Dichiarazione D’Amore Alla Mia Città: Genova

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Genova col porto che ti accoglie come un abbraccio spalancato; con piazze come De Ferrari, o Corvetto,  che vista dall’alto sembra il perno di un ventaglio di strade aperto sul turchese del mare.

Vedere la Foce, che i foresti non capiscono perché mai si chiami così, e scoprire che è a causa di un fiume che a un tratto scompare coperto da viali e giardini; ed abbinare all’immagine le parole del recitativo “La nostra spiaggia” di Bruno Lauzi, che alla Foce nacque e passò gli anni più belli della giovinezza:

“Ricordo che c’erano solo i relitti delle chiatte da sbarco,
quello che era il parco giochi di chi sognava l’avventura
e lungo tutta la Foce l’acqua era limpida e pura
e sugli scogli i pescatori avevano la mano sicura:
è così che tanti anni fa era il nostro quartiere…”

Vedere all’improvviso Boccadasse, sorpresa sempre nuova in riva a mare, intatto borgo pescatore superstite glorioso alla civiltà urbanistica e romantico testimone di un tempo che fu.
E osservandola così ritratta nella sua pace, si capisce bene la poesia di Edoardo Firpo

O Boccadaze, quando a ti se chinn-a
sciortindo da-o borboggio da çittae,
s’à l’imprescion de ritorna in ta chinn-a
o de cazze in te brasse d’unna moae.
Pa che deslengue un po’ l’anscia da vitta
sentindo come lì s’eggian fermae
ne-a bella intimitae da to marinn-a
a paxe antiga e a to tranquillitae.

che ho tradotto:

O Boccadasse, quando a te si scende
uscendo dal subbuglio della città,
si ha l’impressione di ritornare nella culla,
o di cadere fra le braccia d’una madre.
Pare che si sciolga un po’ l’ansia della vita
sentendo come lì si sian fermate
nella bella intimità della marina
l’antica pace e la tua tranquillità.

Genova andrea facco

(©AndreaFacco)

Ecco, tranquillità; pura serenità il sentimento che si prova a guardare Genova in alcune sue giornate.

Immergersi nei suoi colori; colori tenui, nulla di urlato: cipria, terracotta, cenere, albicocca. E pistacchio, sale, pepe, zafferano, un pizzico di cannella e peperoncino: quelle “droghe” un tempo così amate dagli antichi mercanti di qui, spiccano ancora nel paesaggio con funzioni di chiaroscuro.

E scoprire così che la luce di Genova è dolce e lenitrice.

tetti ardesia

(Tetti d’ardesia visti da Castelletto)

Di giorno, un giorno magari sferzato dalla tramontana, la luce è vitale, tutto sembra nitido, lavato di fresco e si rischiarano anche le idee, si raffreddano le rabbie, svaniscono le nebbie della malinconia.

Invece la luce della sera ricopre per un lungo attimo di rosa, tra l’antico e il confetto, le facciate delle case e d’argento le centinaia di tetti d’ardesia, facendoli luccicare come altrettante scaglie di mare.

corvetto luna

(Piazza Corvetto)

E Genova, così come sa regalare tramonti struggenti, sa anche donare notti di fiaba; quando sulle alture si accendono lumini da presepe, la città dorme sotto la Luna mentre il porto e i lungomare indossano i loro gioielli più belli che riflettono sull’acqua lunghe catene scintillanti, palpitanti scie d’oro e diamanti che  fanno sognare l’anima.

© Mitì Vigliero

Acque Italiane Magiche, Incendiarie, Eccitanti, Afrodisiache E Spasimose

fonti

In Italia esistono parecchie  fonti d’acqua dalle proprietà magiche o decisamente particolari.

villa varda

Una delle più strane è di sicuro quella che si trova a San Cassiano di Livenza in Friuli, nel bel parco di Villa Varda; da una fontanella sgorga un’acqua all’apparenza normale, ma se si prova ad avvicinarle una fiamma l’acqua si accende, ossia prende fuoco perché pare sia mescolata a un’esalazione di gas naturale.
Meglio non fumarle vicino.

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Francolise vicino a Caserta invece c’è la Sorgente di Cantarone, più conosciuta come Acqua Catena; 22° di temperatura, estremamente ricca di bicarbonato, già i Romani la usavano come bagno termale e ne erano assai entusiasti grazie a una sua particolarissima caratteristica testimoniata anche da Plinio il Vecchio: “Vini modo temulentos facit”, ossia “ubriaca come il vino”.

Eccitante e inebriante come “quello buono” insomma, ma senza i pericolosi effetti epato-neuro-distruttivi dell’alcool, la sorgente di Cantarone venne sfruttata per molti secoli e persino venduta in bottiglia come acqua minerale da uno stabilimento in loco.
Anni fa però assurde speculazioni edilizie l’hanno soffocata sotto colate di cemento, ricacciandola nelle viscere della terra. Peccato.

cetica

Note fin dall’epoca romana e considerate altamente benefiche erano pure le acque dei Bagni di Cetica, nel Casentino; la leggenda però narra che ottennero la qualifica ufficiale di “miracolose” nell’XI secolo quando i Santi locali Romualdo e Giovanni Guarlberto, senza conoscersi e bevendo fianco a fianco lo stesso giorno da quella stessa fonte, videro apparire fra loro lo spirito di Romolo, un terzo Santo a cui erano entrambi devoti: tutti e tre allora per festeggiare l’incontro, benedirono quelle acque dotandole di magiche virtù.

Effettivamente qualche particolare magia ci deve essere se i bagnanti riescono a sopravvivere all’assideramento o alle broncopolmoniti immergendosi tutt’oggi per ben 3 volte, una per Santo, nelle antichissime vasche di pietra dei “camerini da bagno” colme d’acqua a 7°- 8°, meglio se dopo aver fatto una sudata infernale…

Ma pare che il gelido sacrificio venga compiuto volentieri poiché da sempre si sussurra la certezza che le fonti di Cetica abbiano, tra quelle più genericamente definite “rinvigorenti”, virtù più potenti del Viagra.

bersone adana

Altre acque dalle riconosciute proprietà afrodisiache si trovano anche in alcune terme trentine e altoatesine, come quelle di Merano e di Levico; sempre eccitanti, ma in modo esagerato, pare che invece siano le acque del torrente che scorre nei pressi di Bersone (Trento).

Sono conosciute come “Acque spasimose”, e gli abitanti del luogo sconsigliano di berle o di tuffarvici perché la “reazione” potrebbe essere sì, ehm, estremamente esaltante: ma condurrebbe addirittura alla pazzia. Dicono, eh?

Sino a due secoli fa i medici e le mamme desiderose di nipotini le consigliavano alle giovani spose troppo inibite e freddine; e pare che ancora oggi i turisti ne riempiano bottigliette da centellinare poi con somma discrezione a casa propria…

© Mitì Vigliero

Dal Phoetidissimum Lylium All’Euscordiu, Vi Racconto Tutti I Nomi Dell’Aglio

Gli antichi alchimisti medioevali definivano l’aglio col sublime nome di Phoetidissimum Lylium, fetidissimo, puzzolentissimo giglio, per via del bulbo che lo fa appartenere alla famiglia delle Liliacee. 

aglio

Ma sull’origine del termine “aglio” vi sono varie interpretazioni.

C’è chi dice che il latino allium derivi da alum  “aglio selvatico”, ma anche una pianta “consòlida maggiore” o “cotonea” della famiglia delle borragini di cui parla Plinio (19,116).

Altri asseriscono che derivi dall’aggettivo celtico all, significante “che brucia, che fa caldo” mentre la maggioranza dei dizionari preferisce a limitarsi a un laconico “di etimologia incerta”.

fiori aglio

Nei lessici il nome sanscrito indicato per l’aglio è bhutaghna; “uccisore”; in ogni caso la forma allium era presente nella lingua latina già dal I sec. d.Caleum fu la forma volgare, così come alius e aleus.

greci chiamavano  aglis  solo la testa dell’aglio, mentre in generale lo appellavano scòrodon . 

In Inghilterra l’aglio si chiama garlic, mentre wild leek è l’aglio selvatico, (allium ursinum), detto nella Svizzera tedesca Tufelschnoblech (aglio del diavolo), in Austria Judenzwifel (cipolla degli ebrei) e  Zigeunerknoblanch (aglio degli zingari) in tedesco dialettale.

Sempre gli inglesi chiamano clove lo spicchio, mentre utilizzano il termine garlic eater, “mangiatore d’aglio”, per indicare una persona di bassa condizione e scarsa educazione.

spicchi

In Francia lo spicchio si chiama gousse, ed è di genere femminile; il “puzzare d’aglio” si dice déplaire, che in senso figurato significa “dispiacere, riuscire ostico”.

In Spagna  lo spicchio d’aglio si chiama diente , cosa logica se si pensa che fa parte di una “testa”, in questo caso cabeza.
  
  Da noi sono molti i cognomi derivati dall’aglio: Aglio, Dall’Aglio, Aglietta e Aglietti, Aglini, Agliotto e Agliotta, Agliole e AglioniAgliozzo AgliozziAgliano e Agliani;Agliardi, Aglieri, Agliata, Agliarolo, Agliarulo e Agliaruòlo.

Si tratta di cognomi assai diffusi nelle diverse forme, soprattutto nel Sud; e hanno origine o da un soprannome (chi coltivava aglio, lo vendeva, ne mangiava troppo…) o come etnico dei vari toponimi che hanno alla base il latino allium

C’è anche una bella cittadina turistica il cui nome ha a che fare con l’aglio; aasci  erano infatti chiamati i venditori d’aglio che si recavano facendo chilometri per smerciare il loro prodotto nei mercati liguri: e originariamente venivano tutti da Alassio.

In Italia il dialetto che forse ha più termini riguardanti l’aglio, è il Ligure; aggétto significa “sapore d’aglio”, quello che si dà a qualcosa (pane, salame) affettandolo con un coltello prima fregato con uno  spigospicchio: in Veneto lo spicchio si dice spigolospicolo in Campania; in Piemonte fiesca e in Lombardia fésa.

trecce

La resta, sempre in Liguria, invece  è la treccia d’aglio, da cui ha origine il verbo inrestàinfilzare gli agli per farne –appunto- trecce con un filo bianco da rocchetto; dalla treccia di gambi secchi che restavano una volta spiccate tutte le teste d’aglio, le parsimoniose massaie un tempo, arrotolandole a spirale e poi cucendole, facevano altre reste, i cèrcini, che si usavano come sottopentola da posare sulle tavole.

COME SI DICE AGLIO NEI DIALETTI ITALIANI

Piemontese: Ail -aj     
Milanese, Bergamasco: Ài         
Veneto: Ajo        
Napoletano: Àglio-aglie   
Genovese: Aggio  
Emiliano-romagnolo, reggiano, bresciano: Ai 
Mantovano: Aj
Siciliano: Agghiu
Calabrese: Agghia, agghiu, aglia
Umbro: Ajio
Sardegna Loguduresu : Azu; euscordiu
Sardegna Campidanesu: Allu   
Puglia (Valentiniano): Uagghjie
Bari : Agghie
Lazio: ajo

© Mitì Vigliero, estratto da Saporitissimo giglio

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