E’ scritto nel libro della Genesi che quando Dio fabbricò Adamo, il primo incarico che gli diede fu quello di trovare un nome a tutti gli animali, alberi, frutti e fiori creati prima di lui; Adamo fu quindi il primo homo nominans della storia: il primo inventore di parole.
Da allora, di vocaboli ne sono stati inventati a migliaia, e purtroppo molti sono anche stati dimenticati o rischiano di esserlo, soprattutto quelli che appartengono alla sfera contadina, e che riflettevano una civiltà religiosa spesso confinante con la superstizione; il senso del magico era sempre presente anche perché la vita umana era allora dominata dalla paura, dalla precarietà, dalla minaccia di pericoli non solo immaginari.
Per questo ogni oggetto e ogni essere vivente veniva considerato possessore di qualità fatate e misteriose: i succhi, le foglie, le radici, i fiori, custodivano un’oscura potenza mentre mentre gli animali erano dotati di un potere superiore e per questo, soprattutto se feroci, pericolosi e nocivi, dovevano essere trattati con gentile cautela attraverso l’uso di nomi parentelari utili ad ingraziarsi l’essere temuto.
Così la volpe, razziatrice di pollai, in molte zone viene ancora chiamata col familiare nome di Zia o Comare: Cummari Giuvannuzza in Sicilia, Zi Rosa in Calabria.
Per lo stesso motivo, in Sardegna il lupo è Compare Giommaria; in Calabria Zio Nicola; nel nord della Francia Compére Guette Grise (compare zampa grigia); in Estonia addrittura Cognato.
Tra le popolazioni europee e asiatiche, l’orso viene chiamato Nonno scalzo, Nonnino peloso o Vecchio Martino, mentre in provincia di Reggio Calabria il rospo è Zidomìnicu (zio Domenico).
Anche le malattie, invisibili portatrici di sofferenza e morte, vengono definite con soprannomi parentelari; i contadini russi appellano la febbre madre, sorella, amica, madrina, tata, mentre il vaiolo è detto zietta e il morbillo nonna.
La morte in Piemonte ha da secoli il nome di Maria Catlina (Maria Caterina), e Maria Giovanna è divenuta in seguito – e in tutta Italia – la denominazione popolare della cannabis, detta in inglese Mary Jane e in spagnolo Maria Juana (marijuana).
Il nome diviene così tutt’uno con la cosa da esso designata; sostituendo il nome che fa paura con un altro di stampo familiare-amichevole, o con un altro magari negativo, ma sempre diverso dall’originale, si attenua il timore.
Esempio classico è il diavolo, che già nel Vecchio Testamento e nel Vangelo viene definito con vari sinonimi: il Nemico, il Maligno, l’Anticristo, la Tentazione, la Bestia, il Brutto, l’Avversario.
Nel Parmense usano le perifrasi Cullu là zò (quello laggiù) e Cullu da i cornén (quello dai cornini); nel Lombardo Angior di orecc d’oss (angelo dalle orecchie d’osso, le corna) e in Piemonte Braghe blu o Garibaldi, dal colore del camiciotto e dei calzoni blu o rossi con il quale il diavolo veniva rappresentato un tempo nei tarocchi.
Le credenze popolari erano un’altra fonte per la nominazione; per esempio il pipistrello in molti luoghi è detto Topo amoroso, allusione ai Bestiari medioevali che facevano del pipistrello il simbolo della lussuria.
Così come una leggenda racconta che Gesù lasciò cadere una goccia di sangue su una piccola pianta che stava ai piedi della Croce e che, da quel giorno, si chiamò Passiflora o Fiore della passione.
E gli stessi Santi del calendario servivano a nominare piante o fenomeni atmosferici che avvenivano in quel determinato periodo dell’anno: per questo diciamo uva di Sant’Anna, pioggia di Santa Bibiana, venti di Santa Caterina e chiamiamo Giuanìn (Giovannino, in Piemonte) quel vermetto che si trova nelle ciliegie proprio alla fine di giugno, periodo dominato dalla ricorrenza di San Giovanni.
Infine, uno dei metodi di denominazione più usati e semplici era quello che collegava il nome dell’oggetto alle sue caratteristiche fisiche.
La lucciola per esempio, viene tutt’ora definita Verme lucente o Foghéto (Istria), Ciaerabella (chiarabella, Liguria); Verme slusaròl (Veronese), Bao lùster (Val di Fiemme), Baeto da fogo (Vicentino), Bas lusignùi (Friuli), Gata lusènta (Ticino), Moschina d’oro (Grigioni), Lusiroeùla o Lumin di pra (Milano), Clarìn (Verbano), Lanterna del poverello (Messina), Lanternetta di San Pietro (Roma), Luneta (Capodistria) sino ai “romantici” Culolucente (Valtellina) e Culorosso (Pavia).
Ne conoscete altri?
Librando: Come erbe dedicati ai santi so che esiste l’erba di San Pietro. E dei fiori detti “occhi della Madonna“, che assomigliano ai non ti scordar di me. Poi ho sempre sentito parlare delle “orecchie di lupo“, ma non ho mai capito che pianta sia.
Elesa: mia nonna chiamava le coccinelle “galline di San Paolo“
A Napoli le lucciole le chiamano “lucelùce”
Hai notato che ci sono un sacco di cose che cambiano nome anche a pochi km di distanza? Le insalate, per esempio. O i nomi dei pesci. Per non parlare dei tagli di carne dai macellai. Ci vorrebbe un vocabolario apposito. :o)
Conosco dei fiorellini bianchi e profumati con quattro petali,sono rampicanti e si chiamano tazzettine della Madonna,fioriscono solo in primavera-estate;@)
chissà perché l’herpes zoster si dice “fuoco di Sant’Antonio ?
quando ero piccolo e ero nella fase dei perchè…un giorno,mentre mia nonna stava facendo,e poi cuocendo in forno, un dolce,e subiva il mio fuoco di fila di domande…alla mia domanda di come si chiamasse il dolce che faceva,iniziò ad uscire un filo di fumo dal forno…. e mia nonna,giustamente preoccupata per ciò,e molto indaffarata in quel momento,esclamò…. PIO NONO….che io scambiai per la risposta..ebbene…da quel giorno,e per diversi anni finchè non fui più grandicello,per me quel dolce era… IL PIONONO…
Il fiore del soffione noi bambini lo conoscevamo col nome di: barba di Gesù
e il comunissimo fiore del Tarassaco:
piscia-letto!
grazie! che onore! (la prossima volta esprimerò un desiderio :*)
A me è capitato di assaggiare le “trombette dei morti”. :)