In Ciociaria si trova il Castello di Fumone; grazie alla sua posizione dominante un immenso paesaggio, nel Medioevo fungeva da sentinella contro le incursioni saracene, longobarde e normanne.
Appena si vedevano movimenti sospetti, dalla torre del “Castro Fumonis” si levava un’immensa colonna di fumo che veniva vista e ritrasmessa dalle torri di Rocca di Cave, Castel San Pietro di Palestrina, Paliano e altre, arrivando sino a Roma e dando in tal modo l’allerta.
Ma la torre è celebre anche perché nel 1296 vi fu imprigionato e morì in circostanze misteriose Pietro Angelerio detto Pier da Morrone alias Papa Celestino V, colui che secondo Dante (Inferno, III) “fece per viltade il gran rifiuto” (solo perché abdicando favorì l’elezione dell’acerrimo nemico dell’Alighieri, Bonifazio) e invece secondo Jacopone da Todi, venne ridotto “in cennere e ’n carbone” da quella “fucina, loco tempestoso” che era la Curia Romana d’allora.
Sin da bambino non sopportava rumore e gente intorno; religiosissimo, ipersensible e tormentato da incubi e visioni, si rinchiuse in una vita mistica e penitenziale vivendo da eremita in luoghi impervi e isolati.
Ben presto però la sua fama di “santo” attirò torme di fedeli ammiratori; infastidito ed esasperato, per sfuggire alla presenza assillante di questi Pietro continuò a cambiar eremi: dal Monte Porrara al Morrone alle vette della Maiella.
Ma nel 1294, su pressione di Carlo d’Angiò fu eletto Papa col nome di Celestino V.
Trascorse da allora un periodo infernale, circondato da maneggioni e faccendieri che gli facevano addirittura firmare bolle papali in bianco.
Costretto a seguire il Re a Napoli, si fece costruire in Castel Nuovo una minuscola stanza di legno ove stava rintanato a pregare, affidando il comando a tre cardinali.
Dopo 5 mesi rinunciò al papato.
Al suo posto venne eletto Benedetto Caetani, il terribile Bonifacio VIII il quale, ben sapendo che la presenza del Celestino -anche se “ex” – avrebbe provocato uno scisma, per toglierlo di mezzo lo imprigionò in un’inumana cella di Castel Fumone, dove il poveretto morì dopo dieci mesi.
E qui arriviamo al giallo.
Anzi, al noir.
Nella Badia di S.Spirito a Sulmona, eremo prediletto del da Morrone, pare che sino al XVII sec. si conservasse un “un chiodo longo mezo palmo e più, ligato con certi pezi di sangue congelato di color pardiglio, involto in tafetà drappo di seta scolorita“; si diceva fosse l’arma usata da un sicario nipote di Bonifacio per ammazzare Celestino.
E pare che in Santa Maria a Maiella, altro eremo, in un orripilante affresco ora scomparso si vedesse Celestino pregante e dietro di lui un uomo che gli poggiava sulla testa il chiodo sollevando contemporaneamente un martello.
Nel 1630 Lelio Marini, Abate Generale dei Celestini e Sherlock Holmes nell’anima, dopo aver esaminato reperti e cadavere, scoprì nel cranio un foro in cui quel chiodo entrava perfettamente: ergo ne denunciò l’assassinio.
Ma non se ne fece nulla; anzi l’arma del delitto scomparve misteriosamente.
Nel 1888 venne fatta un’altra autopsia, che dichiarò quel buco “assolutamente non accidentale”.
Nel 1998 dalla Basilica di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila, la salma venne trafugata da ignoti e ritrovata in un cimitero vicino a Rieti.
Allora l’Istituto di Anatomia dell’Aquila – dopo aver confermato l’esistenza del buco nel teschio- sottopose i resti a varie analisi, TAC compresa: ma i risultati andarono, di nuovo, miracolosamente perduti.
Il mistero della morte di Celestino rimane da secoli uno dei prediletti da Complottisti&affini e, riportato oggi alla memoria dall’ultimo clamoroso abbandono, lo sarà ancor di più.
Ma da secoli ormai Pier da Morrone se ne impipa, godendosi in eterno gli agognati pace e silenzio.
E probabilmente nulla si saprà, se non che passeranno alla storia come i due papi dimissionari
grazie mitì :)
Splendido. Sapevo del povero PierCelestino costretto al soglio dal voto di obbedienza, ma che lo avessero addirittura fatto fuori lo ignoravo. Del resto, a qui tempi, niente era meno santo del Santo Uffizio.
A quei tempi?
Grazie Mitì.
le analogie con l’oggi, anche a non esser troppo prevenuti, sembrano evidenti