(foto MangiareinLiguria)
Il poeta scapigliato Lorenzo Stecchetti, meglio conosciuto come Olindo Guerrini (1845-1916), seduto una sera nel genovese quartiere di Ponticello (Piazza Dante) a un tavolino di marmo dell’osteria Bedin, famosa per la sua ottima farinata, compose direttamente sul marmo del tavolo un sonetto intitolato Farinata senza Uberti, che venne poi trascritto su un pezzo di spessa carta bigia e porosa: la carta in cui si serve la farinata, appunto.
Dante mal festi quando, nei tuoi versi,
parlando d’Ugolin preso alla magra
chiamasti quei di Genova “diversi
d’ogni costume e pien d’ogni magagna”.
Ora davvero essi son pel mondo spersi,
dall’uno all’altro polo, in Francia e in Spagna,
in America, in Cina, fra perversi
selvaggi e fra civili, e niun si lagna.
Dell’ingiusto giudizio or la più fina
vendetta sui tuoi canti hanno inventata
e te la fanno sotto gli occhi aperti.
Tu celebrasti il grande degli Uberti
ed essi, in Ponticel, dalla Bedina,
celebrano ogni dì la Farinata.
Nei vecchi forni a legna oggi praticamente scomparsi e che si trovavano quasi tutti concentrati sotto i portici della zona portuale di Sottoripa a Genova, si cuoceva ininterrottamente la farinata; fu sempre considerata un alimento talmente importante e fondamentale che, in un decreto del 1447, vennero emesse severe disposizioni per impedire l’uso di olio scadente nella cottura della scripilita, antico nome della farinata affibbiatole dai romani.
Sotto la Lanterna è fatta di farina di ceci; nel Savonese si usa anche la farina di grano e nell’imperiese si aggiunge la cipolla tagliata a fettine sottili sottili, e la si cuoce su trucioli di legno.
Esiste anche in Piemonte, ma è un po’ diversa: la chiamano “Bela cauda“, bella calda, ma è più pesante e spessa.
La farinata era un tempo un piatto classico della sera del venerdì di magro e del Capodanno, assieme allo stoccafisso accomodato; quando si comprava nei forni, la prescelta era quella agli orli della teglia, più croccante e sapida: e i vecchi genovesi ancora oggi, quando vedono una fanciulla particolarmente avvenente e “appetitosa”, la definiscono fainà di orli.
300 gr di farina di ceci; 1 litro d’acqua; 1 bicchiere scarso d’olio, sale, pepe.
In una bacinella vesate la farina di ceci, l’acqua e una presa di sale. Mescolate accuratamente con un cucchiaio di legno: il composto sarà perfetto quando, tirando su il cucchiaio, non vi resterà attaccato. Lasciate riposare come minimo un paio d’ore; passatelo poi in un colino per togliere ogni grumetto eventuale di farina.
Versate l’olio in una teglia larga e bassissima; versate poi il composto, mescolando bene per amalgamarlo all’olio. Infornate tutto a forno caldo 250° per 10 minuti. Servite immediatamente (va mangiata bollente), cospargendo se volete con un po’ di pepe nero.
i miti di Mitì…..ovvero….. come essere predestinati al mito fin dalla nascita….. :)
un vezzeggiativo o abbreviazione…mai fu così azzeccato…
non prenderla come un adulazione …è solo una constatazione di fatti.. :)
Roger, sei un tesoro! :-*
trovata, trattoria Sa Pesta ;-*
Gigi, eccola! Sa Pesta è un mito :-)
So che urlerai, ma io ci aggiungo, per quelle dosi che sono perfette, quattro o cinque cucchiai di birra. Prova e mi farai sapere. Dimenticavo: la lascio riposare almeno tre ore.
Lesorja, proverò. Ma non è che diverrà troppo gonfia? dovrebbe essere sottile come un velo (al massimo una lasagna, di quelle a mandilli de sea ;-*)
Gonfia no. Vaporosa è il termine giusto.
con i ceci non ha nulla a che vedere…
da noi in Toscana si fa pure questa di farinate…
FARINATA CON CAVOLO NERO
Ingredienti: (per 6 persone)
– 300 gr. di fagioli
– 1 cavolo nero
– 1 etto di lardo
– 4 spicchi di aglio
– 1 pomodoro maturo
– salvia
– sale
– peperoncino
– farina di granturco (1 cucchiaio colmo a persona)
Far bollire i fagioli in abbondante acqua salata fredda insieme a 2 spicchi di aglio e qualche foglia di salvia per circa 1 ora.Passarli quindi col passaverdure nella loro acqua di cottura ed aggiungere al brodo ottenuto le foglie di cavolo nero lavate , private della costola centrale e tagliato a strisce non molto sottili.
Intanto, a parte far soffriggere il lardo tritato, 2 spicchi d’aglio, un pomodoro maturo a pezzi, un po’ di peperoncino ed aggiungere il tutto al brodo.Cuocere per un’ora abbondante.
Aggiungere la farina di granturco e sempre rimescolando far cuocere per ancora mezz’ora. Servire ben calda con un filo di olio extra vergine di oliva.
scusami…era una divagazione.. :)
Roger, uuh… ricordo d’averla mangiata in una trattoria vicino Firenze con Luciano Satta…Un po’ meno di 30 anni fa :-)
Lesorja, era il termine che cercavo…:-)
ma proverò volentieri! :-*
o era che inizio ad aver fame….???
mah…….?????
è un piatto antico…pochi locali lo fanno ancora
Roger, pensa a quanti piatti non si fanno più nei ristoranti…Persino un semplice e buon pollo arrosto con patate spesso è raro a trovarsi. :-)
vero, concordo pienamente…purtroppo,il modo di mangiare e la qualità del cibo è molto cambiata, prima mangiavamo quello che la stagione offriva…ora tutto sempre…..e poi ci lamentiamo che un semplice pomodoro comprato in dicembre non sa di nulla…..quando mai in Italia i pomodori maturano in dicembre…??
Hai indovinato PlacidaSignora! Il Cinque e Cinque deriva dal prezzo….nei tempi andati al tortaio veniva chiesto “5 cents.di pan francese e 5 cents di torta”,per semplificare il tutto,è diventato “Cinque e Cinque!!!”
Una placida serata! Ciao!!!!
So che forse ben poco a voi interessa/
ch’io presi ispirazione da voi e l’altra gente/
parlo dello scherzo, cui partecipaste voi stessa/
e per correttezza soltanto vi avverte la presente/
buona e familiare! la nonna (tattarese) la chiamava fainè…lievito? NOOO più croccantina è meglio è, e a casa si può usare la teglia di rame! ma ognuno la può sognare come gli va, saluti golosi cat
arrivo tardi stsera e scrivo solo gnam..faaaaameeeeeee
Roger, giusto. Quello è di certo uno dei motivi. Altro è che son proprio cambiati i gusti…il cavolo nero? ma “fa odore”…;-*
Emma, so’ un genio, so’…;-*
Cat, altre ricette della nonna tattarese?
:-*
Catepol, quanti km ti sei fatta oggi, stelìn? :-*
che nostalgia di Genova e di farinata e diun bicchierino di buon vino nero per riscaldarmi da una lunga passeggiata al freddo.
sai quando ti vendono le gote rosse per il contrasto di calore tra esterno e interno, quello che fa impazzire i vasi sanguigni
Mmmmmm…. vino nero?
Non so, secondo il mio parere la farinata vuole il ‘gotto de vin giancu’!;-)
Comunque, Placida (non so se ci sei mai stata) nello slargo di Via B. Buozzi, all’inizio di Via Venezia, proprio sotto il ponte della ferrovia, c’e’ “Mario”, dove fanno ancora la farinata nel forno… e nel RAME! :-)
P.S. la farinata deve riposare *almeno* 4 ore.
Almeno eh!
E se me l’ha ‘raccontato’ la zia del mio Topo che aveva uno dei miglior pizza-farinata della Genova anni ’70… ci si puo’ fidare:-))))
Tybald, fatto ;-D
Comida, sì, è un “impazzimento” che conosco bene grazie alla tramontana di qui….;-*
Morghy, a me piace sia col giancu che col neiru…Sempre insomma ;-)**
E dov’era la zia fainòtta?
Michele Luigi, non so aiutarti purtroppo, sono più di 25 anni che manco da Torino…
Domanda: tu che capiti speso a Roma sapresti indicarmi un forno o un ristorante dove mangiare delle specialità liguri (soprattutto focacce et similia)?
Solitaire, non credo di conoscerne…Quando vengo a Roma di solito mi portano in locali di cucina tipica di lì (o stranieri, di ogni tipo). Mi spiace…:-(
Che gola a vederla!!! Appena posso me ne mangio un po’ con la focaccia… :-)
Daniele, è un ottimo carburante per la maratona di New York! ;-)*
non per essere pignola, ma dovrei rispondere ad emma che i viareggini non vanno confusi con i fortemarmini: sono questi ultimi che dicono “gegina”! i viareggini (come me) tutt’al più pronunciano “scescina”, esattamente come i pisani!
comunque io ormai, stando a Verona da decenni, me la faccio nel forno di casa…
A Milano ci sono due posti che fanno la farinata, uno in via Farini (giuro, non è uno scherzo) da Martino, l’altro in via S. Gottardo, una pizzeria/friggitoria di cui ora mi sfugge il nome.
Complimenti per il post e il blog che parla in maniera affascinante di Genova.
Il profumo della farinata calda mi fa ritornare a mente quando ero ragazzino e la mangiai calda appena sfornata e comprata in una pizzeria di Via Rolando…
Ora non esiste più quella pizzeria, il ragazzino è un adulto finito, ma il profumo e il sapore sono gli stessi nella memoria.
Rezcik, certi profumi e sapori, legati a certe età, non si dimenticano più…:-)
Bentrovati,
sapete che la “fainè” nella nostra città è una specie di piatto nazionale ???
Ovviamente retaggio della dominazione genovese di secoli fa..
I locali in cui si serve sono tanti e molto frequentati.
E anche qui gli orli (per noi “la punta secca …”) sono i più prelibati.
Il nostro blog (dichiaratamente giocoso) un “articolo” che racconta (in video) anche i rapporti tra le vostre e le nostre canzoni popolari.
http://sassareserie.blogspot.com/2007/03/sassari-e-genova-solo-la-fain-in-comune.html
Ma è stato divertente leggere la storia del progenitore della nostra amata fainè.
Saluti a tutti
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