Carnevale: Antichi Cibi Tradizionali Delle Regioni Italiane

 

“Carnevale”, come vi ho già raccontato, deriva il suo nome da “carnem levare”, togliere la carne, preannuncio dei successivi 40 giorni di Quaresima in cui un tempo il digiuno e il mangiar esclusivamente di magro era regola ferrea e rispettata.

Per questo motivo in tutta Italia il popolo faceva, a mo’ di cammello con l’acqua, il pieno di proteine, calorie e grassi contenuti in quelli che sono i cibi tipici e rituali di questo periodo, molti ormai quasi dimenticati.

Uno degli ingredienti basilari era il maiale, grande ricchezza familiare, scannato poco prima e immediatamente tramutato in prosciutti, salami eccetera.

La festa dava allora l’occasione di consumarne in fretta  le parti che si sarebbero deteriorate durante la quarantena di magro; perciò in Basilicata, ad esempio, cibi tipici del periodo erano il fegato cotto alla brace, la minestra di ossa, il “sartasc’niedd” (soffritto di varie interiora), la “rafanata” (uova, formaggio, rafano e salsicce) e, come dolci, “u sanguinacc” (il cui ingrediente base è il sangue di maiale arricchito da mandorle, pinoli, cioccolato, uvetta, noci, fichi secchi,cannella, zucchero) e “la f’cazz cu l’frètt’l”, una sorta di torta fatta di pasta lievitata, ciccioli (frètt’l in dialetto, ), zucchero a velo e cotta al forno.

A Matera i calzoni con ricotta e cannella al sugo di salsiccia; nel Canavese la tufeja mentre  in tutta la Lucania, non mancavano mai “li maccarone a ferrètte o ca la giònca” (paste fatte in casa, spaghettini bucati da un ferretto e lunghi un palmo i primi, fusilli i  secondi) conditi con un “rraù”(ragù) con tutte le interiora de lupòrc.

In Veneto ingredienti obbligatori del Carnevale sono da sempre “maiale, vin bon e fritole”, oltre bigoli gnocchi; a Brescia lombate, sanguiinacci e ciccioli; in Sardegna lardo e fave; in Liguria “costiggeue (braciole) de porco” e in Puglia i “panzerotti” fritti, ripieni di carne macinata di maiale.

Dal giovedì al martedì – settimana non per nulla detta “grassa” – si friggeva furiosamente in tutto lo Stivale, e più che nell’olio nello strutto che andava fatto fuori in fretta perché durante la lunghissima Quaresima, non essendoci frigoriferi, sarebbe sicuramente irrancidito.

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(Le Bugie. Foto ©Genovaerasuperba, con ricetta)

Fritti carnascialeschi per eccellenza erano e sono sempre quei dolci comuni in tutta Italia, che hanno praticamente uguali la ricetta e gli ingredienti (farina, uova, zucchero) ma variano nei nomi chiamandosi  chiacchiere (Sicilia, Piemonte, Lombardia, Campania); bugie(Liguria), lattughe (bresciano), ciarline (Emilia), ‘ncartellate (Calabria),
fiocchetti (Romagna), cenci (Toscana), frappe (Lazio), galani (Veneto), sfrappole (Bologna),frijoli (Sassari), fatti-fritti (Oristano), crostoli (Friuli Venezia Giulia).

Altri dolci più morbidi e spesso ricchi di vari ingredienti come crema, pinoli, uvetta, ma sempre rigorosamente fritti sono i “tortei” lombardi, le frittole della Venezia Giulia, le castagnole romane e umbre, nonché la cicerchiata (Marche, Abruzzo, Lazio, Umbria), che coi ceci non c’entra nulla se non per la forma a palline gialle.

Poi arrivava il Mercoledì delle Ceneri: tutto questo bendiddìo scompariva ed il fegato, sentitamente, ringraziava.

© Mitì Vigliero

Come dite voi “Chiacchierona”?

VAL D’AOSTA
bavàrda, brahòla, brehulì, giacatàna.
 
LIGURIA
ciancèta, ciaciarùna, ciarlàna, ciarlùnna, petegolòna, martiéla
 
PIEMONTE
babiàcia, bavàrda, cerevèla, ciaciarùna, cianciùnna, ciapulèra, ciaramelìara, ciarlùna, ciciarùnna, ganascèra, ganasùnna, lenguàza
 
LOMBARDIA
bausùna, ciaculùna, cicerùna, ciciarùna, lenguasciùna, slenguasùna, tambèrla, terlèca.
 
EMILIA-ROMAGNA
bacaiàn-na, bacaiòna, bartavèla, cicaràn-na, ciciaròna, cucaròna, slinguasòn-na, zbabaròna.
 
TRENTINO
baiòna, bàtula, batulòna, ciaceròna, ciaculòna, lengualùnga, zlambrotòna.
 
VENETO
ciaciaròna, ciacugliòna, ciacolòna, ciaquiòna, sigaiòna.
 
FRIULI
ciacaròna, petezzòna.
 
TOSCANA

ciarlòna, pettegolòna.
 
UMBRIA
ciarlòna
 
MARCHE
ciarlòna, chiacchiaràna
 
LAZIO
ciarlòna
 
ABRUZZO
chiacchiarésse
 
MOLISE
ciacciòsa, ciarlatàra
 
CAMPANIA
chiacchieréssa, ciaulòna, tràcchena.
 
PUGLIA
chiacchiarèsse, chiacchiaròsa, malalénga, quacquarèra.
 
BASILICATA
lennalònna.
 
CALABRIA
ciarratàna, lingualònga, parrettèra, vatalàra.
 
SICILIA
lingualònga, sciusciulùna, sparratùra.
 
SARDEGNA
ciacciaròna, limbimànna, limbùta, zarròna.

Altri?

Nicola Mattina: A Roma una che parla molto la chiamano “bocca a ciavatta”… invece una che bofonchia continuamente “pentola de facioli” :-)

Skip: In napoletano si dice nciucèssa ( ma significa pettegola). “Stancacervelli”, non è un termine dialettale, ma in uso nella mia famiglia e rende bene l’idea :)

Alianorah: Il figlio del Capo mi dice che sono come una grondaia sfondata in un giorno di pioggia. Ma non è un’espressione dialettale :-)

Roger: In Toscana CIANA….Ciana l’è una comare a bocca larga… sta attent’a quella là, perché l’è una ciana! (continua)

Caravaggio: in siciliano si dice anche liguapizzuta .

Maurizio: Culu te jaddhina (culo di gallina), nel leccese. *

Catepol: A Vibo/Calabria si dice “pittula

Marea di Luce: sempre in calabria, sulla costa tirrena: lingùta e cianciara.

Eli: …e se chiacchierando fa pure tanto chiasso, alla romana si dice che e’ una “caciarona

Tittieco: A Genova si dice anche: “ciattélla”.

Stefi: In prov di Milano si dice anche betonega [be’tonega], con “o” aperta. E vuol dire pettegola.

JillL: a Ferrara ciacarona  (parché la ciacara tant!!!)

Andrea Perotti: se non sbaglio in Ticino per dire che una persona è un chiacchierone si dice: “L’è un lapòn!” (deriva da “Lapa”) :)*