Già gli uomini primitivi avevano l’abitudine di acconciarsi i capelli con conchiglie e sassolini; gli Egiziani, per questioni igieniche dovute al clima, li tagliavano a zero e indossavano parrucche.
Le donne Assire li tenevano pioventi sulle spalle e intrecciati con fili di coralli e monete d’oro mentre per gli uomini la chioma aveva il ruolo di contrassegnare classe sociale, grado militare o politico: più erano alti in grado, più lasciavano crescere le capigliature in matasse che coprivano spalle e schiene, adornandole con collane d’oro e perle, e più erano i giri delle collane, più importante era il personaggio.
I Greci consideravano i capelli un simbolo soprattutto maschile: più erano folti, più era “notevole” la virilità: essere calvo voleva dire essere presi in giro per tutta la vita.
Nella Roma della prima repubblica esisteva un’acconciatura obbligatoria per le zitelle e una per le maritate: le prime dovevano tirare e legare i capelli a coda con un semplice nastro chiaro detto anadema, le seconde intrecciarsi nastri di porpora tra le ciocche.
Il giorno del matrimonio, le fanciulle avevano i capelli sparsi sul collo e adorni di fiocchi di lana, simbolo di purezza secondo l’uso delle vestali; dopo la cerimonia, i capelli venivano intrecciati a forma di freccia, per simboleggiare il dardo sacro che lo sposo lanciava verso l’altare di Marte.
Per le matrone l’acconciarsi i capelli era azione complicatissima, che si svolgeva in una sala appartata della casa e, come diceva ridacchiando Terenzio, “durava un anno“.
La matrona entrava nella sala e per prima cosa compiva sacrifici alla Fortuna Virile, divinità che rendeva belle le donne brutte.
Poi veniva attorniata da minimo quattro “schiave ornatrici” armate di pettini e unguenti e ferri da ricci: se la pettinatura veniva male, la signora seccata le pungeva a sangue con gli aghi crinali, un incrocio tra forcine e spilloni.
All’epoca di Giulio Cesare (che nascondeva la pelata con un riporto e corone d’alloro naturale o di metallo prezioso) furoreggiò il colore biondo; ma dato che le romane erano tutte brune, all’inizio si accontentarono d’indossare parrucche create coi capelli di Galli e Germani; poi iniziarono a schiarirsi con decotti naturali o intrugli strani, come una pomata fatta con uova di corvo e sanguisughe putrefatte lasciate macerare per 60 giorni nel vino.
Nel Medioevo si dedicavano ai capelli soavità spirituali; i cavalieri li spolveravano d’oro prima d’un incontro galante o li tingevano di rosso vivo prima d’una battaglia.
Le donne, che solitamente li avevano lunghissimi ma tenuti per pudore velati o nascosti in cuffie e particolari turbanti, se li tagliavano in segno di mortificazione e lutto sulle tombe degli amanti defunti; un debitore insolvibile presentava al suo creditore un paio di forbici affinché lo rapasse a zero: sarebbe stato suo schiavo fino alla totale ricrescita dei crini, che significava l’estinzione del debito.
Un guerriero catturato dal nemico e condannato a morte, chiedeva come grazia a chi doveva decapitarlo di non lasciargli intridere i capelli di sangue.
Si suggellava la pace tagliando ciuffi ai contendenti e mescolandoli insieme, così come facevano i partecipanti a una congiura.
Nella Francia di Luigi XVI le pettinature divennero incredibilmente esagerate e dalle forme più assurde; quella del parrucchiere divenne una vera arte tanto che si fondò un’Accademia apposita.
Nel 1770, per acconciare il cranio di una nobildonna, oltre tonnellate di capelli posticci venivano usate sino a 14 canne di stoffa rigida che sostenevano pettinature alte anche 370 centimetri.
In epoca napoleonica, grazie alla passione per il classicismo, le acconciature femminili imitarono quelle delle antiche romane e greche.
Invece i capelli corti per le donne sono sempre legati a qualche rivoluzione.
Comparvero per la prima volta dopo il Terrore; Madame Thermidor aveva i capelli corti, e corti li portarono tutte le nobildonne sfuggite alla ghigliottina.
Anche durante la Rivoluzione Russa le donne si tagliarono i capelli, e così durante la Prima Guerra mondiale, con la benedizione di Coco.
Però generalmete in caso di guerra – e relativa miseria- il taglio dei capelli da parte delle donne aveva sopratutto un risvolto pratico; i crini venivano venduti a fabbricanti di posticci e toupet, in cambio di discrete somme.
In seguito furono soprattutto le Dive a lanciare le mode delle acconciature: negli anni ’40 furoreggiavano permanenti con le onde piatte alla Gilda/Rita Hayworth ; nel ’50 riccioli e onde (possibilmente platinate) alla Marilyn; nel ’60 cotonature esagerate o chignon a siluro o a melone amati dalla Bardot, dalla Hepburn e da Mina; nel ’70 sia capigliature selvagge alla hippy, sia riccioli auricolari secondo la moda lanciata da Mia Farrow nel Grande Gatzby, sia il caschetto indeformabile della Carrà, sia gli scalati vaporosi alla buonanima della Farrah Fawcett…
Dalla fine degli anni Ottanta abbiam visto di tutto; crini lunghi e corti; capelli dai colori arcobaleno, sparati, istriciti, ingommati, scolpiti, increspati, persino tante giovanissime teste pelate apposta, in macabro stile chemioterapia: il che faceva sospettare che si trattasse soprattutto di teste vuote.
Oggi la parola d’ordine pare essere “Fai un po’ come ti pare, che tutto va ben e pure lo spettinato è fashion”.
Il che, in fondo, è bello, consolante e pure molto comodo.
Colonna sonora: Come porti i capelli bella bionda, Cochi e Renato