Lo Sčiattamàiu: l’antico polpettone ligure di fagiolini

fagiolini

Questa ricetta è dedicata alla Tesoramia Nives, amica cara con la quale divido la passione per genovesità, piante e cucina. Non ha un blog, perché di blogger in casa sua ne basta uno ;-)

A Genova, chissà perché, i fagiolini venivano un tempo chiamati pellandroin, pelandroni.

Nei vecchi mercati i besagnini (verdurai, così chiamati perché tutti provenienti dalla Val Bisagno) gridavano: “Ma che belli pellandronetti, piggéveli (pigliateveli) donne!”, e più di un’avventrice rispondeva acidina : “Tegnìveli: mi n’ò za abàsta de me màiu” (Teneteveli, io ne ho già abbastanza di mio marito).

Nonostante ciò, uno di piatti genovesi più noti confezionato coi fagiolini  è lo Sčiattamàiu, letteralmente “schiattamarito”, perché veniva mangiato a sčiattapànsa, a crepapelle, rischiando di far schiattare per indigestione.

E’ un polpettone d’antichissima origine contadina; nel Medioevo era conosciuto come scarbassa, la cesta da vimini che veniva appesa sui dorsi degli animali da soma e dove venivano messe le verdure raccolte nei campi.

1 kg di fagiolini
250 gr di prescinsêua (in mancanza di questa, della ricotta allungata con un pittìn di latte o dello yogurt greco)
3 uova
2 patate
2 bei pugni di grana grattugiato
pangrattato
olio
sale
.

Bollire i fagiolini e le patate in acqua salata. Tritare grossolanamente i fagiolini e metterli in una terrina insieme al formaggio, uova, prescinsêua (o yogurt greco o ricotta), le patate lesse spelate e sminuzzate, sale.
Mescolare molto bene. Ungere una teglia, cospargerla di pangrattato e distribuirci su il composto livellando bene e cospargendo anche lui d’un velo di pangrattato.
Infornare a 200°, sino a quando la superficie sarà dorata (circa 45 minuti).

E’ buono sia tiepido che freddo, ideale per le cene estive o da preparare il giorno prima come comodo pranzo da portare in barca, gita o spiaggia.

© Mitì Vigliero in Liguria. Civiltà della tavola italiana, Ed. Idealibri, 1998.

 

A proposito di Placida Signora

Una Placida Scrittora ligurpiemontese con la passione della Storia Italiana, delle Storie Piccole, del "Come eravamo", del Folklore e della Cucina.


23 Replies to “Lo Sčiattamàiu: l’antico polpettone ligure di fagiolini”

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  2. Mia mamma metteva anche la maggiorana. Che profumo! Buongiorno Mitì.

  3. Utilizzo gli stessi ingredienti, tranne la ricotta, per il ripeno di zucchine,cipolle e peperoni al forno. Proverò questa ricetta appetitosa e di facile esecuzione nella speranza di fare “schiattare “il consorte ;)

    Buon lunedì!

  4. Ho giusto dei fagiolini freschi, domani la provo subito e ci sleccornio per due giorni.Grazie seduttrice gastronomica e quant’altro ;+]]]]

  5. Ma che buono! Lo provo di sicuro e intanto lo spammo un po’ in giro a chi so lo apprezzerà, grazie.

  6. “Le ricette che apparivano allora rivoluzionarie, anche se in parte erano solo derivate da preparazioni rinascimentali, furono in alcuni casi un’anticipazione della Nouvelle Cuisine all’italiana.
    Così, “rombi d’ascesa” era un risotto decorato con spicchi d’arancia, mentre il famoso “carne plastico” era una variante dei polpettoni di carne e verdure con l’aggiunta di miele.
    Il cuoco precursore della cucina futurista fu il francese Jules Maincave, che nel 1914 aderendo al Futurismo, annoiato dai «metodi tradizionali delle mescolanze… monotoni sino alla stupidità», si ripropose di «avvicinare elementi separati da prevenzioni senza serio fondamento: filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatina di fragola.
    Famosa e impopolare fu la lotta che Marinetti fece contro l’«alimento amidaceo» (la pastasciutta), colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori: «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo… una palla e un rudere che gli italiani portano nello stomaco come ergastolani o archeologi».
    Oltre alla condanna della pasta e all’assoluzione del riso, il Manifesto predicava l’abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti, e della politica a tavola; auspicando la creazione di «bocconi simultaneisti e cangianti», invitando i chimici ad inventare nuovi sapori, e incoraggiando l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.
    I futuristi si impegnarono inoltre a italianizzare alcuni termini di origine straniera: il cocktail divenne così la “polibibita” (che si poteva ordinare al “quisibeve” e non al bar), il sandwich prese il nome di “traidue”, il dessert di “peralzarsi” e il picnic di “pranzoalsole”.
    Il successo maggiore di pubblico e stampa i futuristi lo ebbero con gli “aerobanchetti”, e memorabile fu quello organizzato a Bologna nel ’31. Niente tovaglia, sostituita da foglie di alluminio e piatti di metallo. Tavola a forma di aereo, con al centro delle due appendici raffiguranti le ali, una motocicletta come motore. Dopo la portata “aeroporto piccante”(insalata russa), venne servito “rombi d’ascesa” (risotto con arancia), durante il quale Marinetti proclamò: “voliamo a ottomila metri: sentite come questo nutre e favorisce lo stomaco.” Dai commensali si levò allora una richiesta urlante: “vogliamo il carburante.” S’inneggiava al lambrusco, travasato in latte da benzine. Furono poi anche serviti: “la sveglia stomaco”, “l’alga spuma tirrena” e “il pollo d’acciao” (arrosto ripieno di confettini argentei).”

    trovato quì…

    http://www.taccuinistorici.it/ita/news/contemporanea/personaggi/La-Cucina-Futurista-di-Marinetti.html

  7. No, io faccio un normalissimo gateau di patate. In inverno invece mi diletto con un tortino di verza, patate e carote (per 3 etti di verza, 3 etti di carote e il doppio di patate), lessate, passate e infornate con burro, uovo e parmigiano, coperte di pangrattato.
    A primavera sui prati si porta la vignarola: carciofi, cipolla e lattuga cotti in padella con olio, acqua e vino, cui si aggiungono piselli cotti a parte col prosciutto e fave cotte a parte col guanciale. Far andare tutto insieme per dieci minuti e voilà, ci si leccano i baffi.

  8. Nell’amalgama del polpettone di fagiolini, aggiungo un pugnetto di funghi secchi ammollati in acqua tiepida, + un po’
    di cipolla tritata e soffritta .

    Forse i fagiolini anticamente a Genova venivano chiamati pellandroni (pigri),per il fatto che non crescevano piu’ di tanto!?! Mah…….

  9. Ops ho commentato nel penultimo post per ringraziarti, ma non so se vai indietro, così replico.
    Mannaggia, non sono entrata qui per qualche giorno (mamma in ospedale con secondo femore sfracanato dopo l’altro operato nel febbraio 2008, no comment, fratello che vive in Germania, no comment) e vedi tu cosa trovo una segnalazione. Grazie Mitì, grazie, grazie. E’ un onore perché quello che scrivi e come lo scrivi sono un esempio.
    Un abbraccio
    ps polpettoni no, però mia nonna di Perugia faceva lo “stampo”, una specie di sformato con fagiolini, besciamella, formaggio, uovo. Un piatto che però ai maschi di casa non piaceva ed essendo loro dominanti, sotto tutti i punti di vista, esso non veniva prodotto spesso.

  10. variante della nonna livia: soffritto di cipolla, manciata di funghi secchi ammollati come tuttieco, un po’ di profumata maggiorana come graziella (quella che mi hai regalato tu è favolosa, mitì) ma niente prescinseua!

  11. Sarà buono ma non è il vero polpettone genovese almeno credo.
    La ‘persa’ non può mancare.

  12. Si chiamavano pelandronetti perché stentavano a cuocere restando sempre un po’ duri

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