Anticamente nei processi, per estorcere una confessione si ricorreva a crudeli sistemi di tortura, tra cui quello della corda.
All’imputato venivano legati i polsi dietro la schiena con, appunto, una corda; poi veniva sollevato verso il soffitto mediante una carrucola, in posizione dolorosissima, fino a quando il tapino non ammetteva di aver commesso il reato del quale era stato accusato.
Ovviamente spesso, se non quasi sempre, accadeva che a causa del dolore atroce l’imputato, anche se innocente, alla fine dichiarasse una colpevolezza non sua, preferendo così la prigionia -se non in certi casi la morte- alla tortura.
Simile a questa anche le locuzioni “stare sulle spine”, “stare sui carboni ardenti” eccetera; tutte derivate da barbari metodi di…convincimento.
Tutti modi di dire che, in generale, vengono oggi usate col significato di “non dare certezze, aspettare una risposta definitiva, tenere in ansia”.
Mi hanno sempre affascinanto e terrorizzato insieme le menti perverse che inventavano queste torture. Secondo me erano i primi a dover essere imprigionati. Anzi, internati ;o*
Sempre fantastica questa rubrica!
…e oggi c’è ancora chi lamenta una persecuzione giudiziaria…un complotto di giudici comunisti…tsè!