atto una vera e propria operazione di marketing rivolta a promuovere – per il bene dell’anima dei fedeli e dell’economia della sua patria, una delle massime esportatrici – l’uso dello stoccafisso su tutte le mense cattoliche.

© Mitì Vigliero