19 marzo San Giuseppe: Pani, Frittelle italiani e la ricetta dei Frisciêu genovesi

(foto ©Vincenzo Giompaolo)

Secondo l’antico simbolismo agricolo, marzo rappresenta il risveglio della natura: nei campi inizia a germogliare sempre più rapidamente il grano, simbolo di vita e fecondità.
In epoca romana, il 17 marzo si svolgevano le Liberalia,  feste dedicate a Liber Pater, Padre Libero, dio e simbolo della fecondità della Terra e dell’Uomo.

Il suo tempio nel 495 aC era sull’Aventino; lì i ragazzi che avevano compiuto i 16 anni, con una solenne cerimonia indossavano la toga virile e venivano considerati adulti a tutti gli effetti, liberi quindi anche di riprodursi e “metter su famiglia”.

Al dio e agli astanti venivano offerti pani e dolci di farina fritti nell’olio mentre bruciavano grandi falò simboleggianti l’allontanamento del buio e freddo inverno e l’arrivo della primavera vivificatrice.

Col Cristianesimo la figura di Liber Pater venne sostituita da un altro padre-simbolo, San Giuseppe, festeggiato il 19 marzo sempre con beneauguranti falò (“fugarèni” in Romagna; “vampi” in Sicilia, “fanòve” in Puglia ecc) e grandi mangiate di dolci di farina fritti nell’oliopani sacrali, che interrompevano per un giorno il lunghissimo digiuno quaresimale che c’era allora.

Soprattutto in meridione sopravvivono ancora le antiche cerimonie medioevali dette “tavolate di San Giuseppe” (celebri quelle di Salemi, dette “cene”): nelle famiglie e nelle piazze vengono invitati a tavola un uomo, una donna e un bambino, scelti fra i meno abbienti del paese.

Questi rappresentano la Sacra Famiglia in fuga, che chiedeva ospitalità e cibo.


(foto da qui)

Nelle case e nelle chiese della Sicilia, ad esempio, sono imbaditi altarini votivi (detti cudduri) ricoperti di cibi meravigliosi pani dalle varie forme e nomi.
Troviamo ad esempio “a Cruci” (la croce) , “u vastuni di lu Patriarca” (il bastone di Giuseppe fiorito di gigli); “la Spera” ( ripieno di fichi secchi simboleggiante l’Ostensorio e decorato dalle lettere JHS, Jesus Hominum Salvator); “il Cuore” (simbolo de la Sacra Famiglia e decoranto con le inziali dei loro nomi G.M.G., Giuseppe, Maria; Gesù).

(©Vittorio Caltabiano)

Ma elemento comune che caratterizza la festa nello Stivale sono le frittelle.

Il 19 marzo i frittellari di tutta Italia si scatenano: “bigné di San Giuseppe” (Lazio); “zeppole” (Campania); “frittelle di riso” (Toscana, Umbria); “crespeddi, sfinci” (Sicilia); “raviole” (Emilia) e “frisciêu” in Liguria.

A proposito di questi ultimi, dato che San Giuseppe è anche il patrono dei falegnami, sino alla fine dell’Ottocento nelle numerose botteghe sparse nel centro storico genovese le corporazioni degli artigiani del legno omaggiavano il Santo allestendo sui loro banconi ripuliti da trucioli e segatura, dei rinfreschi composti da vino bianco e, appunto, frisceu co’ zibibbo (uvetta).

Amici, parenti, clienti, vicini di negozio erano invitati a festeggiare e tutti rimanevano in fremente attesa che uno di loro addentasse un friscieu speciale, ripieno d’ovatta: il tapino vittima dello scherzo, se non moriva soffocato dal gramo boccone, doveva pagar pegno offrendo da bere a tutti.

frisciêu genovesi si fanno così:

300 gr di farina; 1/4 di cubetto di lievito di birra
1 uovo
acqua tiepida o latte qb per stemperare il lievito
sale
100 gr di zucchero
70 gr di uvetta sultanina piccolissima
la buccia di 1 limone
zucchero vanigliato
olio

Mettere in una ciotola la farina, il lievito ben stemperato in acqua o latte, l’uovo, lo zucchero, la buccia di limone tritata e un pizzico di sale. Sbattere bene e a lungo; lasciar lievitare per 3 ore. Unire poi l’uvetta ammollata nell’acqua e ben asciugata: mescolare.
In una larga padella far scaldare olio abbondante e quando fuma gettarvi l’impasto a cucchiaiate. Quando si formeranno frisceu a palline ben gonfie e dorate (bastano due/tre minuti), pescarli col mestolo bucato, asciugarli su carta assorbente e servirli caldissimi, spolverati di zucchero vanigliato.

© Mitì Vigliero

I frisciêu di San Giuseppe

 In italiano il termine genovese frisciêu (e il circonflesso andrebbe sul dittongo “eu”, solo che non riesco a metterlo), solitamente viene tradotto come “frittella”; ciò non rende bene l’idea, perché frittella indica una composizione di pasta fritta e piatta, mentre i frisceu sono fritti, sì, ma hanno la forma di palline gonfie, leggere, tonde e morbide.

Loro base è la “pastetta”, fatta con farina e lievito di birra, sale e un poco di acqua tiepida o latte.
In Liguria si mangiano oggi 19 marzo, giorno di San Giuseppe; e dato che San Giuseppe è anche il patrono dei falegnami, sino al 1800 nelle numerose botteghe sparse nel centro storico genovese gli artigiani del legno omaggiavano il Santo allestendo sui loro banconi, ripuliti perfettamente da trucioli e segatura, dei rinfreschi composti di vino bianco, focaccia e, appunto, grandi vassoi di frisciêu.

Tutti gli amici, colleghi, parenti, passanti, vicini di bottega erano invitati e tutti festeggiavano brindando e mangiando, nell’attesa che uno di loro addentasse un frisciêu speciale, ripieno di ovatta: il tapino vittima dello scherzo,  se non moriva soffocato, tra le risate collettive doveva pagare pegno offrendo da bere a tutti.

Ecco due ricette (per 6 persone).

Frisciêu classici salati

500 gr di farina, 25 gr di lievito di birra; 1/4 d’acqua tiepida o latte; sale; olio.

Mettere in una ciotola la farina; unire il lievito sciolto in acqua tiepida, aggiungere l’acqua o il latte, salare e mescolare bene sino a formare una pastella semiliquida. Lasciarla lievitare per un paio d’ore, quando sarà gonfia (praticamente avrà raddoppiato il volume), friggerla a cucchiaiate in olio bollente, sino a quando si gonfierà in pallle dorate e leggere che, una volta scolate e asciugate su carta assorbente, andranno mangiate bollenti. 

Frisciêu con lo zibibbo

500 gr di farina; 200 gr di zucchero; 100 gr di zibibbo (uvetta); 4 uova; 1/4 di latte; 25 gr di lievito di birra; 1 limone; olio di frantoio; zucchero vanigliato; sale.

Mettere in una ciotola farina, latte, zucchero, lievito stemperato in acqua tiepida, la buccia del limone grattugiata e un po’ di sale. Agitare bene e a lungo con un mestolo, e lasciar lievitare per circa 3 ore. Unire l’uvetta ammollata, scaldare in padella l’olio; quando fuma, gettarvi a cucchiaiate l’impasto. Una volta gonfi e dorati togliere i friscieu, scolarli, asciugarli e spolverarli con zucchero vanigliato.

Conoscete altri cibi tradizionali di San Giuseppe?

Roger: in Toscana le Frittelle di Riso (ricetta)

Angela: in Puglia Zeppole (legnetti, bastoncelli) di s. Giuseppe (ricetta)

Marchino: Da noi (Crema) si chiamano Chisòi o Chisulì, e la ricetta contempla anche l’uso di riso bollito avanzato.

Francesca: a Roma i bigné di San Giuseppe (ricetta?)

Princy: In quelli salati si può mettere anhe una cipollina novella o della lattuga tagliate finemente.

Sciura Pina: A casa mia si facevano le frittelle con l’uvetta e la mela, ma non so se si tratti di cucina tipica milanese o solo della mia famiglia

Grazitaly: A Bergamo ci sono “i fritele” che sono solo con lo zucchero.

Primo Casalini: Venetorum modum referam.

Maxime e le Zeppole di San Giuseppe

Laura: A Roma i bignè di San Giuseppe, sono fritti ripieni con la crema. Gli ingredienti sono: farina, latte, uova, burro e zucchero.

Giorgia: Bigné di San Giuseppe:

ingredienti: 100 gr di farina, 50 gr di burro, 2 uova, 3 cucchiai di zucchero, zucchero vanigliato, sale, scorza di limone grattugiata, olio extra vergine d’oliva. 

come si fanno: scaldare un bicchiere d’acqua con il burro ed un pizzico di sale; una volta che è bollente, versare la farina setacciando e continuare a cuocere a fuoco medio basso mescolando per 5 minuti; lasciare raffreddare, nel frattempo si sbattono le uova (no, non per terra, in una terrina) con lo zucchero e la scorza grattuggiata di un limone (per grattuggiare la scorza del limone senza che la maggiorparte vada perso nei denti della grattuggia, frapporre tra il limone e la grattuggia un foglio di carta forno: il limone si grattuggia ugualmente ma non rimane imprigionato, bensì, togliendo la carta forno, tutto quello che senza di essa sarebbe rimasto tra i denti della grattuggia è invece sulla carta forno e lo si recupera in mezzo secondo.).Incorporare le uova sbattute ecc nel composto di prima, ormai raffreddato. Mettere in una padella profonda (magari un wok) a scaldare un bel po’ di olio (mia mamma fa metà extravergine di oliva e metà olio di semi di arachide). *non* farlo fumare – controllare che sia al punto giusto con uno stecchino per spiedini (se immergendolo si forma uno sfrigoliìo tutt’intorno, l’olio è pronto per friggere). Versare il composto a friggere a cucchiaiate. Quando i bignè si gonfiano si scolano dall’olio e si mettono ad asciugare sulla carta assorbente. poi si cospargono di zucchero vanigliato. Infine si mangiano. :)