Deriva dal termine francese bureau (ufficio) e dal verbo greco crateo (dominare).
Bureau, in provenzale bureus, in spagnolo buriel, in italiano ottocentesco burello, era la spessa stoffa in lana (tappeto o tovaglia) che si metteva sul tavolo per proteggerlo da macchie d’inchiostro o graffi.
Il termine è in seguito rimasto prima a definire solo mobile scrivania grande, di legno, con cassetti e cassettini, alzate, scomparti, tiretti ove conservare carte e documenti.
Poi è passato a indicare la stanza dove stavano le scrivanie e gli impiegati dell’ufficio e infine a significare l’impiegato stesso e il suo lavoro: il bureau.
Il concetto è sempre stato così radicato nell’idea di Stato che a Roma ci sono persino due antiche strade dedicate agli impiegati degli uffici: Via e Vicolo dei Burrò, che nel Settecento – durante l’occupazione francese – designavano l’ubicazione dell’Ufficio (Bureau) della Dogana di Terra.
Gli inglesi definiscono invece da secoli la burocrazia red-tape (nastro rosso), e per definire un iter burocratico lento e pesante che li ha coinvolti (e sconvolti), dicono di essere passati “attraverso un nastro rosso“.
Insomma, cambiano i termini, ma il senso di profondo fastidio, perdita di tempo e spesso insensatezza che Burocrazia, Burocrati e Burocratitudini varie incutono nei cittadini, è identico in ogni Paese.
E I Burosauri di Silvano Ambrogi non si estingueranno mai.