Quando non c’era il Frigorifero

Il frigorifero è per noi una presenza naturale e ovvia nelle nostre cucine.

Però può talvolta capitare, aprendolo, di venire assaliti da inquietanti olezzi stile morgue dati da mummiette nere e pelose che un tempo furono carote; cadaverini di formaggi divenuti simili a gessetti; limoni sbuffanti polvere di muffa; malinconici mucchietti secchi di lattughe e fondi di salame emananti lo stesso probabile odore di Lazzaro dopo l’alzati e cammina.

Morale, mentre gettiamo via il tutto nella rumenta, veniamo colti ogni volta dal Rimorso dello Spreco e ci chiediamo:

Se noi, ipertecnologizzate creature del Duemila, riusciamo a mandare a ramengo cibarie conservate in un modernissimo frigo, come facevano le nostre Nonne quando questo non esisteva?

Consultando vecchi libri di economia domestica e cucina, quali L’igiene del nido, Il libro della massaia, Il re dei cuochi, Il re dei re dei cuochi, L’imperatore dei cuochi, La scienza in cucina scritti da autori di fine Ottocento-primi Novecento come Fornari, Mantegazza, Parmentier e Artusi, oltre le cosiddette Enciclopedie pratiche anni ’30-’40 come la Bompiani e la Marzocco, si scoprono molti metodi di conservazione “alternativa“; alcuni tuttora usati nelle campagne o da giovanissime ed ecologiche casalinghe cittadine, altri invece utilizzati un tempo con successo forse solo da seguaci di Mitridate o di Maga Magò.

Innanzitutto oggi, quando una famiglia cerca una nuova casa in città, chiede per prima cosa che sia provvista di box o posto auto; un tempo invece la dote fondamentale di una casa era che possedesse una cantina e soprattutto un grande vano cieco detto dispensa, locali indispensabili per la conservazione delle provviste alimentari.

Dovevano essere perfettamente asciutti onde evitare il formarsi di muffe; perciò i muri venivano isolati dall’umidità con intrugli simili a questo: “Aggiungete a 5 kg di calcestruzzo dei ritagli di ferro e cemento, più 300 gr di cera vegetale e 30 gr di calce acustica sciolti in 7 l. d’acqua bollente: raffreddare la pastetta, ridurla in polvere e stenderla come sottile intonaco sui muri.”

In tal modo i locali erano pronti ad accogliere vettovagliamenti di ogni genere, ciascuno però conservato a suo modo.

UOVA, FORMAGGI, VEGETALI

Le uova sepolte in cassette colme di grano, oppure immerse in vasi di terracotta colmi d’acqua di calce, dai quali venivano pescate con speciali mestolini bucati.

Il burro veniva impastato con sale finissimo (100 gr ogni 5 kg di burro) e si teneva o in barilotti di quercia e di faggio, o in bottiglie.

formaggi molli erano conservati in vasi a chiusura ermetica insieme a qualche zolletta di zucchero che aveva funzione antimuffa; quelli duri invece avvolti in pezzuole di lino imbevute di aceto di vino. Per non fare inacidire il latte invece vi si incorporava del bicarbonato (4 gr per litro).

La frutta, come mele o pere, veniva adagiata in lunghe file su stuoie poste sopra i pavimenti di solai o cantine, mentre l’uva si appendevacorde o a telai: se i chicchi appassivano, bastava immergerli un quarto d’ora prima dell’uso in una bacinella piena d’acqua tiepida.

Per non fare ammuffire i limoni, occorreva prima lavarli in una soluzione fredda di acido borico e poi, una volta asciutti, piantarli col peduncolo verso il basso in cassette di legno colme di sabbia.

L’insalata
veniva avvolta in panni umidi, ma la maggioranza della verdura e della frutta in generale finiva in barattolo; a seconda della stagione infatti le massaie si scatenavano saccheggiando orti e mercati e mettendo sott’olio, sott’aceto o in salamoia – con ricette variabili da regione a regione- quantità industriali di fagiolini, cipolline, olive, carciofi, melanzane, peperoni, capperi, funghi, pomodori, mentre prugne, lamponi, fragole, pesche, ciliegie, albicocche ecc. diventavano marmellate, composte, gelatine, sciroppi e liquori.

GUERRA A MOSCHE E TOPI

La selvaggina si seppelliva sotto cumuli di frumento o di segale; riesumata dopo dieci giorni, si sfregava con sale, si avvolgeva in panni di lana bagnati d’aceto e si cucinava anche dopo 15 giorni, possibilmente in aromaticissimi salmì atti a ingannar l’odore.

Invece il lardo veniva coperto per due settimane da sale marino, poi tagliato a pezzi e messo in cassette di legno; insegnava il Fornari:
“In fondo alla cassa mettete del fieno; con questo avviluppate ogni pezzo e tra ciascuno mettete un altro letto di fieno. In capo a un anno, l’avrete fresco come al primo giorno, basta soltanto salvarlo da topi e insetti che possono penetrare nella cassa”

Per preservare dalle moscheprosciutti e i salami, occorreva invece “sfregarci sopra un intonaco ottenuto bollendo una grande manciata di foglie di lauro in 1 kg di strutto“.
Sempre il Fornari assicurava che “con questa pasta si potranno intonacare anche i cavalli per preservarli dai tafani“…

Contro le mosche furoreggiavano strisce di carta moschicida fatte in casa in vari modi; questa è la ricetta del Mantegazza:
“Dodici parti di resina in olio di lino bollito; unire tre parti di miele e una diglicerina oppure infusione di trucioli di quassia in un litro d’acqua: filtrare e aggiungere 300 gr di trementina, 150 d’olio di papavero, 60 gr dimiele

Altrimenti si appendevano accanto alle provviste alcune latte piene di acqua e zucchero, dove le mosche si suicidavano annegando.
La lotta contro gli insetti e i topi trovava valide alleate anche nelle moscaiuole, sorta di gabbie di legno a due o più piani rifasciate con finissima e fittissimarete metallica: solitamente venivano appese ai soffitti delle dispense e servivano a conservare latticini o salumi iniziati. Le più “lussuose” erano invece dei mobiletti veri e propri

PESCI E CARNI

La dispensa, pur facendo parte dell’appartamento, doveva essere freddissima; e ciò non era particolarmente difficile perché le case allora erano riscaldate poco o nulla.

Infatti Jean-Marie Parmentier, nel suo “Il re dei re dei cuochi, trattato completo di alta e bassa cucina (ed Bietti, Milano, 1908), raccomandava: “Bisogna per i pranzi in inverno, che la sala abbia un calore non inferiore ai 13 e non superiore ai 16 gradi”
e il Mantegazza nell’ Igiene del nido (1910) tuonava: “Non riscaldate mai le vostre stanze a una temperatura che passi i 15 gradi centigradi: se siete sani e vigorosi, accontentatevi anche di 10

In inverno quindi era abbastanza facile la “conservazione frigorifera” degli alimenti (e degli umani, almeno di quelli che sopravvivevano alle broncopolmoniti); ma con la bella stagione le cose si complicavano perché anche le ghiacciaie, costosi (e per questo non posseduti da tutti) armadietti foderati di zinco nei quali si ponevano lunghi parallelepipedi di ghiaccio acquistati dai carbonai, risentivano moltissimo del calore esterno.

I cibi che d’estate più si deterioravano erano ovviamente la carne e il pesce; perciò i sacri testi di economia domestica si sbizzarrivano in consigli tali da far diventare vegetariano anche un leone.

Ad esempio il Parmentier suggeriva di mettere il pesce “in un paniere che si fa scendere nel pozzo, se c’è, sospendendolo a un piede dall’acqua”; ma “se il pesce comincia a putìre, prendete del carbone di legna, rompetelo in piccoli pezzi ed empitene un sacchetto grosso come un pugno: mettete poi il pesce a bollire insieme al sacchetto“.

Sempre a proposito di pesce, l’Enciclopedia pratica Bompiani (1938) consigliava:
“Per mantenerlo per quattro giorni metterlo in un recipiente di terra, coperto con acqua leggermente calda, farlo bollire per un po’ e raffreddarlo bruscamente immergendo il recipiente in acqua fredda. Conservarlo poi al buio“.

Oppure si poteva “spolverizzarlo con sale fino e avvolgerlo in uno straccio imbevuto di aceto“, o “riempire bocca, branchie, ventre con carbone di legna polverizzato“ o ancora “mettere in una cassetta uno strato di carbone di legna polverizzato, quindi uno strato di ghiaccio, posarci sopra uno straccio pulito e ricoprire tutto con un altro strato di carbone in polvere“.

Riguardo alla conservazione della carne, il Fornari ne Il libro della massaia (1878) giurava che “in un denso siroppo di zucchero si può conservare la carne per molti anni”, mentre la Bompiani suggerisce di “ricoprirla bene con un panno pulito impregnato di aceto, oppure ungerla con olio d’oliva, o ancora meglio farla morire, ossia bruciacchiarla al fuoco rapidamente da tutte le parti: si forma così una crosta protettiva che evita ogni guaio“.

A sua volta l’Enciclopedia Marzocco (1942) invitava le casalinghe dotate di una particolare propensione al gioco del Piccolo Chimico, a “bagnare la carne con una soluzione di una parte d’acetato d’ammoniaca in nove d’acqua e umettandola con una leggera soluzione di solfato di soda“.

Sennò si poteva anche “avviluppare la carne con un panno stretto da spilli e mettendovi dentro polvericcio di carbone fresco” o “mettere nei corpi di pollame o selvaggina tanto carbone da riempirne tutto l’interno“.
Il carbone di legna era infatti considerato il miglior conservante antigas e antiputrefazione: ad esempio dei pezzi interi venivano gettati nei brodi per mantenerli buoni ancora per giorni…

E ora scusatemi se vi lascio, ma voglio correre subito in cucina ad abbracciarlo .

© Mitì Vigliero (le immagini delle ghiacciaie sono tratte da Google)

A proposito di Placida Signora

Una Placida Scrittora ligurpiemontese con la passione della Storia Italiana, delle Storie Piccole, del "Come eravamo", del Folklore e della Cucina.
  • 20 May 2011 at 17:00Mitì Vigliero
  • 20 May 2011 at 17:03PaperDoll
    mi ricordo benissimo la ghiacciaia dei miei nonni, ormai quasi in disuso, quando ero piccola.
  • 20 May 2011 at 17:04Mitì Vigliero
    io ce l'ho ancora in campagna. enorme. ma da anni ormai è usata come dispensa/portapentole
  • 20 May 2011 at 17:11Librando
    "I cibi che d’estate più si deterioravano erano ovviamente la carne e il pesce; perciò i sacri testi di economia domestica si sbizzarrivano in consigli tali da far diventare vegetariano anche un leone." :D Ma li hai tutti quei testi? Ti invidio moltissimo!
  • 20 May 2011 at 17:12tascabile
    eheheh, grazie della dedica. (ecologica casalinga cittadina mi fa sentire vecchia però :D)
  • 20 May 2011 at 17:13Mitì Vigliero
    ok, aggiungo un giovanissima ;-**
  • 20 May 2011 at 17:14Mitì Vigliero
    tascabile, scherzi a parte, forse potrai trovare davvero qualche consiglio utile :-*
  • 20 May 2011 at 17:15lu©@ntonini+1
    io ne ho ancora un pezzo qui in negozio, giusto un pezzo i ghiacciaia ... invece al castello di Bardi la ghiacciaia si faceva con la neve del giardino
  • 20 May 2011 at 17:15Mitì Vigliero
    Librando, certo che li ho. e ne sono gelosissima ;-)
  • 20 May 2011 at 17:17Mitì Vigliero
    luc@, i castelli avevano tutti una sorta di locale apposito che serviva come ghiacciata. se cerchi "ghiacciaie antiche" su google ne vedi di bellissimi (e nel tuo negozio immagino che ne servisse una bella grande!)
  • 20 May 2011 at 17:21Mar@
    é molto interessante questo articolo, pensa che a casa di mia madre ho ancora la vecchia "ghiacciaia" di mia nonna..
  • 20 May 2011 at 17:21Mitì Vigliero
    Mar@, e tienla cara. Se in buone condizioni ha prezzi antiquariali incredibili....
  • 20 May 2011 at 17:26tascabile
    l'hai aggiunto davvero :) be', i metodi sono un po' poco praticabili, tranne il bicarbonato nel latte; quello sarebbe da provare
  • 20 May 2011 at 17:29La donna focaccina
    domanda un po' scema. Ma questi cibi che sapore avevano? Cioè, il formaggio con lo zucchero, il latte col bicarbonato, il burro col sale etc...
  • 20 May 2011 at 17:29Mitì Vigliero
    anche alcuni formaggi; le "tome", ad esempio, fasciate nel canovaccio umido (strizzatissimo) e tenute in luogo buio e fresco. oppure la frutta (l'uva appesa, che al massimo si secca un poco ma non s'ammacca ammuffendo). ovviamente per pochi giorni...
  • 20 May 2011 at 17:31Mitì Vigliero
    la donna focaccina, ah, non saprei...il burro col sale però in fondo sarà stato più o meno come il burro salato che si usa ancora oggi (solo molto più salato...). calcola poi che a fresco venivano consumati raramente; tutti cotti e stracotti.
  • 20 May 2011 at 17:32La donna focaccina
    vero
  • 20 May 2011 at 17:32tascabile
    @la donna focaccina secondo me il bicarbonato nel latte si sente appena. però in effetti i cibi di una volta avevano sapori diversi. ad esempio, i miei bisnonni (che erano della provincia di salerno), facevano il burro e lo conservavano nella crosta del caciocavallo. quindi il burro sapeva di formaggio e la prima volta che l'ho assaggiato (pane, burro e marmellata, avevo 10 anni) ero schifata :)
  • 20 May 2011 at 17:36Mitì Vigliero
    tascabile, sì, i sapori erano diversi. e le persone erano abituate a quei sapori. (ancora oggi c'è quel formaggio con dentro il burro, vero?)
  • 20 May 2011 at 17:39mbuto
    quando non c'era il frigorifero, mia madre comprava la carne e la metteva sul davanzale per cucinarla il giorno dopo (di solito il sabato sera per la domenica); una domenica si svegliò e... la carne era sparita! nel prato sottostante i gatti stavano facendo bagordi :D
  • 20 May 2011 at 17:40La donna focaccina
    dunque paradossalmente con l'avvento del frigo abbiamo conosciuto i sapori veri delle cose...
  • 20 May 2011 at 17:41Mitì Vigliero
    mbuto, grande party felino! ;-D
  • 20 May 2011 at 17:41La donna focaccina
    ahahahaah
  • 20 May 2011 at 17:41Mitì Vigliero
    la donna focaccina, probabilmente sì. di sicuro sono sapori meno...intensi ;-)
  • 20 May 2011 at 17:59tascabile
    credo di sì@mitì, penso lo facciano ancora. così come il pane e la marmellata, la salsa, l'olio, tutto. io non vado da tipo 20 anni, quindi qualcosa sarà cambiato ma loro hanno la terra, gli animali, si fanno tutto in casa :)
  • 20 May 2011 at 18:01tascabile
    @la donna focaccina, questo non so se è vero del tutto. da quando ho spento il frigorifero le verdure hanno un sapore decisamente più intenso (le zucchine e pomodori in particolare)
  • 20 May 2011 at 18:11Mar@
    Davvero? Pensa che ora viene usata come deposito di cianfrusaglie.
  • 20 May 2011 at 18:36Mitì Vigliero
    tascabile, il sapore più intenso forse è dato dalla maturazione temperatura ambiente...se, ad esempio, fai il sugo di pomodoro con pomodori tenuti fuori dal frigo almeno per una notte, questo viene più buono e profumato.
  • 20 May 2011 at 18:37Mitì Vigliero
    Mar@, è il destino delle vecchie ghiacciaie, poverine...;-*
  • 20 May 2011 at 19:29kiado
    ricordo nei maigret di gino cervi che per i beni deperibili c'erano degli stipetti, messi a mo' di nicchia laterale, sui davanzali delle finestre degli appartamenti. e il commissario/cervi, nelle sue inchieste, andava a curiosarci, annusando salumi e formaggi. ma li ho visti solo lì e magari non sono mai esistiti nella vita reale.
  • 20 May 2011 at 19:47tascabile
  • 20 May 2011 at 19:53La donna focaccina
    interessante...
  • 20 May 2011 at 19:53mbuto
    a proposito: lo sapete perché in scozia non si vendono frigoriferi?
  • 20 May 2011 at 19:54tascabile
    nu. perchéééé?
  • 20 May 2011 at 19:54La donna focaccina
    perché fa un freddo maiale?
  • 20 May 2011 at 19:56mbuto
    no, perché pensano che la luce interna *non* si spenga chiudendo lo sportello! :D
  • 20 May 2011 at 20:01tascabile
    :D
  • 20 May 2011 at 20:16mbuto
    (spero di non aver ammazzato il thread...)
  • 20 May 2011 at 21:10tascabile
    in effetti, è sceso il gelo :D
  • 20 May 2011 at 21:31mbuto
    :D
  • 20 May 2011 at 21:40Mitì Vigliero
    ma va là ;-D
  • 21 May 2011 at 08:27Stefano
    metodo per conservare le uova..... http://www.ricette-ricette.it/ricetta-7-conservare-le-uova.html .....oppure.... se vi piacciono le cose esotiche ...... http://en.wikipedia.org/wiki/Century_egg ..... io le ho viste,e sono corso anch'io ad abbracciare il frigo .......
  • 21 May 2011 at 08:31tascabile
    le uova al supermercato spesso non sono nel reparto frigo. idem nei negozietti. quindi deduco che tutto ciò, per fortuna, non sia necessario :)
  • 21 May 2011 at 08:55Stefano
    però alcuni frigoriferi hanno scomparti appositi per le uova........


6 Replies to “Quando non c’era il Frigorifero”

  1. Hai perfettamente ragione, una volta mi sono scordato un mezzo dado da brodo semiaperto, nel frigo, per un po’ troppo tempo e ti assicuro che, ancora adesso, sono convinto che quello sia l’odore dell’inferno!

    ps
    Un interessantissimo post, come al solito

  2. ebbene cara p.s., in controtendenza, abusando della tua pazienza oso
    alzare alti lai contro il frigorifero, oggetto fra i più nefasti della storia dell’umanità; non crediate, insigne popolo dei lettori di p.s., che io sia impazzito, ci ho pensato su;
    il frigorifero è il primo responsabile dell’annullamento del fattore tempo/spazio nel rapporto fra l’apparato digestivo dell’homo sapiens sapiens e la produzione dei cibi; difatti grazie al frigorifero il cibo diviene merce facilmente trasportabile e distribuibile, con danno irrimediabile delle produzioni locali a favore di quelle industriali e centralizzate;
    lo ha ben spiegato jeremy rifkin, il grande rifkin, nel bel saggio “ecocidio”: le navi frigorifere hanno permesso il commercio internazionale della carne, e quindi certi allevamenti che hanno distrutto il suolo (senza contare, anche se fa ridere a scriverlo, che le flatulenze dei bovini sono per taluni il motivo del buco dell’ozono);
    quando non c’era il frigo si doveva acquistare poco cibo alla volta, ed inoltre le nostre nonne, bisnonne e su lungo la femminea filogenesi, ebbero modo di sviluppare tante arti della conservazione;
    se ci fosse stato il frigo, nessuno avrebbe inventato il formaggio, tanto per dire; il frigo è l’ybris principale del nostro tempo, e poi in pochi lo detestano, è ora di svegliare le nostre coscienze frigidofobe; oltre a tutto il mio frigo fa anche casino alla notte, probabilmente ringhia contro di me; un caro saluto, lotta al frigidaire, dunque

  3. Quando preparavo la tesi sono stato per un’estate in montagna in una baita a 2100 m. a rilevare. C’era uno stanzino senza finestre che i pastori usavano come frigo per mantenere il latte che arrivava dalla mungitura delle mucche; in pratica avevano deviato una parte del ruscello che arrivava dal ghiacciaio poco sopra e lo facevano entrare nello stanzino in cui c’era una specie di vasca in cui tenevano a bagno i pentolini con appunto dentro il latte che utilizzavano poco per volta per fare burro e formaggio. Insomma un frigo in alta montagna ;)

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