Pare sia stata inventata dai soliti Cinesi nel VI secolo; un documento burocratico risalente al 1321 riporta che l’Ufficio Rifornimenti Imperiali aveva iniziato a produrre il rifornimento annuale di carta igienica strettamente riservata alla famiglia dell’Imperatore, famiglia immagino numerosa visto che si trattava di ben 720.000 fogli di finissima carta misuranti ciascuno due piedi per tre.
Nel resto del mondo, prima della carta, si usavano materiali vari e talvolta curiosi: nei bagni pubblici dell’antica Roma veniva fornita una spugna imbevuta di acqua salata fissata a un bastone (una specie di enorme cotton fioc), mentre i nobili in casa loro utilizzavano lana intrisa di acqua di rose.
I Vikinghi usavano scarti di lana di pecora; gli abitanti dell’India e dell’Arabia, seguendo gli insegnamenti igienici dei sacri testi, usavano acqua e mano sinistra: usanza ancora in voga, poiché la destra solitamente si usa per mangiare e da porgere agli altri nei saluti.
Nel Medioevo, le ciurme delle navi spagnole e portoghesi adoperavano vecchie cime tagliate a pezzi e bagnate di acqua di mare mentre i contadini di tutta Europa si servivano di pallottole di fieno.
Nelle antiche Hawaii, gusci di noci di cocco; gli Eschimesi, neve e fango di tundra e nei palazzi reali francesi del 1700, accanto alle “comode” stavano cesti pieni di vecchi e stracciati pizzi e merletti, vezzosi morbidi e atti all’uopo.
In ogni modo dall’Ottocento in poi, praticamente ovunque, per la bisogna venivano usate le pagine di vecchi giornali o di cataloghi scaduti, tagliate a rettangoli e appesi ad un chiodo.
Ovviamente tutti questi sistemi potevano creare problemi d’irritazione e infiammazione, ehm, locale; fu così che nel 1857, un piccolo industriale del New Jersey, tal Joseph Gayetty, brevettò e produsse la prima carta igienica ufficiale, chiamata “carta terapeutica”; la vendeva a pacchi di 500 fogli alla cifra di 50 centesimi, ogni foglio era intriso di aloe e riproduceva stampato a grandi lettere il nome del produttore (sic).
Ma il prodotto non ebbe successo; la gente si rifiutava di sprecare della carta nuova e pulita per una funzione così poco elegante e raffinata, e continuava a preferire le solite pagine di giornale.
Nel 1879 fu un inglese, Walter Alcock, ad avere l’idea di immettere sul mercato la prima carta igienica in rotoli; ma anche lui fallì nell’impresa, per gli stessi motivi di diffidenza e lotta allo spreco.
Il suo brevetto fu acquistato nel 1896 da tre giovani e rampanti imprenditori di Filadelfia, Irvin, Clarence e Arthur Scott i quali decisero di convertire i grandi rotoli che servivano ad avvolgere i tessuti della piccola fabbrica del padre appena ereditata in rotoli più piccoli atti ad avvolgere, appunto, carta igienica.
Ma anche la loro nuova ditta, la Scott Paper Company (che diventerà la futura Scottex), dovette scontrarsi a lungo con la ritrosia dei consumatori: sprechi a parte, trattare e acquistare pubblicamente una merce simile era decisamente unmentionable.
Così la carta igienica fu per ancora molti anni considerata uno stupido lusso terribilmente consumistico, semplice vezzo da miliardari eccentrici.
Fu solo dopo il 1930 che il prodotto venne accettato (quasi) comunemente dal mercato, soprattutto da quello americano.
La vecchia Europa invece, si convertì abbastanza diffusamente allo “strumento” di uso abituale solo alla fine del 1950, mentre l’Italia aspettò ancora un’abbondante decina d’anni, quelli del boom economico, prima di aderire convinta e in massa a questa piccola rivoluzione di civiltà.
cara Mitì scopri sempre molte curiosità comunque storiche.
In tutto l’elenco, a mio avviso, però andrebbero aggiunte le “foglie” utilizzate in campagna, probabilmente per un lunghissimo periodo storico.
Un abbraccio.
Stefi
Stefi, hai ragione! tengo l’appunto per quando lo editerò, grazie :-**
Ciao Mitì,mi sei mancataaa!!! Un grande abbraccio:))
Ha ragione Stefi, quando d’estate andavo in campagna(io abito a pochi chilometri da Leuca) nel Salento il bagno di solito era dietro una pianta di fico d’india e le foglie che usavo erano quelle di fico o di vite.
Grazie per le belle e curiose notizie.
Rita
Aglaia, ma ciao mia dolce! :-*
Rita, spero però di fico albero, non di fico d’india ;-*
Una storia che lascia seduti…
:D
comunque, visto il taglio che mi sono fatto con una noce di cocco, una volta, mi sa che quelli lì eran pazzi
Fa veramente un certo effetto a pensare a Liz Bennett di Orgoglio e pregiudizio con in mano un pezzo di giornale… mi si toglie tutta la poesia.
Sulle Hawai penso che abbiamo avuto tutti un sussulto! ;) Cmq anch’io ho ben presenti le scuole elementari con il gancio e il giornale appeso. Quando racconto alle mie figlie che a 5 anni ho anche abitato in una casa alla periferia di Carrara, con il “bagno” ( chiamiamo così quella specie di gabbiotto….), dall’altra parte dell’aia, mi guardano come se arrivassi da Marte !! Credo che la mia generazione sia quella che ha visto in assoluto i cambiamenti più stravolgenti proprio del quotidiano!!! ;)
Le foglie che si usavano in campagna erano prevalentemente di vite. Meglio nella prima mattinata quando ancora imbevute di rugiada. Ma d’inverno mancavano. L’alternativa era un mazzetto di erba tenera. Ma se mancava anche questa, l’ultima risorsa era scegliere una pietra con forma adeguata, liscia, con bordi arrotondati, tipo i ciottoli che si fanno rimbalzare sull’acqua. Si usava come un rasoio o un cucchiaio. I più puliti completavano l’operazione lavandosi con un poco d’acqua presa dal pozzo. Pratica usata ancora nel mondo arabo.
Verissimo, erano anche fra le prescrizioni in tema di igiene emanate in un editto di Khomeini dall’esilio in Francia. Imponeva di usare acqua o, in di mancanza di essa, sabbia, erba o un sasso