Alla fine del 1370 Petrarca, da Arquà, scriveva al fratello:
“Qui fra i colli Euganei, a non più di dieci miglia da Padova, mi sono costruito una casa piccola ma deliziosa, cinta da un oliveto e da una vigna, che danno quanto basta ad una famiglia numerosa, ma modesta. E qui, benché ammalato, vivo pienamente tranquillo, lontano da ogni confusione, ansia e preoccupazione, passando il mio tempo a leggere e a scrivere”.
E nella Sala dei Giganti che si trova nella sede della Facoltà di Lettere aPadova, vi è un affresco d’autore anonimo del XIV sec. che ritrae proprio il poeta nello studio mentre, seduto alla scrivania e circondato dai libri, legge.
Acciambellato per terra davanti a lui, un gatto ronfa beatamente.
Di certo si tratta dell’amatissima micia del poeta, che con lui passò alla storia e alla quale vennero dedicati centinaia di studi, saggi e versi; persino il Tassoninella “Secchia rapita” la cita ( nel canto VIII, 33-34):
…e ‘l bel colle d’Arquà poco in disparte, che quinci il monte e quindi il pian vagheggia; dove giace colui, ne le cui carte l’alma fronda del sol lieta verdeggia, e dove la sua gatta in secca spoglia guarda da i topi ancor la dotta soglia.
Il perché della fama imperitura della felina è spiegato dalla geniale idea (dal punto di vista pubblicitario) che ebbe Girolamo Gabrielli, uno dei tanti curatori-proprietari di quella casa alla fine del ’500, quando già era meta di turisti letterati.
Egli, fra gli arredi personali del poeta, fece porre una gatta imbalsamata racchiusa in una teca di vetro; sotto, una lapide, la cui iscrizione latina – opera di Antonio Querenghi (1547–1634) – recita:
“Il poeta toscano arse di un duplice amore: io ero la sua fiamma maggiore, Laura la seconda. Perché ridi? Se lei la grazia della divina bellezza, me di tanto amante rese degna la fedeltà; se lei alle sacre carte diede i ritmi e l’ispirazione, io le difesi dai topi scellerati. Quand’ero in vita tenevo lontani i topi dalla sacra soglia, perché non distruggessero gli scritti del mio padrone. E ora pur da morta li faccio tremare ancora di paura: nel mio petto esanime è sempre viva la fedeltà di un tempo.”
Altra storia che lega poeti, gatti e case, è quella di Edward Lear , il cantore dei Limerick.
Lear viveva a Sanremo col suo gatto Foss – ”il compagno delle mie giornate” – in una casa, Villa Emily, di fronte al mare.
Assentatosi, ovviamente col gatto, nel 1881 per un lungo periodo trascorso a viaggiar su e giù per l’India, al suo ritorno scoprì con disappunto che proprio davanti alla villa era stato costruito un grande albergo, che gli toglieva tutto il panorama.
E così acquistò un terreno sulla spiaggia, e fece costruire una nuova casa, Villa Tennyson ; ma la volle esattamente identica a villa Emily, una perfetta copia, perché era convinto che il suo micio, non più di primo pelo, non avrebbe “assolutamente apprezzato il cambiamento”.
Foss morì sedicenne alla fine del 1887; sei mesi dopo lui e Lear si ritrovarono inun’altra dimora, quella eterna.
La villa venne abbattuta dopo poco, per far posto ad un altro albergo.
ll Natale è un periodo ricchissimo di tradizioni, superstizioni e usanze varie, legate ad ogni momento dei festeggiamenti.
Ad esempio, gastronomicamente parlando, forse non tutti sanno che l’uso di mangiare il tacchino risale al XVI secolo quando gli Spagnoli lo importarono in Europa dal Messico: il primo che lo assaggiò fu Carlo IX, e gli venne presentato a tavola in modo solenne, tra squilli di trombe, salve di cannone e rulli di tamburi. Ma fu la golosissima Caterina de’ Medici a imporre il pennuto come menù natalizio, possibilmente farcito di castagne e accompagnato da salse alla frutta.
Il costume di servire a tavola salmone, capitone, pesci vari e cappon magro deriva invece dall’antica regola della Chiesa che la notte del 24dicembre, prima della Messa, imponeva ai fedeli una cena “di magro”.
InRomagna, soprattutto a Rimini, per antica tradizione natalizia a tavola dovrà essere stesa una tovaglia a ruggine; di lino o canapone, stampate coi i caratteristici disegni a “galletto” o a “uva” da un macchinario antichissimo chiamato “mangano”. Il color ruggine nasce dalla vera ruggine ottenuta facendo macerare del ferro in acqua.
Infine in tutta Italia il 25 viene considerato il giorno del Pane, inteso come corpo di Cristo incarnatosi la notte di Natale a Betlemme (bet lehem, casa del pane): per questo è ovunque tradizione mangiare dolci fatti di farina come il pangiallo a Roma, ilpandolce a Genova, il panpepato a Ferrara e in Umbria, il panforte a Siena, il pandoro a Verona, il panvisco a Bari, il pane certosino a Bologna e, ovviamente, il panettone a Milano. Di questi pani è buon uso matterne da parte un pezzetto, per mangiarlo il giorno di San Biagio (3 febbraio), onde preservarsi tutto l’anno dal mal di gola.
Inoltre la notte di Natale è da sempre definita “magica” anche a causa dei vari riti che vi si compiono, unendo sacro e profano.
Nelle campagne del Veneto, dell’Istriae dell’Alto Adige i contadini, per sapere come sarà il prossimo raccolto, mettono in una padella arroventata 12 grani di frumento, uno per ciascun mese delll’anno; quelli che si apriranno al calore indicheranno abbondanza, mentre quelli che si carbonizzeranno annunceranno carestia.
Le notti natalizie nelle campagne diMolise e Abruzzo sono rischiarate da innumerevoli lumini posti sui davanzali per cancellare le tenebre e rendere più agevole la strada ai pastori diretti al Presepe: se la mattina i lumini si mostreranno poco consumati, sarà buon auspicio.
Il Natale coinvolge tutta la natura; in Svezia, Scandinavia e Norvegia si crede che il giorno di Natale tutti i boschi si riempiano di folletti; perciò le persone pongono grandi recipienti colmi di birraai piedi degli alberi affinché le magiche creature bevano a volontà e, riconoscenti, si prendano cura delle piante. Anche in Germaniai bimbi dedicano canti e abbracci agli alberi di boschi e giardini affinché diano più frutta e vivano a lungo e sani.
InFriuli e inUmbria si pensa che a mezzanotte esatta le corna degli animali si illuminino sulla punta, e che tutti gli asini si inginocchino per salutare il Bambinello.
Infine si crede che chi nasce la notte di Natale abbia il potere di tener lontane le disgrazie dalla sua famiglia e da quella dei suoi amici; questo quasi ovunque, tranne che inLunigiana, dove affermano invece che sarà destinato a diventare un Lupo Mannaro, punito per l’arroganza di esser nato in una notte destinata esclusivamente ad un Altro.
InPiemontesi dice che i fiori seminati il giorno di Natale avranno degli splendidi colori; a Napoli che l’aceto usato per condire l’”insalata di rinforzo” della Vigilia, versato sui garofani li renderà pieni di screziature; in Liguria che le foglie di alloro raccolte il 25 non seccheranno per mesi…
E, visto che Natale era anticamente uno dei rari momenti di abbondanza alimentare, è logico che siano molte anche le superstizioni riguardanti la tavola.
Ad esempio, in Puglia, cibo rituale natalizio sono le “pettole”, pallottole di pasta lievitata fritta nell’olio.
Per preparlarle però vi sono riti precisi da seguire: vanno impastate solo dalla mezzanotte all’alba della Vigilia, sennò saran disgrazie. Mentre frigge, la cuoca non deve né bere né mangiare, sennò assorbiranno troppo olio. Dall’ultima pettola, prima d’esser buttata in padella, bisognerà togliere un pezzetto e buttarlo nel camino recitando una preghiera. E guai a lodare la frittura che si sta facendo: riuscirà di certo male.
In Emilia Romagna invece si credeva che tutti gli avanzi della cena della vigilia avessero effetti medicamentosi; burro e olio per curare tagli e bruciature, cera delle candele contro le contusioni, vino per cicatrizzare le piaghe sulla schiena di animali e umani e, versato nella vigna, un’ottima vendemmia l’anno dopo; le bricioledi pane date ai pulcini per farli crescere vigorosi e mai preda di volpi e rapaci.
In Istria, per proteggere il bestiame da ogni malanno, gli si dava da mangiare un poco del cibo del Cenone; e in tutta l’Italia rurale quella era l’unica volta che anche gli animali domestici quali gatti e cani potevano circolare tranquillamente attorno alla tavola ove si cenava, coccolati e viziati con bocconcini lanciati dai commensali.
Questo perché si credeva che alla Mezzanotte esatta gli animali acquistassero la favella, e potessero raccontare a tutti i comportamenti dei loro padroni, anche quelli meno edificanti…Quindi era meglio tenerseli buoni.
La Notte Santa era anche l’unica notte in cui era possibile tramandare “esercizi segreti”; così in tutto il Meridione, Veneto e Liguria, le nonne insegnavano alla nipote prediletta i riti per levare il malocchio, mentre in Campania, Siciliae Piemonte i nonni “guaritori” passavano ai discendenti maschi l’arte per curare ossa e distorsioni.
E ovviamente, non potevano mancare le credenze legate all’amore.
Nelle Marche, la sera del 24 dicembre le ragazze da marito mettevano sotto il cuscino del letto tre fave (simbolo di fecondità): la prima completamente senza buccia, la seconda sbucciata a metà e la terza intatta. Al risveglio, infilando la mano sotto il guanciale ne sceglievano una a caso: quella senza buccia indicava un futuro marito povero, le altre medio-ricco o decisamente Paperone.
Nel Lazio, le fanciulle indecise fra vari corteggiatori prendevano delle cipolle e scrivevano su ciascuna il nome dei papabili; poi le riponevano in un luogo buio e fresco. La prima cipolla che avesse germogliato, sarebbe stata quella col nome “dell’uomo del destino”.
A loro volta, nellaSardegna logudorese, le nubili facevano sistemare su un tavolo dalle altre donne di famiglia cinque scodelle contenenti rispettivamente cenere, acqua, chiavi, trucioli: una doveva restare vuota. Bendate, sceglievano una di queste mettendoci una mano: se trovavano acqua, avrebbero sposato un agricoltore, cenere un fornaio, trucioli un falegname, chiavi un ricco possidente, vuoto…un poveretto.
Nelle Murge bastava che la ragazza la mezzanotte esatta del 24 si guardasse allo specchio con i capelli sciolti per vedere, al posto della sua immagine, quella del futuro marito.
Infine nella zona della Cisa si credeva che scambiarsi gli anelli di fidanzamento il 25 dicembre fosse particolarmente propizio a una lunga e felice unione. Probabilmente un tempo Natale era l’occasione di presentare ufficialmente le due famiglie, che spesso abitavano in luoghi magari vicini ma non facilmente raggiungibili in inverno per via delle neve e delle strade difficoltose. E per festeggiare, si riunivano tutti a casa della futura sposa, formando per la prima volta un’unica famiglia.
hn: Io me la dormo così, tanto chi vuoi che mi veda: di là rebloggano solo gatti.
Nicola Mattina: Se fosse una leonessa romana: gnaaaaaa faccio :-)
Regi: Non pensa, si avvia placidamente (è il caso di dirlo) al sonnellino. Quello che vorrei fare io e non posso.
Beppe: Odio il lunedì
ZiaPaperina: Che barba che noia che noia che barba….;oD
Rosy: Ah, se avessi un materasso Bico!
MaxG: Allora….dovrei telefonare all’amministrazione, organizzare la riunione delle 17, firmare quei contratti, mandare una mail all’avvoc…zzzzzzzzzzzzz
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