Credenze, Usanze e Meteo di Pasqua

Il principale interesse che gli italiani hanno nei confronti della Pasqua, per molti fondamentale per la preparazione dei bagagli in vista delle vacanze, è: “Che tempo farà?”.

Per avere la risposta, basta saper rispondere a questa domanda: “Vi ricordate che tempo faceva il 25 dicembre, Natale?”

Difatti un proverbio diffuso in tutte le regioni d’Italia recita – in dialetti diversi e con qualche differenza di vocaboli – Natale in piazza (ossia all’aperto, causa sole caldo), Pasqua al camino (tappati in casa perché farà un freddo becco)”.
E viceversa.

Se non avete abbastanza memoria per ricordarvi il meteo di 5 mesi fa, cercate di rammentare quello della settimana scorsa: la Domenica delle Palme c’era il sole o no? Se sì, a Pasqua farà brutto. E viceversa pure qui.

E proseguiamo.

Fondamentale usanza d’origine ebraica sono le Pulizie di Pasqua, dai cristiani collegate al sacramento della Confessione (“confessarsi e comunicarsi almeno a Pasqua”); come questa pulisce l’anima –  dice un proverbio “all’anima si deve fare il brusca e striglia almeno una volta all’anno” – così anche la casa dove il possessore dell’anima vive deve essere sottoposta a brusca e striglia per cacciar via microbi e cose brutte.

Nelle campagne d’Abruzzo, il Sabato Santo, le massaie brandendo la scopa con due mani, danno violente ramazzate in ogni angolo della casa per scacciare il Diavolo; in quelle liguri spargono negli angoli un po’ di cenere rimasta dal Ceppo di Natale, infallibile scacciasàtana.

In Molise il dì di Pasqua ogni donna potrà sapere se il suo lui l’ama davvero; basta che ponga nel camino acceso o sulla stufa rovente una foglia d’ulivo recitando “Foglia benedetta che vieni una volta all’anno, dimmi se Tizio mi vuole bene“.
Se la foglia si agiterà accartocciandosi, l’amore sarà ricambiato.
Se resterà immobile, meglio cambiare moroso.

Molte credenze in ambito contadino, affermano che la ricchezza dei raccolti varia a seconda che la Pasqua sia alta o bassa.
Ma poiché i vari proverbi sull’argomento affermano in contemporanea l’esatto contrario (buon raccolto in alta, buon raccolto in bassa, cattivo in alta, cattivo in bassa), meglio affidarsi al lapalissiano ma rassicurante

Pasqua venga alta o venga bassa
la vien con la foglia e con la frasca.
Venga Pasqua quando si voglia
la vien con la frasca e con la foglia.

Se a Firenze i cittadini traggono auspici dal volo della Colombina che darà fuoco – nello spiazzo tra Battistero e Cattedrale – al carro detto Brindellone, a Ragusa nella chiesa dell’Annunziata attendono con ansia la caduta dell’enorme telo che sino al momento della Resurrezione copriva il Crocifisso: a seconda di come piomberà a terra, vi saranno fortune o sfortune per la città.

Infine, la mattina della Domenica, appena s’udiva il suono delle campane, in tutta Italia vigeva l’uso di bagnarsi gli occhi con l’acqua delle fonti, diventata magica e salutare sino alla fine dei rintocchi.

E porta buono lo stesso scampanìo dei bronzi che, dal Venerdì, avevan taciuto perché in viaggio verso Roma, come spiega una dolce, piccola poesia che forse qualcuno di voi avrà imparato da bambino:

 Dicon che quando vien la Settimana
Santa, parte per Roma ogni campana
perché alla Pasqua di Resurrezione
il Papa le darà benedizione.
Volando dalle terre più lontane
si trovan tutte in cielo le campane
e s’intendon fra lor, durante il viaggio,
perché parlan l’identico linguaggio
che tutti noi intendiamo. Per chi crede,
è semplice il linguaggio della fede.

© Mitì Vigliero

Toccaferro in Pillole: Le Campane

campana

Scacciano gli spiriti maligni e rendono favorevoli gli dei; i Fenici le usavano durante le cerimonie, e i Druidi le ritenevano indispensabili nei loro riti. 

Greci in battaglia mettevano delle piccole campanelle dentro i loro scudi, affinché suonando ottenessero la protezione di Marte.

Giulio Cesare racconta che anche i Britanni le usavano per lo stesso motivo, ma tenute appese alle lance.

Campanelli legati al collo di mucche e cavalli li proteggono dai malefici; e un tempo era uso donarne una piccina anche ai neonati, per prevenirli dal malocchio e dalle streghe.

Anticamente si suonavano attorno al letto dei moribondi per allontanare eventuali demoni lì in agguato, per rubare l’anima fuggente. 

Antica anche l’usanza di suonare quelle delle chiese per allontanare i fulmini (in Sicilia i terremoti); infatti su molte di quelle più vecchie si trova l’iscrizione “Fulgura frango” (rompo le folgori) o “Fulgura arcens et daemones malignos” (tengo lontano folgori e demoni maligni”.
Questo perché si pensava che i disastri naturali fossero opera del Maligno e che  quelle campane, essendo benedette, sarebbero state in grado di farlo fuggire.   

Sognare campane che suonano normalmente, dicono sia segnale d’allerta generica; sognarle che suonano a morto, indica litigio; a stormo, assicurano un prossimo successo personale.

In Liguria si credeva segno nefasto una qualunque campana che suonasse da sola (magari mossa dal vento); in Emilia si pensava che udire un suono di campane in lontananza fosse presagio di grane; in Toscana erano convinti che portasse malissimo suonarle senza motivo e praticamente in tutto lo Stivale si considerava cattivo segno il fatto che suonassero mentre l’orologio del campanile batteva le ore. In Lucania invece le donne con problemi di fertilità si recavano nel luogo dove si stava fondendo una nuova campana e saltavano sopra il crogiolo. Temerarie.

Nei Paesi Nordici a Natale porta buono regalare una campanella : alla fine del pranzo, tenendola in mano a turno, ogni commensale esprimerà un desiderio, e subito dopo la suonerà. 

E infine: le campane romane parlano.

©Mitì Vigliero 

Gli altri Toccaferro in Pillole:
I Numeri
I Piedi
I Capelli
Le Orecchie
La Gazza
Tarli e Tarme
Il Sale
Farfalle
Agosto
Il Granchio

Campane Romane

 Nella chiesa di Santa Maria dell’Aracoeli, sopra le volte barocche delle cappelle della navata sinistra, esiste un lungo corridoio dove – a un certo punto – si trovano due corde unite al centro da una specie di panchetto di legno; un’altalena, insomma.

E cosa ci fa lì?

Presto detto.
Le corde sono quelle delle campane e quando è il momento di suonarle a distesa, i frati si siedono lì sopra e si lasciano dondolare allegramente: perfetta applicazione del detto francescano “servire Dio in letizia”.

E sempre a proposito di campane, lo sapevate che secondo i vecchi romani quelle di alcune chiese parlano?

Basta saperne intendere il suono.

Ad esempio, quella di Santa Maria Maggiore annuncia:
Avemo fatto li faciòli, avemo fatto li faciòli!

Quella di San Giovanni in Laterano domanda:
Con che? Con che? Con che?

E la campanella di Santa Croce in Gerusalemme risponde:
Co’ le cotichelle, co’ le cotichelle, co’ le cotichelle!

©Mitì Vigliero