L’Abito non fa il Monaco: La Paurosa Leggenda di Passo Centocroci

(foto©Bundosuzuki)

Sulla Transappenninica emiliano-ligure, quasi in parallelo col passo del Bocco, esiste un altro passo che in epoca romana si chiamava Transitus Carariae e nel Medioevo prese il nome di Centocrucis, Centocroci.

Citato già in un diploma di Carlo Magno del 781 dc, Centocroci era il più importante valico fra la Liguria, la Lunigiana e l’Appennino reggiano; da lì stazionavano soprattutto i commercianti che si recavano ai vari mercati di quelle terre.

La strada era lunga, faticosa e, soprattutto in autunno e in inverno, decisamente disagevole per via della neve e del ghiaccio; così i mercanti spesso si fermavano in conventi-ostelli-ospedali gestiti da frati, per riscaldarsi un poco, mangiare e trascorrere la notte al riparo.

Ma perché si chiama Centocroci?

In una notte buia e tempestosa un mercante di buoi, diretto a Varese Ligure attraverso il passo, bussò a un ostello – quello di San Michele –  dov’era solito fermarsi in caso di tempesta; conosceva perfettamente i cinque anziani fraticelli che ogni volta l’accoglievano gentili e  sorridenti.

Ma quella volta ad aprire la porta fu un frate grande e grosso, dal viso non proprio raccomandabile, che grugnendo qualcosa che poteva essere un saluto lo fece entrare.

Nella sala, attorno al lungo tavolo di legno, stavano altri quattro giovani frati dalle facce lombrosiane, che bevevano e mangiavano con atteggiamenti non proprio mistici.

Il mercante pieno di dubbi si mise accanto al fuoco, guardando sospettoso i cinque figuri; ad un tratto quello che gli aveva aperto domandò: “Che vai a fare a Varese?”
“A comprare due buoi”, rispose il tapino.
“Quindi hai un mucchio di soldi con te!” ruggì il fratone avventandoglisi addosso seguito a ruota dagli altri quattro; il mercante tentò disperatamente di difendersi, ma venne colpito da tre coltellate al ventre.

I cinque energumeni lo spogliarono e due di loro ne afferrarono il corpo, uscendo nella notte tempestosa; dopo poco tornarono e del mercante non v’era più traccia.

La stessa notte, i contadini d’un cascinale a mezz’ora di strada dall’ostello vennero svegliati dall’abbaiare furibondo del loro cane che s’avventava contro la porta di casa come volesse sfondarla per uscire.

Gli uomini immaginarono qualche animale feroce e – pensando alle bestie nella stalla – avvolti nei tabarri, afferrate lanterne e forconi, uscirono nella tormenta dove effettivamente uno strano lugubre lamento aleggiava.

Il cane corse subito in direzione dell’ostello; questi lo inseguirono sino a quando si fermò sul bordo d’una sorta di profondo pozzo da dove proveniva quel suono da brividi.

Le lanterne illuminarono uno spettacolo raccapricciante; il mercante, agonizzante e coperto di sangue, giaceva su un mucchio spaventoso di gambe, braccia e teste: i resti di tutti gli ospiti transistati all’ostello e uccisi da quelli che ovviamente frati non erano, ma una delle tante bande di briganti che infestavano la zona.

Vennero recuperati 100 cadaveri: fra questi quelli dei 5 anziani frati, uccisi per primi.

E i briganti?

La Leggenda li vuole inceneriti da un fulmine: la Storia, linciati dai contadini.

© Mitì Vigliero