Placida Casalinghitudine: Il Cambio Di Stagione Degli Armadi

cambio-di-stagione

(Foto ©Kika13)

Da oggi sono alle prese col Cambio di Stagione degli Armadi, grande manovra casalinga che ogni volta mi getta nella più cupa depressione.

Io non lo so, ma sono anni e anni che come tutti mi dedico a quell’impresa; eppure ancora non sono riuscita ad organizzarmi in modo decente.

E’ anche vero che quando sento le parole “organizzazione“, “metodo” e “ottimizzazione“ da sempre vengo colta da un’irrefrenabile voglia di lanciare per aria ogni oggetto che mi circondi, guardandolo poi cadere a terra ed ammirandone l’effetto artistico, nonché di togliere le pile agli orologi per perdere definitivamente la nozione e la relativa gestione del tempo.

Però, ‘nzomma, mi rendo anche conto che un minimo di raziocinio in certe (biechissime) incombenze casalinghe sia necessario per sopravvivere…

Ma il Cambio di Stagione negli Armadi mi getta nel panico, giuro.

Innanzitutto la moltiplicazione degli ometti.

Non so come li chiamate voi, per me ometti sono quei cosi di legno e/o plastica muniti di gancio metallico che servono per appendere vestiti, giacche, pantaloni & affini negli armadi.

D’estate mi mancano, non ne ho mai abbastanza. D’inverno me ne avanzano a dozzine, di ogni forma e materiale.

Il mistero è fitto: non è che abbia più vestiti estivi, riesco a stipare ugualmente in ogni stagione ogni anta presente in questa casa.

Ho perciò cominciato a sospettare che si accoppino tra loro, prolificando giovani omettini.

Chi lo sa.

Di certo so che non c’è niente di peggio che sistemare da qualche parte gli odiosi ometti avanzati, in sacchi o scatole di cartone; si aggrovigliano rumorosamente tra loro simili a serpi velenose, e fanno spuntare ovunque quei maledetti ganci che s’uncinano ovunque, attentando pure ai miei polpacci, tentando di arpionarli in ferali mòzzichi.

Poi, i golf.

Come diavolo li sistemo ottimizzando i golf?

Li impilo negli scaffali, ma ogni volta che ne prendo uno (e mi serve sempre quello a metà della pila, se non l’ultimo), faccio crollare tutto; e dato che vado sempre al galòp dico “vabbè, poi riordino”, e va a finire che quegli scaffali dopo poco tempo son ridotti ad un ammasso strabordante e informe di multicolori blob lanosi.

E i pantaloni?

Meglio piegarli a metà sull’apposito bacco orizzontale degli ometti (ma così occupano il doppio dello spazio), o usare quegli appendini con due pinze (che di solito son troppo lunghi, troppo corti, o con la gomma di protezione interna alle pinze che spesso dopo un anno diventa marcetta e incolla tutto appiccicando dappertutto bricioline fetenti?)

A volte m’incanto a guardare foto di  guardaroba impeccabili, con i vestiti ordinati come soldatini in parata, le maglie – divise per sfumature di colore- perfettamente impilate (secondo me, una volta piegate, per farle star ferme le ingessano) e gli ometti usati son tutti uguali, identici per forma, colore e materiale: scommetto che i loro ganci sono morbidissimi e gentili…

Vada come vada, per il Cambio di Stagione ho già pronto il piano di battaglia, che è sempre lo stesso da anni.

1) Possedendo tre armadi stagionali oltre una cabina armadio di m. 4×3 ed essendo allergica al motto “chi va piano va sano e va lontano“, inizio a svuotarli completamente riversando il contenuto ovunque.

2) Dopo minimo cinque ore di lavoro e dopo aver seppellito l’arredamento di quattordici vani (cucina e bagni compresi) sotto cumuli variopinti di cappotti, prendisole, giacconi, caftani, pantaloni, gonne, maglioni, costumi da bagno, tailleur, camicie, top, stivali, scarpe, sandali, borse, calze, magliette, reggiseni, mutande, piumoni, lenzuola, vestaglie e coperte, mi fumo con calma una sigaretta contemplando l’effetto artisticamente surrealista della cosa.

3) Esco di casa e vado a prenotare una camera in albergo perché oggi io, là dentro, non ci torno di sicuro.

Domani… si vedrà.

© Mitì Vigliero

L’Odore E Il Sapore Delle Cose: La Magia Del Costruire Il Ricordo

ricordi

Marcel Proust ha scritto

Mais, quand d’un passé ancien rien ne subsiste, après la mort des êtres, après la destruction des choses, seules, plus frêles mais plus vivaces, plus immatérielles, plus persistantes, plus fidèles, l’ODEUR et la SAVEUR restent encore longtemps, comme des âmes, à se rappeler, à attendre, à espérer, sur la ruine de tout le reste, à porter sans fléchir, sur leur gouttelette presque impalpable, l’édifice immense du souvenir.

“Ma, quando di un remoto passato niente persiste, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’ODORE e il SAPORE restano ancora molto a lungo, come delle anime, a ricordarsi, ad attendere, a sperare, sopra il disfacimento di tutto il resto, a sostenere senza crollare, sopra la loro gocciolina quasi impalpabile, l’immenso edificio del ricordo.”

E proprio sbocconcellando una merenda della mia infanzia che credevo estinta da tempo – le mitiche barrette di Ovomaltina – dopo il primo morso mi sono trovata catapultata all’improvviso ai miei 7 anni, Torino, tragitto casa-scuola, Corso Dante via Madama Cristina, la mano di mamma stretta attorno alla mia, la sosta in una piccola drogheria (Prodotti Coloniali scritto sull’insegna) per comprarle, il grembiulino nero e il fiocco rosa, la cartella rossa come il cestino del pranzo (mangiavo là, uscivamo ogni giorno alle 16), la lunghissima treccia  di Raffaella, gli occhi azzurrissimi di Elisa, amiche mie allora e ora, ancora, i quaderni con la copertina blu (Italiano) e verde (Matematica), il fruscìo delle foglie dei tigli in cortile, l’odore speciale che ha Torino in autunno…

Un viaggio-lampo a ritroso nel tempo.

48 anni annullati dal sapore di Cioccovo. 

Se non è magia, questa…

© Mitì Vigliero

“Casa” e “Casa Mia”: riflessioni dedicate a chi ha bisogno di Radici

Io sono nata a Torino, i miei abitavano in via Colli.

E poi sono stata a Verona, a Mondovì (ma ero troppo piccola per ricordarle) e poi di nuovo a Torino, in due case diverse (Corso Dante e via Canova) sino alla mia laurea.

E poi mi sono trasferita a Genova, dove ho cambiato anche qui tre case e tre zone.

Unica casa “fissa” della mia vita, quella avìta, a Margarita; ma per me, pur amandola tanto, è sempre stata casa di vacanza, non di stabilità.

Sino a qualche anno fa provavo una sorta di “destabilizzamento“; cercavo di capire a quale Casa e Città appartenessi veramente.

E soprattutto, dov’erano le mie radici.

Non tutti sentono il bisogno di radici lunghe, solide, ben piantate in una Terra-Casa amata che si sente “propria”.

Io sì.

E credo di non essere la sola, visto che sono tante le persone che, dopo essersi trasferite altrove dal luogo di nascita e averci vissuto anni e anni, ad un certo punto della loro vita tornano a Casa.

Oppure scelgono un’altra terra e un’altra Casa, in un luogo che hanno sognato per sempre e che istintivamente sentivano loro.

Ebbene, io ora so e sento che Casa Mia non è quella in cui sono nata e pur sono stata bene; dove sono cresciuta fisicamente, formata caratterialmente e culturalmente.

Ma ora so che la vera Casa Mia è questa, in cui ora vivo vicino a chi amo e conto di viverci per sempre.

Casa di cielo e di muri, Genova Castelletto, dalle strade in salita e lo sguardo che domina monte e mare.

Qui le mie radici tardive hanno ben attecchito; forse perché era già terra di famiglia, qui c’erano i nonni (anche se uno solo di loro era genovese, gli altri di razza SaleLanghe e Milano).

Forse perché è una Terra che mi somiglia, che bada assai poco alle apparenze esterne e molto alle concretezze interne.

Non so di preciso il perché: so solo che sono felice così.

E voi a cosa pensate quando dite “Casa mia”?

©Mitì Vigliero