Da cosa si capisce che è quasi primavera

 

Primavera è nell’aria, decisamente.

Lo capisci la mattina alle 6,30 svegliandoti coi versi stranissimi (a metà da strilletti acuti di bambini e un la-la-la di prova da tenore) che la coppia di pappagalli selvatici lancia dall’alto dell’antenna centralizzata sul tetto della casa di fronte.

Sono pappagalli grigioverdi, grossi come galline; si sono stabiliti qui da qualche anno, dormono nei giardini delle ville sparse sul Righi, con una particolare predilezione per il parco del Castello qua a fianco.

La mattina quei due pennuti chiamano all’adunata altre tre pennute coppie uguali a loro; si ritrovano sul tetto, si raccontano urlando come han passato la notte, decidono sbraitando il programma della giornata e poi partono a stormo. Chissà dove vanno.

La sera, alle 18,30 in punto, si ripete la scena. La prima coppia arriva, chiama le altre; di nuovo qualche chiacchiera strillata e poi via, ai nidi.

Poi capisci che è quasi primavera  quando sei più distratta del solito, dimentichi di chiudere la porta di casa prima di andare a dormire; cerchi di scrivere cose serissime e colte e invece ti scopri a intrecciare rime d’amore; esci a comprare il pane con le pantofole ai piedi e la mattina, come stamattina, apri il frigorifero con gli occhi ancora semichiusi causa sveglia pappagalla e – cercando a tentoni il cartone del latte – ti versi nel bicchierone dove già c’è il caffè bollente, mezzo litro di succo d’arancia.

E ne bevi una lunga sorsata.