Ladri: Proverbi E Modi Di Dire

 (By Giorgio Cavazzano ©Disney)

Giuseppe La Paglia, mariuolo interpretato da Totò nel film “La legge è legge”, diceva:  “Tutti i giorni  lavoro, onestamente, per frodare la legge”.

In fondo quella del ladro è da sempre una delle professioni (vocazioni?)  da sempre più diffuse al mondo, visto che ladro non è solo chi  ruba, ma pure chi in un modo o nell’altro lo aiuta.

Per i milanesi infatti  “Tant’è lader quel che roba, come quel che tegn el sach” (Tan’è ladro quel che ruba, come quello che tiene il sacco della refurtiva),  mentre per i francesi  “Chi ordina, chi ruba, chi ricetta son tre ladri”.

Si sa che è “L’occasione a far l’uomo ladro”, che “La casa malguardata invita i ladri” e che “E’ l’abbaiar del cane che fa scoprire il ladro”: ma se il cane dorme, fa il sordo o si distrae con l’osso che qualcuno gli ha gettato, è un poco ladro pure lui.

Secondo un proverbio piemontese “Se il làder savess la furca certa, ruberebb nén”; forse è per questo che a Torino, la piazza formata dall’incrociarsi dei tre corsi Valdocco, Regina Margherita e Principe Eugenio (via Cigna) viene ancora chiamata dai vecchi torinesi il “Rondò d’la furca”: lì venivano giustiziati i criminali, ma anche dopo l’abolizione della pena di morte la forca rimase a lungo, monito di punizione sicura a chi avesse avuto solo una vaga idea di sgarrare. Oggi magari parlare di forca è un tantinello eccessivo; basterebbe solo l’idea di una pena certa.

Però, persino nei mondo dei ladri non v’è giustizia: i famosi “ladri in guanti gialli”, distinti e insospettabili,  il più delle volte la fan franca.

Non per nulla vecchi proverbi dicono “I ladri piccoli s’impiccano; ai grandi si fa di cappello” (Inghilterra) e “I ladri piccoli van sotto la ruota (strumento di tortura), i grandi sulle ruote (in carrozza)” (Francia).

D’altra parte già Catone ai suoi tempi tuonava “I ladri privati si mettono in carcere a vita, e i ladri pubblici girano in porpora e oro”.

Talvolta pare che sian pochi davvero gli immuni al latrocinio, soprattutto quando per mestiere si frequentan ambienti in cui gira tanto danaro: “Corrumpunt eiam probo commercia prava”, i traffici loschi corrompono anche l’onesto, toscanizzato in “A viver coi ladri s’impara a rubare”.

Per i peruviani “Per un ladro tutti sono ladri”, per gli spagnoli  “Piensa el ladron che todos son de su condicion (uguali a lui)” e i russi chiosano “Ladra! gridò la martora quando vide la volpe con una gallina in bocca”.

Ricordano i “Ladri di Pisa”, quelli che ogni notte andavano a rubare insieme in perfetto accordo e di giorno litigavano per spartirsi il bottino, perché “Il ladro è quello che più strilla quando si sente derubato” anche se, secondo i veneti,  “Quando i ladri se fa guera, segno che i xe d’acordo”.

Perciò ormai è convinzione comune che “Chi ruba un regno è ladro glorificato, chi un fazzoletto è ladro castigato”; si narra che quando Alessandro Magno catturò il pirata Diomede, questi gli disse:

“Io sarò accusato come razziatore e condannato come ladro: tu fai il medesimo mestiere, e sei giudicato stratega. Se tu fossi me, disorganizzato e solo, ti direbbero ladro e assassino; se io avessi la tua potenza, sarei acclamato re. Fra noi non v’è altra differenza che tu rubi in grande e con innumerevoli complici, mentre io non posso fare altrettanto.“

Il Magno ascoltò in silenzio, e subito dopo nominò Diomede suo capitano.

© Mitì Vigliero

Perché si dice “Agosto Moglie Mia Non Ti Conosco”, “Canicola” e “Mettere Le Corna/Essere Cornuto”

“Agosto moglie mia non ti conosco” è forse uno dei proverbi italiani più strani e buffi che esistano.

Deriva dall’antica credenza che per gli uomini fosse estremamente dannoso per la salute avere rapporti sessuali con temperature elevate.

Ma era cosa difficilina evitarli perché, come scriveva Esiodo, l’astro di Sirio proprio ad agosto accentuava il languore passionale delle donne: per colpa della “Canicula” (altro nome di Sirio, stella più grande della costellazione del Cane Maggiore) in agosto “le donne son tutte calore e gli uomini tutti fiacchezza”.

Altra spiegazione indubbiamente più logica era quella che, rimanendo gravide in questo mese, le donne avrebbero partorito a maggio, mese inderogabilmente dedicato alla semina e ai lavori nei campi; faticose manovre nelle quali le “braccia” di tutti, anche quelle femminili, erano estremamente necessarie e una partoriente al nono mese o una novella puerpera non avrebbero di sicuro avuto la forza di svolgerli.

Nel corso dei secoli, e col variare delle abitudini e dei costumi, il proverbio ha preso un altro significato ancora; poiché le mogli andavano spesso in vacanza da sole coi figli, i mariti -rimasti da soli in città a lavorare- avevano più occasioni d’intrecciare extraconiugali avventure galanti.

Ma in nome della parità dei sessi la cosa era spesso ricambiata, visto che i treni carichi di mariti che arrivavano il venerdì sera dalle città nelle località delle Riviere dove le mogli erano in vacanza, dagli anni ‘20 sino ai ‘70 del secolo scorso venivano affettuosamente chiamati “i treni dei cornuti”.

Ma lo sapete perché si dice “Essere un cornuto?

Anche se a noi oggi può sembrare incredibile, nell’antichità le corna erano originariamente simbolo di forza, coraggio, ardore e virilità.

Per questo molte divinità e molti personaggi potenti venivano rappresentati – in quadri, statue e affreschi – cornuti, ossia dotati di un bel paio di corna più o meno grandi sulla fronte.

Orazio e Tibullo cantarono le “corna d’oro” del dio Bacco, molti re di Macedonia, Siria e Tracia ornavano i loro diademi oppure, nel caso dei sovrani guerrieri Alessandro e Pirro,  i loro elmi di corna. 

E allora perché ad un tratto l’epiteto “cornuto” divenne un insulto?

Tutta colpa dell’imperatore bizantino Andronico I Comneno, nato nel 1120; un tipaccio violento, sanguinario, esperto in congiure e grande sciupafemmine.

I suoi lo detestavano, sia perché non faceva che tramare contro l’Impero di famiglia maneggiando con nemici storici quali Ucraini e Sultani di Damasco, sia perché riusciva a portarsi a letto ogni donna di parente altrui, cognata o cugina che fosse.

L’Imperatore Manuele, suo cugino, prima lo schiaffò in prigione per nove anni poi, per toglierselo dai piedi, lo esiliò nominandolo governatore della Cilicia.

Qui Andronico si annoiava a morte, così piantò moglie legittima e tre figli e andò ad Antiochia dove sedusse la principessa Filippa di Poitiers.

Ma si stancò presto della relazione; così la mollò, fece un salto a San Giovanni d’Acri, rapì la regina Teodora vedova di re Baldovino III e la portò prima a Damasco poi in Georgia sul Mar Nero e infine di nuovo a Costantinopoli dove, furbone, fece pace con Manuele, vecchio e malato.

Quando questo morì ottenne la tutela del figlio di lui, l’imperatore Alessio II; stette calmìno per due anni poi, con una solita congiura, lo strangolò, ne prese il posto e, già che c’era, cacciò via Teodora e i due figli avuti da lei,  impalmando la giovanissima vedova di Alessio, Agnese di Francia.

E ora arriviamo finalmente alle corna.

Una volta preso il potere, dal 1183 al 1185 Andronico Comneno si abbandonò a una serie interminabile di nefandezze.

Mentre blandiva il popolo con trovate demagogiche e populiste, si accaniva sui nobili di Costantinopoli e città vicine, soprattutto su quelli che lo avevano sempre avversato.

Li faceva arrestare per un motivo qualsiasi, rapiva le loro mogli tenendosele come concubine e sollazzandosi con esse sino a quando gli andava; poi, come sommo scherno, faceva appendere sulle facciate dei palazzi dei poveretti delle simboliche e beffarde teste di cervi e altri animali naturalmente cornuti da lui abbattuti a caccia.

Fu allora, e precisamente nel 1185, che nacque in Grecia il modo di dire “cherata poiein”, mettere le corna, per indicare il pubblico ”infortunio” coniugale subìto dai mariti sudditi di Andronico.

Il 24 agosto di quell’anno i soldati dell’esercito siciliano di re Guglielmo II il Normanno conquistarono Salonicco, e rimasero stupitissimi nel vedere decine e decine di palazzi decorati con teschi di animali muniti di corna; quando ne conobbero il motivo, fecero conoscere l’epiteto “cornuto” anche in Sicilia , da dove si diffuse in tutta Italia prima e in tutta Europa poi.

che fine fece Andronico Comneno il Cornificatore?

Quando l’11 settembre giunse a Costantinopoli la notizia della caduta di Salonicco, il popolo – cornuti in testa – si ribellò; l’Imperatore venne catturato, mostruosamente seviziato e – proprio come uno dei suoi macabri trofei – appeso per un piede alla facciata del suo Palazzo.

© Mitì Vigliero

Ladri: Proverbi e Modi di Dire di Tutto il Mondo

Giuseppe La Paglia, mariuolo interpretato da Totò nel film “La legge è legge”, diceva:  “Tutti i giorni  lavoro, onestamente, per frodare la legge”.

In fondo quella del ladro è da sempre una delle professioni (vocazioni?)  da sempre più diffuse al mondo, visto che ladro non è solo chi  ruba, ma pure chi in un modo o nell’altro lo aiuta.

Per i milanesi infatti  “tant’è lader quel che roba, come quel che tegn el sach”,  mentre per i francesi  “chi ruba, chi ordina, chi ricetta son tre ladri”.

Si sa che è l”occasione a far l’uomo ladro”, che “la casa malguardata invita i ladri” e che “è l’abbaiar del cane che fa scoprire il ladro”: ma se il cane dorme, fa il sordo o si distrae con l’osso che qualcuno gli ha gettato, è un poco ladro pure lui. 

Secondo un proverbio piemontesese il làder savess la furca certa, ruberebb nén”; forse è per questo che a Torino, la piazza formata dall’incrociarsi dei tre corsi Valdocco, Regina Margherita e Principe Eugenio (via Cigna) viene ancora chiamata dai vecchi torinesi il “rondò d’la furca”: lì venivano giustiziati i criminali, ma anche dopo l’abolizione della pena di morte la forca rimase a lungo, monito di punizione sicura a chi avesse avuto solo una vaga idea di sgarrare.

Però, persino nei mondo dei ladri non v’è giustizia: i famosi “ladri in guanti gialli”, distinti e insospettabili,  il più delle volte la fan franca.

Non per nulla vecchi proverbi dicono “i ladri piccoli s’impiccano; ai grandi si fa di cappello” (Inghilterra) e “i ladri piccoli van sotto la ruota (strumento di tortura), i grandi sulle ruote (in carrozza)” (Francia): d’altra parte già Catone tuonava “ I ladri privati si mettono in carcere a vita, e i ladri pubblici girano in porpora e oro”.

Talvolta pare che sian pochi davvero gli immuni al latrocinio, soprattutto quando per mestiere si frequentan ambienti in cui gira tanto danaro: “corrumpunt eiam probo commercia prava”, i traffici loschi corrompono anche l’onesto, toscanizzato in “a viver coi ladri s’impara a rubare”. 

Per i peruvianiper un ladro tutti sono ladri”, per gli spagnoli  “piensa el ladron che todos son de su condicion (uguali a lui)” e i russi chiosano “Ladra! gridò la martora quando vide la volpe con una gallina in bocca”.

Ricordano i “ladri di Pisa”, quelli che ogni notte andavano a rubare insieme in perfetto accordo e di giorno litigavano per spartirsi il bottino, perché “il ladro è quello che più strilla quando si sente derubato” anche se, secondo i veneti,  “quando i ladri se fa guera, segno che i xe d’acordo”.

Infine vi sono quelli da sempre convinti che “chi ruba un regno è ladro glorificato, chi un fazzoletto è ladro castigato”; si narra che quando Alessandro Magno catturò il pirata Diomede, questi gli disse:
Io sarò accusato come razziatore e condannato come ladro: tu fai il medesimo mestiere, e sei giudicato stratega. Se tu fossi me, disorganizzato e solo, ti direbbero ladro e assassino; se io avessi la tua potenza, sarei acclamato re. Fra noi non v’è altra differenza che tu rubi in grande e con innumerevoli complici, mentre io non posso fare altrettanto.“

Il Magno ascoltò in silenzio, e subito dopo nominò Diomede suo capitano.

©Mitì Vigliero