Il Cimitero che piaceva ai Poeti: l’Acattolico di Roma

Nella Roma papalina per i non cattolici non era facile morire; ossia, defungere era facilissimo, ma i problemi venivano dopo.

Le leggi pontificie infatti proibivano tassativamente la sepoltura dei non adepti di santaromana chiesa nei terreni consacrati; così i funerali si svolgevano di notte, di nascosto e i corpi venivano tumulati fuoriporta, in prati qualunque, senza lapidi o fiori.

Nel ‘700 però Roma pullulava di stranieri, quasi tutti non cattolici; nobili, artisti, diplomatici innamorati dell’Italia, che avevano scelto l’Urbe come dimora fissa e che avrebbero voluto tanto poterne usufruire anche come dimora eterna, senza passare però per esseri diabolici.

Fu così che nel 1763 il rappresentante del Re di Prussia, il barone Humboldt, ottenne faticosamente da parte delle autorità ecclesiastiche la concessione di un’area dell’Agro Romano vicino a Porta San Paolo, dove si ergeva (e s’erge tutt’ora) la piramide di Caio Cestio.

Lì furono poste le prime tombe, ma poiché le autorità papali non concedevano per puntiglio il permesso di cintare il cimitero, le sepolture venivano continuamente profanate.

I parenti e altri stranieri in visita a Roma piantavano cipressi per addolcire il luogo, ma dato che questi crescendo impedivano la vista della piramide, la Segreteria di Stato con l’ordinanza dell’11 ottobre 1821 proibì la piantumazione, ordinando che le tombe venissero poste più in là della piramide,verso il Testaccio.

Infine nel 1894 l’Ambasciata di Germania acquistò in quella zona, a nome di tutte le Colonie Estere Acattoliche, 4300 mq in aggiunta a quelli già esistenti: così nacque definitivamente il Cimitero Acattolico di Roma, conosciuto anche come Cimitero dei protestanti o “degli artisti”.

È strano definire sereno un cimitero, ma quello lo è.

Un grande giardino luminoso e profumato, conosciuto più agli stranieri che agli italiani; un’oasi un po’ “spettinata” di verde e di silenzio nel caos metropolitano, che incantò sempre i visitatori.

Shelley nel 1819 scriveva goduto: “Nel vedere il sole illuminare l’erba imperlata di rugiada, nell’udire il mormorio del vento fra le foglie, nel rimirare i sepolcri… ti punge il desiderio di dormire quel sonno che essi sembrano godere.”
Due mesi dopo lì seppellì il figlio William e nel 1822 vennero disperse su quell’erba rugiadosa le stesse ceneri di Shelley, mentre Byron piantava attorno alla lapide 7  piante di cipresso e alloro.

Anche Keats riposa lì dal 1821 e fra le 4000 tombe vi sono anche quelle di molti italiani “liberi pensatori” come Gramsci, Amelia Rosselli, Gadda, Labriola, Luce D’Eramo, Dario Bellezza

Infine, è affascinante navigare nella banca dati online del cimitero tra i nomi e le professioni dei sepolti.

Come mestieri troviamo Ambasciatori, Addetti Militari, Professori, Pastori, Archeologi, valanghe di Governanti, Maggiordomi, Cuoche, Ballerine, Attori, Scultori, Pittori, Benestanti, Nullatenenti; persino una “Casalinga Principessa” e un meraviglioso “Scrittore e Avventuriero”, Edward Trelawny: proprio colui che lì portò le ceneri dell’amico Shelley e volle, 59 anni dopo, riposare per sempre accanto a loro.

© Mitì Vigliero

(foto©Hovistoninavolare)

Qui i set fotografici su flickr

Qui altre foto molto belle e recentissime

A proposito di Placida Signora

Una Placida Scrittora ligurpiemontese con la passione della Storia Italiana, delle Storie Piccole, del "Come eravamo", del Folklore e della Cucina.


2 Replies to “Il Cimitero che piaceva ai Poeti: l’Acattolico di Roma”

  1. Adoro quel luogo ed è vero, c’è dentro una serenità invidiabile :-) (Per non parlar dei gatti che vi si aggirano!)

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