Quella del 14 marzo 1731 sembrava una sera come altre.
La Contessa Cornelia Zangari vedova Bandi – nonna materna del futuro Papa Pio VI – si ritirò nei suoi appartamenti; era un donnone molto in carne e come ogni sera, la cameriera l’aiutò a mettersi a letto, recitando con lei le solite due ore di preghiere.
Poi le augurò la buonanotte e se ne andò.
Ma la mattina dopo, all’alba delle 11, la “signora Contessa riverita” non si era ancora alzata.
Così la cameriera prima bussò alla porta, infine entrò nella stanza buia.
Dopo averla chiamata a voce alta e non avendo ottenuto risposta, corse a spalancare gli scuri e i vetri della finestra; si volse infine verso il letto della padrona e lanciò un urlo spaventoso, che echeggiò a lungo nel palazzo e per le quiete strade di Cesena.
A un metro circa dal letto, giaceva a terra quella che un tempo era stata Donna Cornelia: un informe mucchio di cenere nera, grassa e densa, “colante un grasso fetido e liquido” dalla quale spuntavano “due gambe intatte dai piedi sino alle ginocchia, ancora coperte dalle calze“.
Tra le gambe era rotolata la testa “ridotto in cenere tutto il cervello, la metà del cranio verso gli omeri e tutto il mento; rimanendo solo l’effigie del volto, detràttone solo il detto mento“: e accanto a questa “tre dita d’una mano non del tutto arse, ma semplicemente abbronzate e annerite“.
Gli investigatori giunti sul luogo trovarono la stanza perfettamente in ordine. La lampada ad olio era spenta, il letto con le coltri buttate da un lato, come se la donna ne fosse scesa di corsa; il fuoco non aveva toccato né cortine né lenzuola né mobili.
Ma ovunque nella stanza volava una “specie di fuliggine tetra” e “dal parapetto delle fenestre grondava un grasso e stomachevole umore, di colore non difforme dal giallo”.
Come diavolo aveva preso fuoco la Contessa?
Gli studiosi enciclopedisti dell’epoca si scatenarono in varie ipotesi; tra questi il canonico veronese Giuseppe Bianchini, che pubblicò lo stesso anno il Parere Sopra la cagione della morte della Contessa Zangari ne’ Bandi Cesenate, dove escludeva “la cagione diabolica” e per primo parlò di autocombustione: “credo addunque che la pia Dama venisse incenerita dal calore che nelle interiora se le insinuò… è dimostrato che le materie che il corpo nostro compongono sono in gran parte molto atte alla combustione e casi abbiamo di acute febbri che hanno l’ossa incenerite”.
Altri parlarono di fulmini, di “accensione di gas intestinali”, di scariche elettriche; ipotizzarono miniere di zolfo situate sotto il palazzo, “distillazioni accese” a causa della troppa acquavite bevuta, di “sudore alcolico”, persino di una “facella uscita da un vulcano” transitante lì vicino.
E come sempre accade, vennero citati innumerevoli esempi simili avvenuti a in tutta Europa, dove pareva che un sacco di gente andasse quotidianamente a fuoco.
Dickens ne fece un racconto (Bleak House), per anni le Accademie mediche e fisiche tennero approfonditi convegni sull’argomento, vennero pubblicati migliaia di articoli.
Ma cosa fosse successo veramente la notte del 14 marzo 1731 nella stanza della Contessa di Cesena, per la gioia di complottisti e bufalari, nessuno lo seppe mai.