Osservazioni bucoliche e ornitologiche

Nei commenti qui sotto mi chiedete se, visto che sto facendo un trasloco, io vada a vivere a Roma.
La risposta è no; vicino a Roma, in un ridente paesino campestre, c’è la casa del ‘me maju (marito, per i foresti): casa che usiamo solo come rilassante luogo di villeggiatura. Rilassante anche perché qui non funzionano i cellulari, la connessione del pc va a pedali e quindi si è completamente tagliati fuori dal mondo.

Essa casa si trova non nel ridente paesino, comoda quindi per negozi e vita quotidiana, ma  adagiata in mezzo ad ubertosi campi dove corrono liberi cavalli e pascolano pecore e mucche; ergo, nell’aere puro volano miriadi di vespe, mosche, tafani, calabroni, zanzare, tutte bestiacce schifose le quali, essendo io gravemente allergica alle loro pizzicate, attentano in ogni momento alla mia vita.
Nella casa immersa nel verde ci sono anche i ragni; qualcuno dice che portan fortuna, ma a me rovinano solo la cena .

Per rendere più poetica et ecologica la vita in una casa di campagna, i Numi della Bucolicità favoriscono l’uso di candele e lampade a petrolio; infatti manca la luce elettrica in continuazione, possibilmente quando mi trovo carica di masserizie a metà della pericolosissima scala a chiocciola che unisce i 3 piani della suddetta casa, o quando la lavatrice è a metà programma.
I motivi per cui manca sono i più fantasiosi:
– C’è un temporale (in questi giorni ci sono 36° e di fulmini manco l’ombra)
– Il cognato che abita a fianco sta innaffiando il giardino (e quindi la pompa dell’acqua fa saltare la luce)
– L’innaffiatura del giardino unita all’apertura del cancello elettrico (pompa + motorino) crea le tenebre
– I pannelli solari (che copron metà casa) sono invidiosi dei pali della luce che funzionano meglio di loro, e quindi creano sabotaggi.
– I Numi della Bucolicità amano il buio.

Anche l’acqua corrente vive in piena anarchia, scomparendo all’improvviso possibilmente quando sono sotto la doccia, coperta di bagno schiuma e shampoo e sto per risciacquarmi.
I motivi per cui latita sono da ricercarsi in:
– Il cognato che sta annaffiando i campi.
– La lavatrice che centrifuga.
– La pompa del pozzo che è entrata in sciopero.
– I Numi della Bucolicità che prediligon gli umani sporchi e spuzzolenti come capre.

Di notte invece si dorme bene, nel silenzio più assoluto; e andando in questi giorni a nanna intorno all’una di notte (i mobili si spostano e svuotano meglio col fresco della sera), una spererebbe di poter riposare le stanche membra almeno sino alle 9 del mattino.

E invece alle 5, con la prima luce dell’Aurora, attacca il gallo.
Gallo che avrebbe bisogno di qualche lezione di canto.
Infatti parte deciso con in CHICCHIRIC perfetto, m ogni volta termina con una sorta di rantolo impressionante; il risultato è un potentissimo CHICCHIRICGREEEEAAAARGH ripetuto almeno una ventina di volte, perché è un gallo ligio al dovere e vuole esercitarsi sino a quando non impara.

Il suo verso dà il là a tutta la fauna pennuta dei dintorni, che si risveglia trulla e inizia a cinguettare.
Oddio, cinguettare…A Genova gli uccelli fanno cip cip, e i pappagalli una sorta di ghegheghé .

Qui, dove la specie ornitologica è infinita (è un parco naturale: ci sono rondini, tortore, colombe, cornacchie, upupe, picchi, gruccioni, merli, falchetti, pettirossi ecc), e dormendo noi con le finestre aperte causa la temperatura amazzonica di questi giorni, scopriamo ogni mattina “cinguettamenti” che hanno ben poco di naturale e di cui ignoriamo l’uccello di provenienza.

Ad esempio.
Alle 5,01 una probabile ventina di bipedi pennuti emettono un fortissimo suono identico a quello di un cacciavite picchiato ritmicamente su una tazza di porcellana: DING DING DING DING…
Subito dopo, altri iniziano a fare l’identico verso di una bottiglia d’acqua gasata col tappo chiuso male: GGGGSSSSHHHHGGGGSSSSSSHHHHH…
Poi ci sono quelli che si credono mitragliatrici: TARA’TARA’TARA’…
Quelli d’origine partenopea: UE’UE’UE’UE’ (ogni volta m’aspetto un “guaglio’!” subito dopo, o l’attacco d’una tarantella), e quelli che vorrebbero essere serpenti: SSSSSSSSSSSSSSSH, SSSSSSSSSSSSSSSSSSH…

Va bé. Dopo avervi dimostrato che sono ancora (più o meno) viva, vi mando un bacio al galòp e torno a camallare, canticchiando Viva la campagna.

 

Traslochi e Nonne

Alè.
Oggi trasloco n.° 2: casa mamma casa dove non fa freddo.

Stamani m’aspetta una Truppa di trasportatori un po’ più grande di quella del trasloco n°1, Truppa che – poveretta – dovrà capire quale massa di roba sarà da caricare sul camion; ché in casa di mamma – per merito mio e della mie forzutissime braccia, per tacer della mia schiena, ahia – ci son varie masse di roba racchiuse in scatole, scatoloni e sacchi d’ogni dimensione.

Già arrivate a destinazione le masse in casa qui, restano quelle che andranno appunto oggi dove non fa freddo, quelle che finiranno nella casa dei gatti, quelle che andranno a soggiornare in varie case di amici e quelle che – una prece – son destinate a un’altra vita.

E quindi ignoro a che ora riuscirò a tornare a casa.
Ossia qui.

Però vi lascio in buona compagnia: questo splendido tumblr dedicato alle nostre Nonne.

Leggete i tanti cammei pubblicati; commuovetevi, sorridete, ricordate e pensate a quello che vorreste scrivere voi. Con semplicità, di getto e di cuore: come abbiamo fatto tutti noi che già abbiamo scritto.

Se vi viene l’ispirazione, scrivetela nei commenti qui sotto.

Nik e Marchino, l’ideatore geniale di quella meraviglia di tumblr,  lo riporteranno – con tanto di vostra firma e link.  

Baci al galòp, e a presto. 

Una Storia Morbida e Bianca

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Quella del Burro

Dal greco “butyron”, composto da “bùs”, bue e “tyron”, formaggio.
Lo cita Salomone nella Bibbia; ne parlano Erodoto e Plinio.

Giulio Cesare racconta di avere mangiato a Milano verdure cotte nel burro: non piacquero a nessun romano, tranne che a lui.

Da sempre è tipico dei paesi del Nord, dove le mucche sono assai più diffuse delle piante degli ulivi.
E sin dai primordi vi fu una sorta di lotta tra burro e olio, denominatori di civiltà diverse: e l’olio era il più forte.

Era dalle origini legato alla religione; le lampade che ardevano nei templi delle divinità più antiche erano alimentate da puro olio d’oliva.

L’olio era un dono che proveniva direttamente degli Dei, sacra la sua pianta; e poi era più facile da trasportare e conservare, mentre il burro si squagliava ed irrancidiva: nel “mangiar di magro” imposto nel Medioevo dal Cristianesimo il burro, di origine animale, era bandito.

Ma Martin Lutero con la sua Riforma religiosa nel 1520 abolì questo obbligo; e questa fu soprattutto una questione politico-economica.
Il latte era in eccedenza in certi paesi, e la produzione di burro superava di gran lunga la distribuzione. Bisognava quindi usarlo a tutti i costi, sempre.

Così questo condimento si diffuse ancor di più nelle settentrionali cucine europee; tra il XVI e il XVII sec. la Francia lo impose nelle salse e nella pasticceria; in Inghilterra, Paesi germanici, Italia Settentrionale divenne il condimento principale.

Sino all’800, primi ‘900, veniva preferibilmente fabbricato in casa separando la panna dal latte fresco, facendola irrancidire lievemente e poi lavorandola con la zangola.

Ve ne erano di vari tipi: quelle oscillanti simili a turiboli che funzionavano sul principio del rollio; quelle in vetro a manovella, antenate dei nostri frullatori, quelle a botte; ma le più diffuse, e in varie dimensioni, erano quelle a stantuffo: un cilindro verticale in legno o terracotta munito di un agitatore, una specie di manico di scopa con ad un’estremità un disco di legno perforato .

La panna veniva posta nel cilindro, coll’agitatore si schiacciava su e giù sino a quando, separandosi dal siero, s’induriva e diventava burro.

Tolto il siero, il burro veniva lavato sempre nella zangola con molta acqua fredda; si aggiungeva un po’ di sale per la conservazione, lo si stantuffava ancora un po’ e infine lo si metteva in un vaso di terracotta o vetro scagliandovelo con forza a manciate per liberarlo dall’aria e dall’acqua.

Quando il vaso era pieno, il burro veniva calcato con una specie di pestello ligneo fatto a fungo: infine era riposto al buio e al fresco.

Però molti di voi scommetto ricordano ancora di aver assistito alla preparazione del burro nella cucina della casa di campagna, con la panna posta in un fiasco, agitata per qualche minuto e poi estratta dalla stretta imboccatura sotto forma di morbido compatto tubo poi messo in stampi di legno decorati a foglie, mucche o fiorellini.

Una specie di magia oggi quasi impossibile da compiere a meno che non si abbia a disposizione la panna di latte appena munto; si può fare certo con con la panna fresca in commercio…ma secondo me non è la stessa cosa, il sapore è quasi inesistente. 
Severissime leggi sanitarie proibiscono ora la fabbricazione e lo smercio del burro strettamente artigianale: troppo grasso, troppo poco raffinato. Ma buono in modo commovente, come tutti i sapori d’infanzia.

©Mitì Vigliero

Corollario

Se volete provare a fare il burro in casa, andate a trovare il tesoromio Dario Bressanini (anzi, seguitelo sempre, ché ha uno dei blog “golosi” più belli, interessanti e divertenti che io conosca); ne parla qui, e qui invece c’è il suo commento riguardo Lutero.