Per la Serie “Tipi e Tipetti”: Giambattista e il Regalo di Nozze

L’avarissimo Giambattista, dovendo fare un regalo “importante” a un nipote che si sposava, si recò da un amico antiquario.

Ogni oggetto però gli sembrava troppo caro e stava quasi per andarsene quando vide in un angolo, buttato in un cesto, uno splendido vaso di cristallo rotto in sette pezzi.

–  “Quanto costa quel vaso?”, chiese all’antiquario.
–  “Quanto vuoi che costi? Niente, te lo regalo, è rotto in maniera irreparabile…Ma cosa diavolo te ne fai?”
–  “Ho avuto un’idea geniale: stasera andrò a casa di mio nipote per portargli il regalo. Appena entrato, farò finta di inciampare e lancerò il pacchetto a terra, poi griderò disperato:- “Oddìo l’ho rotto! Era un oggetto unico, preziosissimo che non potrò mai più permettermi di acquistare…e l’ho rotto!”. Mio nipote aprirà il pacco, troverà i cocci, magari mi darà del vecchio scemo ma io avrò fatto una splendida figura senza spendere un euro. Dì alla commessa che me ne faccia una confezione molto elegante, grazie.”

E così accadde che Gianbattista arrivò in casa del nipote, inciampò, fece cadere il pacco, si lamentò come Geremia…e poi fuggì a gambe levate perché il nipote, aprendo il pacchetto, vi trovò i sette cocci di vaso accuratamente imballati e fasciati uno per uno, separatamente.

© Mitì Vigliero

La Danza del Lombrico: Osservando Librai, Lettori e Scrittori in Libreria

Arcimboldo-Il Bibliotecario
Arcimboldo-Il Bibliotecario

Librai fanno uno dei mestieri più belli del mondo e a me sono molto simpatici.

Anch’io credo di essere simpatica a loro, forse non tanto per il fatto che scrivo libri, ma soprattutto perché compro i libri altrui.
A vagonate.
C’è chi deposita i soldi in banca e chi in libreria; io preferisco le librerie alle banche, ed è per questo che i librai mi vogliono bene.

Le librerie dei Librai sono frequentate sia dai Lettori che dagli Scrittori: i primi amano trascorrere il tempo libero perlustrando librerie alla ricerca di novità da leggere. I secondi amano trascorrere il tempo libero scrivendo e poi perlustrando le librerie alla ricerca dei loro libri.

Quando uno Scrittore (di solito alle prime armi, poi smette perché si rassegna) passa davanti a una libreria, la prima cosa che fa è ispezionarne con occhio di falco le vetrine onde controllare se il suo ultimo parto cartaceo, mettiamo dal titolo La danza del lombrico , sia esposto.

Se non lo vede, prova un grande dolore; però stoicamente fa finta di nulla e prosegue nell’ispezione, entrando con aria noncurante nel negozio.

I casi sono tre:

1) Trova immediatamente il suo libro in bella mostra.

Allora, petto in fuori e pancia in dentro, si avvicina al Libraio con espressione cordialissima, gli tende la mano, si presenta come l’autore de La danza del lombrico e gli fa tanti complimenti per la sua splendida libreria.

2) Dopo un’ora di spasmodica ricerca, lo Scrittore finalmente scopre il suo libro seppellito da altri.

Perciò lo diseppellisce e lo mette in cima a tutti, possibilmente in piedi.

Successivamente va dal Libraio e, senza presentarsi, indicando La danza del lombrico  chiede con estrema noncuranza:
-“Si vende quel libro lì?”

Domanda cretina che lo smaschera immediatamente perché nessun Lettore si sognerebbe di entrare in una libreria per informarsi sulle vendite dei libri.

Il Lettore al massimo può chiedere: “Di cosa parla quel libro lì?” e casca male perché i Librai migliori sono quelli che non leggono affatto i libri che vendono. Potrebbero rimanerne contaminati e perdere la loro obiettività.

In ogni caso il Libraio d.o.c. è quello che a una domanda del genere non risponde “Boh?”, bensì:
-“Guardi, è stupendo. Va via come il pane”.

E questa risposta convince sia il Lettore che lo Scrittore.

3) Lo Scrittore non trova il suo libro.

E s’inquieta.

Molto.

Così, con sguardo incupito dal rancore, ma tentando di mantenersi calmo, incede lentamente verso il Libraio e con voce gelida gli sibila:
-“Mi scusi, avete La danza del lombrico?”

Il Libraio d.o.c. risponde:
-“Mi spiace, ma ho venduto dieci minuti fa l’ultima copia”
oppure
-“Si è esaurito subito e ho dovuto riordinarlo”

Ciò soddisfa molto lo Scrittore e un po’ meno il Lettore, che aveva davvero tutte le intenzioni di acquistarlo.

Qualcuno può anche sentirsi rispondere:

-“Danza del lombrico? Mai sentito.”

In questo caso lo Scrittore tenta discretamente il suicidio, mentre il Lettore si limita ad andare in un’altra libreria.

O a comprare un altro libro.

© Mitì Vigliero

Tipi&Tipetti: Il Marito Cuoco

AVVERTENZE: Ci sono migliaia di uomini perfetti casalinghi, magnifici cuochi dilettanti che cucinano benissimo e con allegria. La descrizione che segue, quindi, NON è la loro.

Capita spesso di sentir dire: “Eh, ma i cuochi migliori anche se dilettanti sono gli uomini!”.

Non ho voglia di scatenare un’ennesima discussione sui sessi.

Mi limito a sottolineare il modo diverso in cui talvolta il genere maschile affronta la cucina casalinga.

I maschietti contagiati da febbre culinaria, di solito, per fare un semplice ragù utilizzano un’intera batteria da 35 pezzi abbandonandola poi lurida e bisunta per tutta la cucina, pavimento compreso.

Sono gli stessi che dicono in tono saccente alla moglie (fidanzata, compagna, Dolce Metà ecc.): “Ma cara! Il minestrone si cucina solo dentro la pentola di coccio! E l’insalata si taglia solo con le mani e non con il coltello! E non forare le bistecche quando le giri!  Perché usi quel cucchiaio e non quest’altro? Perché usi il mattarello sulla mia testa e non sulla pasta?”

Il mio Marito Cuoco da manuale, possiede una fornitissima biblioteca di testi gastronomici che comprende, tra il resto, il Traité des aliments del Lemery (1705) e il Nuovo cuoco milanese economico del Luraschi (1839). E’ abbonato a tutte le riviste di cucina esistenti al mondo, frequenta ogni forum o social network gastronomico presente in rete e, ogni volta che mette il naso fuori di casa, vi rientra stracarico di pentole, pentolini, scavini, coltellini, grattugini, colini e frullini utilissimi e portentosi.

Quando decide di cucinare, si tramuta nel Muti de la Cuisine.

Non dirige orchestrali ma la moglie e i figli – e magari qualche amico che, sfigato, passava di lì in quel momento – schiavizzandoli con ordini perentori impartiti brandendo un mestolo: “Pela le patate, taglia le cipolle, tira fuori il burro dal frigo, lava l’insalata, grattugia il formaggio, trita il prezzemolo, monta la panna, passami il sale, setaccia la farina, vammi a comprare delle uova, anche della soia, torna giù e prendimi della pancetta, esci di nuovo ché mi son dimenticato il pepe ecc.”

Il realtà il Marito Cuoco soffre di solitudine; per questo appena può invita otto amici a cena, chiedendo loro in tono apprensivo: “E’ buono? Vi piace? Va bene? E’ giusto di sale? L’altra volta mi era venuto meglio…”

Controlla i suo ospiti mentre mangiano, con lo stesso sguardo ansioso e soddisfatto di una chioccia coi pulcini e non toccando affatto il cibo che ha preparato.
In compenso si offende a morte se qualcuno avanza qualcosa nel piatto o declina con garbo la sua offerta di servirsi per la venticinquesima volta della stessa portata: “Ma come, non ne vuoi più? Allora non ti è piaciuto! E pensare che ho perso tre ore per cucinarlo…Ma davvero non ne vuoi più? Ma dai, prendine ancora un po’! Su, che ti servo io…”

Andati via gli ospiti, annuncia “Vado a dormire; è tutto il giorno che spignatto, sono stanco morto”. E saluta con un bacio la moglie (fidanzata, compagna, ecc.) e i figli, lasciando loro il compito di sparecchiare e riordinare la cucina. Sino alle 3 del mattino.

© Mitì Vigliero