Tutta pinn-a d’ombrisalli
ùmia d’eûio de Dian,
pe-i scignuri e pe-i camalli…
(Costanzo Carbone)
Tutta piena d’ombelichi,
umida d’olio di Diano,
per i signori e per i facchini…
Per i genovesi la focaccia classica, quella all’olio, è un mito, un simbolo della città esattamente come la Lanterna; in Argentina esistono numerose panetterie con su scritto, come insegna, “Fugassa“: gli argentini hanno così assimilato il termine genovese da dichiararlo tipico del loro idioma, tanto che compare persino sui loro vocabolari.
In realtà sia la parola che il “prodotto” furono introdotti dagli immigrati genovesi di quasi centosessant’anni fa, e i loro eredi continuano a fare una focaccia buonissima.
La focaccia è sempre stata la prima colazione di chi si svegliava all’alba; lo è tuttora per molti, anche per chi si sveglia più tardi: e assaporare lei, condita di olio e sale, pucciata nel caffelatte è una sensazione speciale.
Segue l’uomo dalla prima infanzia: a Genova le mamme danno ai bambini piccolissimi un pezzetto di focaccia da mangiare, anche se sono completamente privi di denti; fa bene alle gengive e stimola la dentizione meglio del ciuccio.
Un etto di focaccia è la colazione che gli studenti, da generazioni, fanno prima di entrare a scuola; un etto di focaccia è lo spuntino degli scolari nell’intervallo delle lezioni; un etto di focaccia è l’aperitivo che i ragazzi consumano nel tragitto scuola-casa. Poi a casa, a pranzo, non mangiano perché sono inappetenti e le mamme si preoccupano. E infine un etto di focaccia appena sfornata è la merenda delle ore cinque, come il tè degli inglesi.
Ci fu un tempo, intorno al 1500, in cui veniva consumata persino in chiesa durante i matrimoni, al momento della benedizione degli sposi; un modo goloso per esprimere la gioia di una nuova unione che si sperava feconda.
Però l’amore per questo cibo nei riti religiosi prese un po’ la mano ai cittadini, tanto che ne facevano scorpacciate in chiesa persino durante i funerali; e al funebre odore dell’incenso e dei ceri si mescolava quello allegro e oserei dire sensuale della focaccia, alle meste preghiere il ruminare soddisfatto dei fedeli.
Il vescovado minacciò scomuniche a chi avesse continuato a mangiar focaccia in chiesa e l’usanza terminò, ma scommetto a malincuore.
Il profumo della focaccia può far commuovere sino alle lacrime un ligure che viva lontano da casa; non è il solito profumo di pane: è il profumo di focaccia, tutto diverso, unico.
La focaccia può ispirare pensieri sublimi e poetici anche a chi ha l’anima di coccio.
E non credo esista persona al mondo che non ami la focaccia; basta assaggiarla una volta, per innamorarsene.
Vittorio G. Rossi, il grande giornalista scrittore nato a Santa Margherita, in Maestrale (Mondadori, 1976) così scriveva:
“Essa è la nostra focaccia ligure, niente a che fare con le pizze cosparse di condimenti; essa è una delle cose più semplici che ci sono, semplice come l’acqua di sorgente; è pasta di farina, sale e olio; è cotta nel forno su una lamiera di ferro triangolare; ha lo spessore di un dito mignolo, anche di meno; con le punte delle quattro dita di una mano e le quattro dell’altra, il fornaio la ricopre di buchi; in essi si raccoglie l’olio d’oliva come le lacrime di un pianto, ma è un pianto di gioia.
La focaccia bisogna mangiarla appena esce dal forno; allora brucia le mani, ha tutto il suo olio vivo e sano e caldo, e bisogna mangiarla camminando lentamente, come se si pensasse alla fondazione del mondo; e non si deve pensare a niente, solo alla focaccia che si sta mangiando.
E se si è in vista del mare, è meglio ancora: la focaccia allora si condisce anche di mare.”
QUI un video, con la preparazione passo passo. E se volete provare a farla velocemente a casa:
500 gr di pasta di pane già lievitata; sale grosso; olio extravergine d’oliva.
La teglia classica in cui si cuoce la focaccia si chiama “lama“, contenitore rettangolare grande grande, coi bordi molto bassi; in casa si può usare una semplice teglia da pizza.
E sarebbe perfetto il forno a legna, ma non si può pretendere troppo dalla vita…
Allora: disporre uniformemente e in modo sottile (piuttosto fatene due, di teglie) la pasta sulla teglia unta, spargendo qua e là dei granellini di sale grosso; versare l’olio e con la punta delle dita (indice, medio, anulare e mignolo di ambo le mani) schiacciare la pasta producendo le classiche fossette (gli “ombrisalli“, ombelichi).
Infornare a 240° per 25 minuti.
Togliere la teglia dal forno, spennellare la focaccia con un poco d’olio e servire.
Ma prima di gustare, annusarla profondamente pensando intensamente al mare…
Mi sembra di aver letto una volta da te che x i genovesi la focaccia nn è solo un cibo ma un’emozione! (o qualcosa di simile). Ecco io mi sento così quando la vedo o se ne parla: emozionata!
Le lacrime me le hai fatte venire tu, soltando raccontandone la storia… per me che solo vederne la foto mi fa venire in mente il mondo com’era prima di scoprirmi celiaca. E adesso che sto imparando a farla con le mie farine sento di recuperare, oltre al sapore, il profumo di “buono” della mia infanzia :) Anche perché, pur non essendo genovese, ho avuto modo di assaporare varie focacce, originali o rivisitate e corrette, quando trascorrevo le mie prime vacanze a Reggio Emilia da mia zia. Grazie per questo bel post che mi ha regalato il secondo sorriso della giornata!
Che nostalgia! Non ho ancora trovato in nessun negozio non genovese, la mitica focaccia. Trovi dei”falsi” ed è il motivo x cui “dialogo amichevolmente ” con i fornai padovani…
Appena è possibile, tramite parenti ed amici, mi faccio portare almeno un chilo di focaccia, ma non è la stessa cosa di quando la mangio a casa genovese con il caffè.
Ma bisogna anche accontentarsi!
Grazie per avermi ricordato il profumo e le emozioni!
Un abbraccio mia cara Mitì
Sua maestà la focaccia!
Ecco, quella almeno qui non manca…la vendono in ben due posti :-)
Graziella, sono belle emozioni. un po’ caloriche, ma fa lo stesso ;-*
nemoravi, dovresti raccoglierle tutte in un posto apposito (blog, tumblr) le tue ricette “sostitutive”. Sono preziose! Un bacio grande, stelìn :-**
carole, è proprio “l’aria intorno” che è diversa! Ti abbraccio fortissimo bimba mia. Dai un bacio a tutta la tribù! :-**
Miss, è buona come quella del san nicola?
Mitì, non esageriamo ;-)
mio marito e’ convinto che io sia venuta a Genova per il pesto e la focaccia e non per amor suo! Ok per il pesto che gia’ mi piaceva, sebbene non fosse quello “vero”, ma la focaccia non la conoscevo (a Roma c’e la pizza bianca che e’ tutt’altra cosa) ed e’ stato subito amore folle!
Ma tu guarda che un etto di focaccia me lo mangiavo ma come seconda colazione più di 50 anni fa alle elementari qui nella Riviera dei Fiori, che dalle mie parti sono alla continua ricerca di quella migliore, che solo a Genova trovo il vero appagamento dei sensi. E con tutto questo conoscevo ben poco di tutta l’intrigante storia della focaccia che tu qui hai scritto!