Storia dell’Aperitivo

Nel V sec. aC, il medico greco Ippocrate  prescriveva ai pazienti affetti da inappetenza un medicinale di sua invenzione: il vinum hippocraticum, vino bianco e dolce, in cui erano macerati fiori di dittamo, assenzio e ruta.

I romani lo chiamarono vinum absinthiatum (assenziato, con assenzio), e per migliorarne il sapore decisamente amaro gli aggiunsero rosmarino e salvia.

Dal Medioevo in poi la farmacologia erboristica, scienza allora applicata soprattutto nei conventi, aveva scoperto definitivamente che la funzione di stimolare il senso della fame è tipica delle sostanze amare, che “eccitano” non lo stomaco, ma la mucosa orale, quella che riveste l’interno della bocca e la lingua (organi del gusto), provocando un aumento della secrezione salivare e degli enzimi in essa contenuti, i quali sono quelli che favoriscono per davvero il processo digestivo.

Le scoperte geografiche e l’infittirsi dei commerci con l’Oriente avevano fatto conoscere alla vecchia Europa nuove e costosissime spezie che parevano fatte apposta per aromatizzare al meglio il “vino aperitivo”: noce moscata, chiodi di garofano, cannella, rabarbaro, china, mirra, pepe eccetera.

L’aperitivo a largo consumo, inteso come abitudine alimentare e non come cura, nacque a Torino nel 1796 in una piccola bottega di liquori e vini gestita dal signor Antonio Benedetto Carpano il quale ebbe la geniale idea di vendere, in un’elegante bottiglia da litro, un vino aromatizzato con china, che battezzò vermouth, dal tedesco wermut, assenzio.

Molti anni dopo ne venne donata una cassetta a Vittorio Emanuele II il quale disse di apprezzarlo per quel punt e mes (in torinese “punto e mezzo”) di amaro che aveva in più rispetto ai suoi simili; così il Vermouth con China Carpano (immediatamente ribattezzato Punt e Mes) divenne l’Aperitivo Ufficiale di Corte.

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Il successo fu enorme; Cavour, Verdi e Giacosa ne andavano pazzi e la bottega Carpano, dal 1840 al 1844, per soddisfare le richieste fu costretta a rimanere aperta ventiquattr’ore su ventiquattro.

Invece nel 1815, il signor Ramazzotti di Milano creò per primo un aperitivo a base non vinosa, ponendo in infusione nell’alcol ben 33 fra erbe e radici provenienti da tutto il mondo: china sudamericana, rabarbaro cinese, arancia amara di Curaçao, arancia dolce di Sicilia, genziana della Val d’Aosta ecc.
Tutte cose naturali e sane perché (chi lo ricorda?) “Un Ramazzotti che fa che fa che fa? Fa sempre bene!”

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In seguito a questi successi, a Pessione (To), il produttore di vini Martini, entrato in società col commendator Rossi, mise in commercio un altro tipo di aperitivo di sua invenzione: moscato di Canelli in cui erano stati macerati melissa, sandalo, cannella, artemisia, violette, china, cardo, rose e origano.

Piaceva soprattutto alle signore, il Martini Bianco, perché dolce; quindi, per accontentare anche i rudi palati maschili, Martini e Rossi sostituirono il moscato con vini molto secchi, dando vita così al  Martini Dry.

Per non essere da meno, nel 1862 il signor Gaspare Campari, proprietario di un noto caffè sotto la Galleria di Milano, lanciò alla grande un nuovo aperitivo amaro e – per distinguerlo dal vermouth – lo chiamò con un altro nome d’origine germanica: Bitter (amaro) all’Uso d’Hollanda.

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I meneghini lo apprezzarono molto e, essendo un popolo pratico, lo ribattezzarono subito e semplicemente Bitter Campari, ancora oggi gettonatissimo ape.

© Mitì Vigliero

E voi, che aperitivo gradite?

A proposito di Placida Signora

Una Placida Scrittora ligurpiemontese con la passione della Storia Italiana, delle Storie Piccole, del "Come eravamo", del Folklore e della Cucina.


67 Replies to “Storia dell’Aperitivo”

  1. Solitaire, ecco, quello non è una cosa semplicissima da trovare…Dipenderà dalla menta? Sono secoli che non bevo un mojito veramente buono (anche se ci si accontenta, eh?) ;-D

  2. Credo dipenda proprio dalla menta o herba buena che sia.
    Uno dei migliori mai assaggiati lo fa un amico nei pressi di piazza Navona, chissà che un giorno non si riesca a berlo insieme…

  3. Un vermouth, possibilmente a Torino in Piazza S. Carlo, intenta a rimirare il genio dello Juvarra…
    ma se sono “a casa”, come dire di no a un bicchiere di bianco tipo Ribolla friulana e due “cicchetti”?

  4. Dopo averti letto, penso fosse stato più intelligente il padre di un personaggio di Johnny Dorelli in un lontano Gran Varietà radiofonico: Johnny confessava a Rosanna Schiaffino di chiamarsi Eziandìo, perché il babbo cercava i nomi per i figli non sul calendario ma sul vocabolario. Così, sua sorella si chiamava Abbastanza, e aveva due fratelli gemelli: Quando e Come.
    Davanti alla tomba di mio padre riposa una tale Finìmola (ultima di quanti fratelli e/o sorelle?)

  5. Scusami, ti ho scritto da un Internet Point e, non so in che modo, ho sbagliato post…

  6. Dipende dallo stato d’animo, dalla compagnia, dalla serata, dal locale, dal periodo dell’anno (sì, da troppe cose!), ma personalmente vado dal prosecco al Santa Cristina, dal Negroni al Mojito

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