Storia del Beauty-Case

Frivolo ma utile contenitore da viaggio in cui si trasportano gli oggetti da toeletta ordinati in appositi contenitori e scomparti, fu inventato dagli Egizi; i loro erano delle vere e proprie teche rigorosamente unisex e spesso assai ingombranti -ma tanto c’erano gli schiavi a camallarle- in fibra di palma e legno pregiato rivestiti d’avorio.

beauty-egitto
(*)

Nel Museo di Torino esiste la teca di Mirit, moglie dell’architetto Kha (1500 aC); in legno di sicomoro ornato a fiori e disegni a scacchi, contiene piccoli portaprofumi in corno, flaconcini in pietra dura di collirio, vasetti d’alabastro per creme e unguenti, altri delicatamente decorati conservanti tracce di fondotinta a base di grasso di pecora: e poi pinzette per le sopracciglia, scatoline di kohl e polvere di piombo per il trucco degli occhi con relative spatoline in bronzo e bacchetti di legno per applicarli, oltre innumerevoli arnesi che servivano per arricciare i capelli delle parrucche.

cista
(Cista Ficoroni)

Gli etruschi invece usavano le “ciste”, una sorta di piccoli comodini cilindrici con molti cassetti curvi ai lati; i Romani a loro volta avevano  cassette in bronzo o legno, con all’interno boccette di varie dimensioni fatte di vetro soffiato, pasta vitrea, terracotta e conchiglia: specifici per i profumi erano particolari contenitori a forma di colomba, riempiti e sigillati a fiamma, per aprire i quali bisognava spezzarne la coda o il becco come una fiala. 

beauty-romani
(*)

Ma i beauty cinesi e indiani erano indubbiamente i più belli; i primi erano scatole rettangolari o cubiche, in lacca e avorio, argento o giada, tutte piene di microcassettini anche segreti (avendo anche funzione di portagioie), con lo specchio fissato dietro il coperchio come i nostri moderni.

Quelli indiani erano cofanetti in profumato legno di sandalo tempestato di pietre dure, divisi all’interno da una miriade di piccoli scomparti fitti fitti e contentenenti  decine di flaconcini e scatoline vitree che racchiudevano il “kajal” per gli occhi, l’altà”, polvere rossa per le labbra, il “méhndi”, henné per le palme delle mani e le piante dei piedi, il “tél”, olio per lucidare i capelli e il “dantan” spazzolino da denti in legno, col suo inscindibile compagno “menjàn”, dentifricio in polvere fatto di amido e calcio macinato.

inro
(Inro Giapponese, G. Piva)

Gli antichi giapponesi usavano invece gli “inro”, astucci in lacca a vari scomparti, decorati con meravigliose miniature; scene di caccia o di amore più o meno casto, fiori, animali, ma soprattutto il nome della proprietaria, alla quale veniva donato tradizionalmente il giorno delle nozze.

beauty
(*)

Fu solo negli anni ’20 che il primitivo  modello a scatola sempre diviso in scomparti e munito di un minor numero di contenitori, venne sorretto da un manico; nacque così il mitico “bauletto”, morbido o rigido, in pelle o plastica o stoffa, arrivato sino a noi.  

©Mitì Vigliero