Nina e Camillo: Storia di un lume sempre acceso

Voltri, nel ponente genovese, ai piedi del colle di Castellana e precisamente in via Nicolò da Corte, s’innalza la maestosa scenografia della villa Duchessa di Galliera.

Quasi un castello circondato da un grande parco, ospitò reali e politici potenti; ma un lume perennemente acceso di fronte a una Madonnina bianca, posta in una nicchia degli archi sotto il grande viale centrale, ricorda un tragico amore che coinvolse uno dei personaggi più famosi della storia d’Italia.

Agli inizi del XIX secolo la villa era proprietà del marchese Stefano Giustiniani, Gentiluomo di Camera del re Carlo Felice, che  nel 1826 sposò, con matrimonio combinato, la baronessa Anna Schiaffino detta Nina.

Aveva 19 anni, Nina; intelligente, colta, appassionata di politica, le sue idee contrastavano fortemente con quelle del marito.
Poco per volta sia la villa di Voltri sia la casa cittadina, Palazzo De Mari in piazza San Siro, diventarono salotti politici frequentati da liberali vicini alla Giovane Italia come Rubattino, che sarà l’armatore dell’imprese dei Mille, Mameli, e un giovane sottotenente piemontese del Genio Militare in forza a Genova: Camillo Benso conte di Cavour.

Dal 24 aprile 1830 tra Nina e Camillo esplose una passione infuocata; il marito ne era a conoscenza, ma si limitò a spargere la voce che sua moglie era pazza.

Quando nel ’31 Cavour venne spedito da Carlo Felice nella tetra fortezza di Bard in Val d’Aosta, per vedere se gli passavano le idee giacobine, Nina un po’ fuori di matto lo diede davvero, diventando una vera pasionaria mazziniana, contestando personalmente il Potere illiberale che l’aveva allontanata dall’amante.

Per quattro anni Camillo e Nina s’inseguirono, incontrandosi a Torino, Milano, Vinadio, Valdieri; ma se per lei le difficoltà del rapporto aumentavano l’amore, per lui la storia era finita da un pezzo.

Nina, quando non lo vedeva, gli scriveva; centinaia di lettere che finirono fra le mani del marito, il quale continuò pubblicamente a dichiararla matta e laconfinò nella villa di Voltri: qui, il 18 ottobre del 1834, avvenne l’ultimo incontro con Camillo, che la piantò definitivamente.

Nina cadde in una prostrazione tremenda che durò anni; tentò due volte il suicidio col veleno e, trasferita nella nuova casa a Genova, Palazzo Lercari, in via Garibaldi al numero 3, nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1841 – anniversario del suo primo incontro con Cavour – gli scrisse un’ultima dolcissima lettera, mezza in genovese, mezza in italiano:

Camillo caro,
Camillo bello te veuggio tanto ben, ma quando te ou pourrò dì 
(te lo potrò dire)… Son tanta fiacca, a me existensa (esistenza) a l’è così precaria che non ho coragio de pensà à l’avvegnì (avvenire).
Però, quello che posso assegurà, le che ou me coeu (
cuore) ou sarà sempre to (tuo), viva o morta son a to (tua) – e tanto che questa machinetta (il cuore) a m’apparten, a sarà a to – vorreivo (volevo) ese bella per piaxeite (piacerti), vorreivo ese forte e ben stante e libera e avei molti dinai (denari) per seguite de lungo apreuvo (a lungo)
Questi son seunni 
(sogni): beseugna che m’adatte ae (alle) triste circostanze ne’ quali me treuvo, e che seggie (sia) ben contenta che ti te ricordi de mi. Te daggo tanti baxi .
Tutta to Nina.
«Io non so nulla tranne d’amarti tanto.
Tu sei tutto per me. Sei un essere soprannaturale. Tu assorbi tutti i miei pensieri, tu mi domini….
Voglio la tua felicità prima della mia…
Camillo, sono tua per sempre  

Poi, dopo aver fatto testamento, si lanciò dalla finestra di camera sua.

Un volo di 11 metri, sei giorni di agonia e finalmente la morte, il 30 aprile.

Aveva trent’anni.

Il marito rifiutò di seppellirla nella tomba di famiglia; lo stesso fece il padre, idem la famiglia della madre.

Le sue spoglie riposano a Genova nella chiesa di Padre Santo, in piazza dei Cappuccini.

Nel testamento Nina chiese alla Duchessa di Galliera, nuova proprietaria della villa di Voltri, che il lume posto davanti alla Madonnina bianca rimanesse sempre acceso, affinché tutti ricordassero la fiamma del suo amore infelice.

E così fu, e così è ancora.

© Mitì Vigliero

Per la Serie “Storie Brividose”: Inquietanti mani romane

Roma in Via Trionfale 5952, si trova Villa Stuart; ora è una moderna clinica, ma nell’Ottocento fu dimora di una coppia alquanto balzana, che si rese protagonista di una storia divenuta una delle leggende più inquietanti dell’Urbe.

Lì abitava la poetessa Emmeline Stuart-Wortley, nobildonna inglese, insieme Lord Allen.
I due davano scalpore perché vivevano pubblicamente “nel peccato” non essendo sposati: ma ciò che più rendeva chiacchieratissima la coppia era la passione per il mondo dell’occulto, una vera e propria moda dell’epoca.

Ogni sera, in un salotto fiocamente illuminato, organizzavano sedute spiritiche alle quali partecipavano medium fatti venire da ogni parte d’Europa, nonché membri della nobiltà e della cultura romana.
Pian piano  Emmeline si convinse di possedere virtù medianiche, e se ne convinse a tal punto da vedere spettri in ogni dove; si diceva perseguitata dal fantasma della sorella mentre lui – probabilmente suggestionato – lo era da demoni.

Fatto sta che l’atmosfera in casa divenne intollerabile; la servitù fuggì, raccontando di aver assistito a fenomeni inspiegabili quali poltrone che svolazzavano all’altezza dei soffitti e vasi che d’improvviso schizzavano a schiantarsi contro le pareti.

Anche gli amici della coppia diradarono le visite sino a non farsi più vedere, e i due rimasero soli in preda alla follia.

Un giorno Allen scomparve; tutti pensarono che, rinsavito, se la fosse data a gambe piantando la lugubre amante.

Ma questa, che ormai dava completamente i numeri, delirando in preda a “febbri cerebrali” raccontava che ogni notte s’addormentava al suo fianco, stringendogli la mano.

Quando Emmeline morì, nel 1855, venne scoperto di fianco al suo letto un piccolo buco nella parete: dietro questa il cadavere di Lord Allen, con una mano sollevata proprio all’altezza di quel buco.

E di altre mani inquietanti si sussurra da secoli a Piazza Navona; lì, a fianco della chiesa di Sant’Agnese, s’affaccia il retro  del palazzo De Cupis.

Come racconta Giorgio Vigolo ne “Le notti romane” (Bompiani), nel Seicento un De Cupis sposò Costanza Conti, nobildonna dotata di splendide mani; erano così belle che uno scultore – tal Bastiano, che aveva la bottega nei fondi del palazzo o, secondo altri, davanti alla chiesa della Madonna de’ Monti- ne fece di una un calco in gesso: questo divenne così celebre che la gente andava a vederlo in pellegrinaggio, manco fosse una reliquia.

Un giorno un frate, Canonico Regolare di San Pietro in Vincoli, commentando sarcastico e severo quella che  considerava una “blasfema ammirazione”, disse: “Se quella mano è umana, merita d’essere tagliata!”.

La donna, religiosissima, ne fu terrorizzata e ordinò la distruzione del calco.

Ma  pochi giorni dopo, mentre ricamava, si punse con un ago arrugginito; le venne una grave infezione, la mano fu amputata, ma la donna morì ugualmente di setticemia.

Da quel giorno si dice che, nelle notti di luna piena, guardando attentamente una finestra del palazzo, quella d’angolo subito sopra un piccolo bar, si vede riflessa nel vetro una mano diafana,luminescente e bellissima: è il fantasma della mano di Costanza.

© Mitì Vigliero

Sentimentalmente Irrequieti

L’Artista, si sa, è notoriamente un animo ipersensibile in continua evoluzione, alla perenne ricerca della perfezione, dell’equilibrio e della felicità; è per questo che quasi tutti i divi che i giornali da decenni definiscono “sentimentalmente irrequieti” possiedono una vita amorosa varia, frenetica e soprattutto costellata di scandali e burrascose separazioni.

La GossipStoria passata ci narra che l’Oscar dell’Irrequietezza Sentimentale, unita a una lieve vena masochistica, va ancora oggi e senza dubbio attribuito a Lana Turner (1920-1995):

lanaturner 

Il suo primo marito (per soli 7 mesi, nel 1940) fu Artie Show, un musicista omosessuale; il secondo fu Steve Crane, un miliardario distratto che nel 1942 la sposò dimenticandosi di avere già una moglie; seguì un appassionante processo per bigamia.

Lana quindi decise di rilassarsi non sposandosi per un po’, e nel frattempo si consolò con Clark Gable, Frank Sinatra, Tyrone Power, Robert Taylor, Cary Grant, Fernando Lamas e un’altra trentina di colleghi.

Nel 1948 convolò a nozze con un altro miliardario, Bob Topping Jr, il quale però la tradì lo stesso giorno del matrimonio, lei tentò il suicidio, e tra un tira e molla e l’altro alla fine divorziarono nel 1952.

Nel 1953 impalmò Lex Barker, mitico interprete di Tarzan, parte che però continuava a recitare anche a casa comportandosi come un selvaggio; divorziarono nel ’57.

Così lei, stanca di uomini prepotenti e inaffidabili, andò a convivere col rassicurante Johnny Stompanato, noto esponente della malavita italo-americana che finì sbudellato con un coltello da cucina dalla figlia di Lana, Cheryl , nel 1958.

La Turner a questo punto, invece di chiudersi in un convento di clausura, si risposò dal 1960 al 1965 con un allevatore texano alcolizzato, dal 1965 al ’69 con un produttore cinematografico drogato e dal 1969 al 1972 con un aspirante ipnotizzatore e illusionista.

   Anche Zsa Zsa Gabor, Ava Gardner, Vittorio Gassman e Liz Taylor come “irrequieti sentimentali” non scherzarono, ma una menzione speciale va a Maurice Chevalier, il quale nelle sue memorie confessò di avere avuto 571 amanti (tra queste l’eroina delle Folies Borgères Miguette, la scrittrice Colette e l’attrice Marlene Dietrich).
Essendo nato nel 1888 e morto nel 1972, significa una media di circa 6,79 donne l’anno, balia e levatrice comprese.

©Mitì Vigliero