Quando a Milano, il 7 marzo del 1785, Giulia Beccaria in Manzoni diede alla luce un bel maschietto, mai più avrebbe potuto immaginare quanto la figura del suo diletto pargolo avrebbe segnato la cultura dei posteri italiani. In compenso i posteri oggi diciottenni odiano a tal punto il Lisànder da sconvolgere quella lingua che lo scrittore curò, vezzeggiò, limò, perfezionò e adorò sino all’esasperazione.
(…)
“Ebbe tanti figli, ma neanche uno intelligente”
“Le sue figlie morirono tutte a ventotto anni, come un segno della Divina Provvidenza”
“Giulia Beccaria era una donna molto leggera da giovane, assai pesante da vecchia”
“Manzoni si convertì al Cristianesimo durante una crisi di agorafobia”
“Andò a Firenze per sciacquare i panni in Arno assieme a Emilia Luti, governante della nipotina”
“Divenne così vecchio che morì e ai suoi funerali tutta Milano esultava”
(…)
“Tutti gli eroi delle tragedie manzoniane non sono allegri”
“Pentecoste vuol dire 50 giorni di apostoli in fiamme”
“Nella Pentecoste Manzoni racconta quando la Chiesa si nascondeva per non farsi prendere dai seguaci dell’Anticristo che pregavano Dei bugiardi e pronubi”
Le cose poi degenerano totalmente quando si tratta di paragrafare i versi delle varie poesie o tragedie; in alcuni casi raggiungiamo il culmine della stupidera acuta. (…)
Prendiamo ad esempio il celeberrimo coro dell’atto IV dell‘Adelchi, ovverossia la morte di Ermengarda.
La tapina, dopo essere stata ripudiata dal marito Carlo futuro Magno, langue in punto di morte nell’esilio volontario nel convento di Brescia.
Nell’agonia, è perseguitata da incubi e ricorda:
Quando da un poggio aereo,
il biondo crin gemmata,
vedea nel pian discorrere
la caccia affaccendata
e sulle sciolte redini
chino il chiomato sir
Di questa unica reminiscenza, i maturandi offrono ben quattro interpretazioni:
Quando Ermengarda da una collina
vedeva correre nella pianura
i suoi biondi capelli pieni di gioielli
Quando da un poggiolo
correva veloce sul cavallo
chino il re Carlo con i capelli
biondi e ingemmati
Quando dall’alto poggio
Carlo e Ermengarda
vedevano correre nel prato
un cavallo dalla bionda criniera ingioiellata
Quando da un alto scoglio
la bionda capigliatura ingioiellata
vedeva il re correre
sul cavallo chiomato
Insomma, ‘sti biondi capelli fanno di tutto tranne che starsene buoni e fermi sul cranio di Ermengarda…Ma i vaneggianti ricordi della figlia di Desiderio proseguono incalzanti; ora rammenta la sanguinaria scena della caccia al cinghiale:
E dietro lui la furia
de’ corridor fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido
redir dei veltri ansanti
“Lui” è Carlo Magno, che secondo i maturandi partecipava a battute di caccia decisamente inconsuete, come testimoniano le seguenti parafrasi:
E dietro lui la folla
dei cavalli fumatori
che si perdevano
e il veloce radar
dei cavalieri affannati
E dietro di lui la rabbia
fumante dei cavalieri
E dietro a lui tanti
cavalli che fumavano
E dietro lui la follia
dei cavalieri in fiamme
che perdevano la strada
e il redimere veloce
dei cavalli stanchi
(…) oppure la maturanda che, descrivendo lo stato d’animo di Ermengarda sconvolta dalla vista del sangue sgorgante dal cinghiale abbattuto, disse che la regina “volgea repente il volto”, cioè “girava la faccia repellente“.
E come resistere alla tentazione di affogare nella Mosa (“O Mosa errante!”, ossia “Oh Moser veloce!“) il giovin vurgulto che prima declama
Oh tepidi
lavacri d”Aquisgrano!
ove, deposta l’orrida
maglia, il guerrier sovrano
scendea dal campo a tergere
il nobile sudor!
poi spiega:
O tiepidi
lavaggi di Aquisgrana!
dove, dopo essersi tolto
la maglietta orribilmente sporca
il re guerriero scendeva dal campo
per lavare il sudore dei nobili!
Carlo Magno re dei Franchi, sudicione sì, ma molto democratico.
(…)
Avete presente il Diacono Martino nel II atto? Il modo in cui si presenta al re Carlo è già tutto un programma; uomo di chiesa, proclama tutto fiero:
All’ordin sacro ascritto
dei diaconi io son
ovvero
All’ordine sacro iscritto
dei diavoli io son
(…) Narrando ai Franchi come gli sia stato possibile trovare un passaggio sui monti che permettesse ai soldati carolingi di raggiungere i Longobardi e far loro la festa, esclama:
Dio gli accecò, Dio mi guidò
La fede nei miracoli spinge a tradurre al volo:
Dio mi accecò, Dio mi guidò
Forse con un cane guida? Ad ogni modo, le stranezze compiute dal sant’uomo non hanno fine; egli prosegue il suo racconto con pathos crescente:
L’orme ripresi poco innanzi calcate
cioè
Raccolsi le orme dei piedi che avevo fatto prima
Arriva finalmente su di un’altura da dove scorge l’accampamento di Carlo Magno; ovviamente è agitato, felice al punto di affermare:
Il cuor balzommi: e il passo accelerai
il che in parole povere significa
Il cuore mi fuggì: ed io gli corsi dietro
E perché Martino corre tanto? Ma per raggiungere, oltre il suo muscolo cardiaco, anche la meta agognata del suo avventuroso viaggio:
I sospirati padiglion di Giacobbe
i quali altro non sono che
Le desiderate orecchie di Giacobbe
(…)
Il Cinque maggio.
Ei fu
Due parole soltanto, quattro lettere quattro: EI e FU. Non di più. Ma la stupidera imperversa incurante di lunghezze e concetti:
Egli è
oppure, più incisivo e chiarificante:
Egli è esistito
E dato che molti liceali arrivano all’ultimo anno delle superiori senza aver ancora imparato a leggere, eccoli declamare compunti al momento dell’interrogazione:
Ei pù
Pù.
© Mitì Vigliero, da Lo Stupidario della Maturità, ed. Rizzoli, 1991.
Altre Pillole di “Stupidario della Maturità”:
– Il Detestabile Ugo; L’Infelice Giacomo; Il Povero Giovannino; Il Tenero Guido
L’Infernale Alighieri