Alberto II conte di Gorizia, d’Istria, Carinzia e Pusteria, nel 1304 morì in quel di Lienz, pare avvelenato.
Nel castello di Gorizia vi è un quadro che ne raffigura la morte; steso esanime sulle ginocchia d’un fiduciario, la moglie gli carezza il capo.
Sull’uscio, i figli maschi e la figlia: Emerenziana.
I fratelli, per non dividere con lei l’eredità, decisero in modo democratico – come s’usava allora – di rinchiuderla in un convento di clausura a Firenze.
Un viaggio dall’Alto Adige in Toscana allora era lungo, con strade scomode e pericolose.
Così misero di scorta alla fanciulla un loro fido vassallo: il baldo cavalier Balthasar von Welsberg, alias Baldassare signore di Monguelfo.
Partirono in carrozza, seguita a cavallo da armieri e una piccola Corte composta da servitori e un sacerdote.
Era primavera ed Emerenziana, che mai aveva messo il naso fuori casa, ad ogni tappa guardava affascinata il paesaggio commentandolo col suo accompagnatore.
A Sesto la fanciulla s’incantò di fronte ai boschi di larici, in Val Pusteria s’entusiasmò per i castelli, in Val d’Adige per i pascoli fioriti. A Trento s’estasiò alla vista dei meli fioriti e al sapore dei vini bianchi, a Riva del Garda quasi svenne alla vista del lago; a Verona, vedendo l’Arena volle conoscere tutta la storia romana sino ai suoi giorni e a Mantova, dopo una breve lezione su Virgilio, ebbe una crisi d’isterico pianto.
“Ohimimì” singhiozzava “Perché veder tante bellezze, conoscer tante cose se il mio destino sarà quello d’esser seppellita per sempre in un convento?”
Baldassare, colpito dalla verve oltreché dalla beltà d’Emerenziana, iniziò a vacillare, diviso fra la fedeltà ai suoi signori e il profumo della fanciulla.
A Modena ripetè come un mantra la formula del giuramento dell’investitura, a Bologna pensò che i capelli della damigella avevano il color delle ginestre, a Pistoia si mise furiosamente a lucidar la spada che i conti gli avevan donato, a Prato incrociò lo sguardo della ragazza e alle porte di Firenze bloccò il convoglio davanti a una chiesina, vi corse dentro con Emerenziana e il sacerdote, la sposò e ordinò al convoglio il dietro front.
Fuggirono a Dobbiaco , dove chiesero ospitalità in una casa di contadini chiamati Englös; la Corte invece tornò a Lienz, dove raccontò il fattaccio ai fratelli della mancata monaca .
Questi, ovviamente imbufaliti, ordinarono la restituzione della sorella minacciando di radere al suolo Monguelfo e tutti i possedimenti di Baldassarre.
Gli sposi allora scapparono a San Candido, ottenendo asilo nell’abbazia dei benedettini: l’abate, gran diplomatico, fece in modo che i fratelli li perdonassero.
Quando Baldassarre ebbe la notizia, corse dalla sua bella urlando gioioso: “Angelo mio, scampato è ogni periglio!”
Morale.
Nel castello a Monguelfo vi fu un grande ricevimento riappacificatore alla presenza dei cognati conti.
Emerenziana per grazia ricevuta fece erigere la chiesa di “Maria am Rain“, che sino al 1832 sul tetto della navata mostrava intrecciati gli stemmi nobiliari di Monguelfo e Gorizia; la famiglia contadina di Dobbiaco ebbe il titolo di barone (sullo stemma un angelo), Casa Englös divenne sede gentilizia e tutti, una volta tanto, vissero felici e contenti.