Come nacque il paparazzo

Storia di una parola
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(paparazzo in bronzo a Bratislava)

George Gissing, nato nel 1857 nello Yorkshire e morto in Francia nel 1903, fu uno scrittore estremamente prolifico: 27 libri in soli 46 anni di vita.

Innamorato del Mediterraneo e della cultura classica della Magna Grecia, alla fine dell’Ottocento, con pochissimi soldi e un enfisema polmonare, riuscì ugualmente a compiere un lungo viaggio nel meridione d’Italia.

Visitò Paola, Taranto, Crotone, Catanzaro, Squillace, Reggio ecc.; entusiasta dei paesaggi, delle rovine archeologiche, dei profumi dei fiori e degli agrumi, di un cielo così diverso da quello inglese, da tipico scrittore-viaggiatore vittoriano raccontò esperienze, genti e luoghi nel bel libro “Sulle rive dello Jonio”, che fu pubblicato nel 1901.

Cinquantasette anni dopo, mentre lavorava con Fellini alla sceneggiatura de “La Dolce Vita”, Ennio Flaiano stava diventando matto a trovare il nome da dare al personaggio interpretato nel film da Walter Santesso: un fotografo che accompagnava nei servizi il giornalista protagonista Marcello Mastroianni.

Doveva essere un nome speciale, “rumoroso”, semplice ma maestoso e nello stesso tempo inelegante: un nome che calzasse a pennello ad un tipo frenetico e invadente.

Nel 1962, in un articolo su “L’Europeo” poi raccolto ne “La solitudine del satiro”, così Flaiano ricordava quei momenti:
“Roma, giugno 1958. Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti. Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista (…) Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare, perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio «vivrà». Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma. Per questo fotografo non sappiamo che inventare…”

Un giorno, aprendo a caso “Sulle rive dello Jonio”, lesse la pagina del capitolo XIII in cui Gissing descrive la figura del proprietario dell’albergo in cui aveva alloggiato a Catanzaro nel 1897: il Centrale , ora scomparso, situato in corso Vittorio Emanuele, oggi Giuseppe Mazzini.

L’albergatore era un signore molto gentile, cerimonioso, un po’ barocco e pure lievemente lamentoso, che aveva affisso sulla porta delle stanze degli ospiti un accorato ma stilisticamente esilarante messaggio in cui diceva di esser venuto a conoscenza – con sommo dolore – che alcuni di loro andavano a mangiare in altri ristoranti; quindi supplicavai suoi respettabili clienti affinché vogliano benignarsi il ristorante” dell’albergo, anziché favorire quelli della concorrenza.
Firmato: Coriolano Paparazzo.

Flaiano, folgorato “dal suono surreale del prestigioso nome”, con l’approvazione di Fellini decise:
“Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l’onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gessing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino.”

©Mitì Vigliero

Fra 30 anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la TV (Ennio Flaiano, 1970)

A proposito di Placida Signora

Una Placida Scrittora ligurpiemontese con la passione della Storia Italiana, delle Storie Piccole, del "Come eravamo", del Folklore e della Cucina.


40 Replies to “Come nacque il paparazzo”

  1. Effettivamente paparazzo è il termine perfetto per quel genere di fotografi, sembra fatto apposta. Mi chiedo se Flaiano non avesse avuto quel libro…Cosa avrebbe scelto?

  2. Beppe, chi lo sa? Probabilmente un altro cognome, che oggi ci risulterebbe ugualmente perfetto. Però è andata così, perché come dice Flaiano, “i nomi hanno un loro destino”. ;-)

  3. Flaiano era un genio.
    Lo dimostra anche il fatto che io per esempio pensavo che avesse scelto quel nome perché particolarmente assononante con la parola con cui di solito viene connotato ogni appartenente alla categoria.
    Parola molto colorita, come molte delle parole romane. E che quindi evito di scrivere qui

  4. certo…secchiaroli…è rumorosa in quanto metallica come lo scatto di un otturatore ….ma….la trovo migliore di…corona….che oltretutto è anche pesante e altezzosa…

    per quanto riguarda la frase di Flaiano…trovo che sia attualissima…ma tutto sommato questo pericoloso lavaggio del cervello(visto la qualità dei programmi)…èfacilmente risolvibile..basta usare il tasto OFF..e dedicarsi ad altro di più costruttivo e …magari….divertente..

  5. da: Dodici monologhi
    di: Luigi Arnaldo Vassallo(Gandolin)

    “Dunque le azioni dell’ uomo giusto devono essere tali da potersi impunemente riprodurre in
    fotografia. Ma non basta neppure essere giusti. Mentre l’arte del fotografo ha fatto progressi enormi,
    un’arte sorella è rimasta nella barbarie; l’arte di farsi fotografare.
    Basta sfogliare un album di fotografie, per rimanere oltremodo inorriditi davanti all’ignoranza di
    quelle persone che hanno creduto di farsi fare un ritratto. Tutti artificiosi! tutti posatori! L’uomo o la
    donna che s’abbandona alla fotografia dovrebb’essere una persona tranquilla e semplice come una
    figura giottesca. ”

    “L’ideale sarebbe di poter dire al fotografo:
    – Vi do tempo due mesi, sei, un anno; prendetemi nel momento opportuno e senza che io me ne
    accorga, fotografatemi.
    Sistema eccellente, ma inattuabile, tanto più per le signore.
    Una signora ha sempre dei momenti in cui non desidera essere sorpresa da nessuno, neppure da
    un fotografo.
    Un ripiego ci sarebbe: ossia l’istituzione del…. buco. Mi spiego.
    Ogni stabilimento fotografico dovrebbe avere un salone d’aspetto, che chiamerei la sala delle
    anime inconsapevoli. Mentre il cliente aspetta, da un buco invisibile il fotografo potrebbe ritrattarlo
    a sua insaputa, col soccorso dell’istantanea. Ma allora tutti i ritratti rappresenterebbero, con
    desolante monotonia, un uomo che aspetta, e l’uomo che aspetta non ha più la sua faccia, ma la
    faccia dell’uomo che si rompe le scatole.”

    “Conviene dunque concludere che tra la fotografia e la specie umana esiste ancora un abisso, e in
    attesa di tempi migliori converrà prendere una via di mezzo: usare della fotografia, ma non
    abusarne.
    Non far, cioè, come quei due innamorati i quali, per non essere soverchiati uno dall’altro,
    andarono incontro a una tragica fine.
    Lei mandò a lui un ritratto.
    Lui si fece fotografare col ritratto in mano. Lei si fece fotografare col ritratto in mano di lui che teneva in mano il di lei ritratto.
    Lui si fece fare il ritratto col ritratto in mano di lei, che teneva in mano il ritratto di lui, che
    teneva il ritratto in mano di lei.
    Lei ancora….
    Ma basta! tanto amore si spense in un lago d’odio e di collodio. “

  6. Grazie Pla’, non la conoscevo questa storia e mi sono sempre domandata che origine avesse, credevo fosse un termine del dialetto romano!!

  7. mi sto chiedendo come si mangiasse, poi, nel ristorante del Commendator Paparazzo…
    Forse bene… altrimenti Gissing non avrebbe avuo modo di raccontarcelo e di passare alla storia più per il suo albergatore che per il suo libro.

  8. e i due consulenti di uno studio tecnico che conosco? quando si presentarono a vicenda finimmo sotto le scrivanie dalle risate:
    “piacere, ing. Capra” “piacere mio, dott. Bee”. Giuro! :D

    Per quanto riguarda la TV: non ce l’ho piu’ da tempo, e non mi manca.

  9. Naima, ne fa un breve descrizione nel capitolo 13° che ho linkato (è in inglese)…Dice che il vino era molto buono, il cibo così così, ma soprattutto descrive l’ambiente dato dagli altri avventori :-)

  10. anche Coriolano poteva essere giusto
    “Un gruppo di coriolani hanno inseguito il principino per le vie di Roma….”

  11. a dir il vero pure io sono un papà…razzo(detto dai miei due figli neopatentati)….dopo che mi è arrivata la multa dell’autovelox ed ho visionato la foto….sigh…

  12. I grandi artisti (poeti, scrittori, pittori…) hanno questa sconvolgente capacità di “prevedere” il futuro. Heidegger li definisce i “custodi dell’essere” perchè arrivano dove la scienza e la filosofia non possono arrivare.

  13. FUOCO…A….L’INFINITO

    Sempre caro mi fu quest’obbiettivo
    e questa siepe,che da tanta parte
    dell’ultimo vigilantes al guardo m’esclude
    Ma sedendo e mirando,interminate
    barche di là da quella,e palestrati
    amici,e soubrettissime inquiete
    io a scattar mi accingo;ove per poco…
    tanto è tutta spazzatura….

    è incompiuta…che devo scappà… mi inseguono…

  14. Non conoscevo la storia dell’origine del termine; pensavo fosse stato coniato da qualche romano, con significato dispregiativo.
    Arrivo tardi, ma ti leggo sempre con grande interesse.
    Buonanotte Mitì :-)

  15. Pingback: Placida Signora » Blog Archive » Gradassi, Perpetue, Sirene & C.

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