Sant’Antonio Abate, protettore di norcini e animali domestici, invocato come guaritore di terribili malattie – quale appunto il Fuoco di Sant’Antonio (herpes zoster), che veniva curato con segnature di sugna – è quasi sempre raffigurato con un maialino vicino.
I suoi seguaci, frati Antoniani e Lerinesi, avevano in Europa il privilegio di possedere suini che venivano nutriti a spese delle comunità e potevano circolare liberi per le strade di paesi e città; appeso a un orecchio appositamente forato, portavano un campanellino che li distingueva come animali sacri – al pari delle mucche indiane – da trattarsi con estremo rispetto.
A Genova l’abbazia di Sant’Antonio si trovava in via Prè (dal 1184, e vi rimase sino alla fine dell’Ottocento) e aveva a fianco un ospedale ove venivano ricoverati i malati di herpes zoster (detto popolarmente Fuoco di Sant’Antonio); ovviamente anche nella Superba i frati potevano “tener mandra di porchi” e quindi tutta la zona pullulava di maiali che zompettavano tranquilli negli strettissimi vicoli, protetti dal campanellino che ne indicava la “protezione celeste” e conferiva loro non solo immunità, ma pure libero ingresso in orti, giardini, cortili, e persino case “de la zente per bene“.
I genovesi tolleravano abbastanza bene quelle irsute e ingombranti creature soprattutto perché, essendo onnivore e mangiando appunto come porci, tenevano pulite le strade eliminando le tonnellate di rumenta che quotidianamente venivano lanciate dalle finestre o abbandonate negli angoli delle vie.
Oltretutto, chi avesse osato torcere loro una sola setola, sarebbe stato condannato immediatamente dal Senato a severissime pene.
Ma poiché i maiali – anche se benedetti – sono estremamente prolifici, la situazione andò poco per volta degenerando: nel 1400 orde grufolanti e dal pessimo carattere intasavano il Superbo centro storico, impedendo materialmente la circolazione dei cittadini.
Fu così che i Padri del Comune genovese si videro costretti ad emanare delle severe “grida” in cui ingiungevano ai monaci di non far vagare liberi più di tre scrofe, un verro e venti porcellini; in caso contrario, “considerando il Serenissimo Senato quanto sia indecente il permettere vadino a girare per le vie li porchi, dichiara che sarà lecito a chiunque di prenderli et ammazzarli“.
Mentre dalle case genovesi si diffondeva il profumo di luganeghe, sanguinacci, cotechini e minestroni con le cotiche, i frati invocarono l’intervento di Papa Leone X il quale fece annullare le grida.
I suini ripresero perciò possesso delle strade ed essendo innumerevoli e perennemente affamati, iniziarono ad attaccare i passanti ferendone moltissimi, ma rimanendo tabù sino a quando uno di loro non ebbe la pessima idea di caricare e mandare quasi all’altro mondo un giovanotto membro d’una nobilissima famiglia imparentata con lo stesso Leone.
Da qui il finale compromesso: eliminazione fisica dei sacri porci deambulanti, permesso di tenere solo un paio di scrofe e un verro barricati però in convento, tutto ciò in cambio di un’indennità annua ammontante a 172 lire genovesi (un pacchettino di milioni odierni) che i Padri del Comune vennero obbligati a sborsare, quale risarcimento morale, ai frati orbati dei loro amatissimi porcellini.
Ma che bella storia!
Non la conoscevo e mi ha fatto venir voglia di fare qualche ricerca su Lerins. Lì la situazione sarà stata ben diversa, con tutta un’isola pressoché selvaggia a disposizione della popolazione suina…
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