Il castello detto Baradello dal nome del colle su cui s’erige, si trova sul culmine estremo della Spina Verde, catena collinare che a ovest di Como degrada a sud.
Fogazzaro in un’infuocata lettera del 1899 inneggiante alla forza comasca dopo l’incendio che distrusse l’Esposizione Voltiana, definì la torre “fosca ammonitrice” (come fosse stata colpa sua), mentre tutto il castello faceva arrabbiare lo storico lario Frico Piadeni, che nel 1913 scriveva: “Sfinge sogghignante all’indagatore delle sue vicende, la vita del Baradello si potrebbe riassumere: nascita incerta, genitori ignoti, visse avventuroso e – reso inerme – morì esaurito”.
Questo perché della sua storia anteriore al 1000 non si sa praticamente nulla: “Nessuna asserzione che non sia dubbia o apocrifa, nessuna data scolpita, nessuno stemma nelle serraglie portali o nelle mura, nessuna stampa o disegno che lo riproduca: niente.”
Uniche certezze: fu costruito nel 1158 dal Barbarossa su qualcosa di preesistente; nel 1277 Napo Torriani e i suoi congiunti, imprigionati in gabbie di legno da Ottone Visconti, furono appesi fuori dalla torre ed esposti al pubblico ludibrio.
Napo vi morì di fame e sete dopo mesi, e il suo corpo si diceva fosse stato sepolto nella cappellina del castello, San Nicola (“Ma non vi è nessuna documentazione certa!”, ruggiva frustrato il Piadeni).
Nel 1426 i Visconti aumentarono le fortificazioni e allungarono la torre; infine, nel 1527 Antonio de Leyva, governatore di Milano in nome di Carlo V, fece buttar giù tutto, torre esclusa.
Passata Como sotto la Signoria di Milano, Galeazzo Maria Sforza nel 1467 considerava importantissimo il Baradello come baluardo difensivo, e dava minuziose e ripetute istruzioni ai castellani affinché “sotto pena della testa” non facessero entrare nessuno ne “la rocca che per comando scritto, autenticato col suggello e firmato dal Duca, controfirmato dal Segretario Ducale e col riscontro di un contrassegno da ragguagliare ad altro già dato – di propria mano – all’atto dell’investitura”.
Ciò fa supporre che lì dentro vivessero decine di nerboruti armati sino ai denti, ma dall’inventario annuale di rifornimento merci e viveri richiesto nello stesso anno dai castellani, si pensa che gli armati o fossero anoressici e frugali come San Francesco, o che fossero al massimo in due:
“Tre moggia frumento, quattro staia farina, quattro staia legumi, uno staio sale, sei brente vino, una brenta aceto, un peso d’olio, un peso carne salata, un peso formaggio, un carro di legna, due libbre candele, due paia scarpe, un paio calze”.
Nei vari lavori di ristrutturazione, vennero trovati oggetti di varie epoche conservati tutti oggi nei Musei Civici di Como; tra questi reperti romani, palle di granito per bombardella del XV° secolo, armature da cavallo del XVI°, vasellame vario e una chiave sagomata del XII°.
E che sia quella della filastrocca che mi recitava sempre Nonna Bis, la storia del “…can che ha ciappaa el gàtt che ha ciappaa el ràtt che ha rosiaa la cordetta della ciavetta del castell Baradell”?